giovedì 18 ottobre 2012

-Tema su Boccaccio

Le novelle e la lettera

23 commenti:

  1. Lavoro di: Camilla Massari, Chiara Merolla, Riccardo D'angelo, Silvia Venturini



    Giugno 1362
    Certaldo

    A Francesco da Arezzo, spiegandogli l'intento della novella “Se Ciappelletto da Prato”
    Or dunque, poiché tu me ne hai offerto un'occasione con la tua precedente lettera, voglio fermarmi un po' per chiarire il tuo dubbio riguardo la mia novella “Ser Ciappelletto da Prato”. A te e a coloro che si sono domandati il perché di un malfattore che malignamente diviene santo, tento di esporre la mia spiegazione, per suscitare comprensione nel tuo animo turbato da tal finale.
    Prima di tutto, come ben sai, le mie novelle hanno ragione di essere narrate in quanto manifestano la potenza della parola, intesa come una delle più utili e non sempre nobili, com'ora tu hai appuntato, arti umane. Taluni son in possesso della sottile arte di saperla sfruttare come strumento di salvezza, ed è con ciò che voglio motivarti la descrizione di un personaggio che, pur sfruttandola con l'inganno, è in grado di usarla com'arma. Ser Ciappelletto da Prato, di fatto, con una falsa confessione inganna or bene un santo frate, che nella sua ingenuità lo crede santo, accostando l'intero popolo a tale credenza.
    Anzitutto, tengo a premettere che con ciò la mia intenzione non è esaltare lo spirito laico con cui Ser Ciappelletto si burla di tutti, persino di Dio, come certuni hanno avuto l'ardire di credere. E, contrariamente a quanto da te supposto, non si tratta nemmeno di un'ardita critica al suo modo di rapportarsi alla vita. Lui è un personaggio che, pur delineato da queste stesse mani che stanno rivelandoti la verità, vive nella sua libertà, la libertà di esercitare la propria esistenza nel miglior modo in cui crede. Il mio intento, amico mio, è solo quello di descrivere quanto l'uso appropriato e furbesco della parola possa aiutare se stessi a districarsi da svantaggiose situazioni e, al contempo, ingannare l'interlocutore e probabilmente il destino stesso. Con ciò, bada bene, non sostengo l'inganno e l'imbroglio di tali astuti, ma evidenzio semplicemente l'inestimabile abilità oratoria che li contraddistingue.
    Riflettendo, mio saggio compagno, mi capacito di quanto la mia argomentazione possa apparir complessa, or dunque m'impegno a render chiara la mia opinione. Immagina Ser Ciappelletto com'alter ego mio, non per il fatto che si sia vilmente e insidiosamente fatto beffe del popolo e del frate stesso, ma per la potenza della parola in grado di creare nuovi mondi. Così com'io scrivo, attraverso le mie novelle, di nuove realtà venutesi a creare grazie all'ingegno e alla creatività che alberga nel mio animo, così il protagonista di tal novella sfrutta la parola per dar luce ad alternative realtà a lui favorevoli. Or dunque, entrambi siam nati con la virtù di saper sfruttare la parola come strumento di salvezza, ma mentre nella mia opera io uso tale dote a fin di bene, con scopi ironici ma ugualmente riflessivi, lui al contempo ne fa un uso deliberatamente negativo, spropositato, che però si addice al personaggio che deve interpretare.
    Con la viva speranza di aver chiarito le tue giustificabili perplessità, ti invito a leggere ed interpretare il resto delle mie novelle nell'ottica che ti ho qui proposta.

    Giovanni Boccaccio

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  2. LAVORO DI GRUPPO: VALERIO ANILE, ALESSIO VERGARI, ANDREA RENZETTI

    “Era una mattina come tutte le altre nell’agricola cittadina di Rotterdam” - iniziò il novellatore a declamare, alzandosi in piedi – “quando il principe Francesco fu chiamato a corte dal padre Carlo, re d’Olanda. Il principe arrivò a palazzo con a seguito i suoi tre fedelissimi intendenti, che si fermarono alla porta della camera regale, costruita con legno di ciliegio e intarsiata con lamine d’oro sottilissime. Il re, che guardava allo specchio il suo volto solcato ormai da profonde rughe, vedendo suo figlio alla porta, ordinò al servo di uscire dalla stanza. Carlo si mosse immediatamente verso il figlio, che si trovava a pochi metri da lui e guardandolo dritto negli occhi gli disse: “Francesco, figlio mio, oramai sono vecchio e debole, e arriverà presto il tempo in cui dovrai prenderti cura di questo splendido regno, e so che ne sarai in grado...ma io oggi non ti ho chiamato per questo” continuò tossendo seccamente e ansimando “io ti ho chiamato quest’oggi a me perché tu faccia qualcosa di molto importante …”diceva con aria misteriosa e continuava ” nel bosco adiacente alla reggia si nasconde un tesoro che molti secoli fa il capostipite della nostra dinastia nascose lungo il corso del fiume che costeggiava la valle, quando la famiglia reale doveva difendersi dagli attacchi dei barbari che attaccarono e saccheggiarono ferocemente tutto il nostro popolo”…”io conosco le tue capacità e do dunque a te il compito di trovare questo tesoro, e di mostrarmi il contenuto, prima che io muoia”. Il principe fu inorgoglito dalle parole del padre, che riservava molta fiducia in lui, e senza abbassare lo sguardo rispose prontamente “ Si papà,lo farò!”
    ll giovane principe si gettò immediatamente fuori dalla porta, e corse così forte che seminò in breve tempo gli intendenti regi che cercavano di seguirlo. Stava per partire alla ricerca del famoso e introvabile tesoro senza alcuna paura poiché era stato educato in maniera ferrea alla determinazione e all’ostinazione. Francesco era però stato educato anche alla ricchezza e alle comodità, lo dimostrava il fatto che con lui partirono ben trentadue cavalli, che si fece preparare in fretta e furia dal cocchiere, ognuno dei quali portava materiale alquanto inutile, tra cui sedie, profumi, tavoli, asciugamani di seta, gioielli,libri,cibo e bevande in grande quantità.
    Dopo poche ore dalla sua partenza Francesco raggiunse un fiumiciattolo nel bel mezzo della foresta, dove scrupolosamente cercava invano un segno o un indizio che gli mostrasse la strada per il tesoro. Pochi metri più avanti vagava un uomo, era Bartolo il Pezzente che viveva rifugiandosi tra i cespugli e gli alberi nei pressi del fiume, per sfuggire dal gran numero di creditori che ogni giorno dalla città venivano a cercarlo. Aveva appena vent'anni ma sembrava un vecchio di sessanta: barba folta, capelli secchi, un cappello scolorito che gli copriva la fronte, un paio di scarpe nere bucate dalle quali sporgevano calzini a righe orizzontali bianche e rosse,che erano nascosti, in parte, da un paio di pantaloni grigi, e la giacca, anch'essa nera piena di tracce d'unto, abbottonata a fatica. L’uomo appena vide i trentadue cavalli, si nascose dietro un cespuglio, ma poi scorgendo la figura del principe si mosse verso la carrozza, si gettò a terra, protese le braccia verso il cielo, e grido “ Principe! Principee! Il paneee! Tirami un tozzo di pane!!”. Il principe lo guardò con disprezzo, fermò la carrozza e disse: “ Non vedi che fai schifo! Non meriti del pane! Muori di fame, io ho ben altro da fare e ben altro a cui pensare! Vai via pezzente! Anzi, voi, uccidetelo!” Gli uomini della scorta reale intimidirono l’uomo con la punta delle lance e lo rincorsero per chilometri; l’uomo corse a perdifiato, tanto che lo perse, infilandosi in una caverna quasi morto.

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  3. LAVORO DI GRUPPO: VALERIO ANILE ALESSIO VERGARI ANDREA RENZETTI (PARTE 2)

    Francesco, stanco per la ricerca del tesoro, aveva fatto imbandire una tavolata immensa, dove mangiò per ore. Da quel giorno a dieci anni dopo, i giorni per lui si sarebbero consumati sempre uguali, e sarebbero passati di fila uno dopo l’altro; Francesco era infatti cambiato sia fisicamente che psicologicamente: non era più il l’uomo che era partito dieci anni prima. Molti uomini della scorta infatti dopo appena 2 anni lasciarono il principe per tornare in città mentre la restante parte della scorta ripartì dopo 5 anni. Solamente i tre fedeli intendenti, rimasero con lui più a lungo, ma al decimo anno anche loro ripartirono poiché non sopportavano più il principe che ormai era ossessionato dal tesoro e non era più la stessa persona. Scavava tutto il giorno a mani nude nella terra, senza fermarsi, ma mai aveva trovato qualcosa che potesse assomigliare ad un tesoro. Era così accecato dal tesoro che la mattina quando si specchiava nelle acque cristalline del fiume non riusciva a vedere quanto in realtà fosse cambiato, e quanto brutto e vecchio fosse diventato. Oramai soffriva anche lui la fame, e viveva in estrema povertà. Bartolo il Pezzente dopo quel giorno in cui era sfuggito miracolosamente alla morte, viveva invece nella paura e nel terrore e si affacciava di rado alla foresta, giusto per trovare qualcosa da mangiare. Un giorno, dopo esser fuggito dall’ennesimo creditore, si gettò ai piedi di un pioppo, uno dei tanti che costeggiavano il corso del fiume. Un sasso gli premeva sotto la gamba, e sbadatamente con il braccio Bartolo cercò di levarlo di mezzo; proprio quando aveva gettato il sasso nell’ acqua del fiume, si accorse che c’era qualcosa sotto di lui e la cosa lo incuriosì. Scava e scava ecco che vide luccicare qualcosa dal terreno: era il forziere che conteneva il famigerato tesoro!! Inizialmente non credeva ai suoi occhi e pensava che se il destino era stato così crudele con lui nella vita forse finalmente qualcosa era cambiato. In un istante Bartolo muoveva nelle sue mani gioielli di oro zecchino, anelli di rubino, corone di diamante e lingotti d’oro ma soprattutto teneva in mano il testamento, scritto su papiro dal capostipite secoli e secoli prima, che recitava: “hai trovato il tesoro di Re Roberto, sei l’uomo più fortunato al mondo!”. Bartolo ancora non ci credeva ma la sua vita era cambiata; in poche ore era tornato in città, e il suo aspetto era cambiato, tanto che un creditore gli passo dinnanzi e non si rese conto che fosse Bartolo il Pezzente. Intanto il re preoccupato per le sorte del figlio, mandò alcuni funzionari nella foresta affinché appendessero dei manifesti con su scritto che il monarca stava cercando suo figlio scomparso ormai da 10 anni. Bartolo aveva già pensato di recarsi proprio da Re Carlo, per fingersi suo figlio, mostrare il tesoro ed ereditare il regno d’ Olanda. Il Re infatti da tempo aveva perso la vista e non avrebbe mai riconosciuto il suo vero figlio, ma comunque di fronte al testamento di Re Roberto avrebbe riconosciuto Bartolo come suo figlio. Così dunque accadde e di li a pochi giorni Carlo morì e Bartolo divenne il nuovo Re d’Olanda. Il vero principe, Francesco, lesse i manifesti fatti appendere dal padre sugli alberi della foresta e ormai affranto tornò al palazzo. Bartolo, affacciato dalla finestra della stanza regale, vide Francesco, ma non lo riconobbe poiché era ormai irriconoscibile, vestito come un barbone e con le sembianze di un vecchio. Vedendo dunque uno dei tanti mendicanti che si riversavano sotto il palazzo ad elemosinare Bartolo ordinò ai suoi servi: “Gettate del pane secco a quel mendicante! Forza!”. I servi subito si misero all’opera, andarono in cucina e presero la sacca del pane secco. Il principe non riuscì neanche ad avvicinarsi al cancello del palazzo che un fiume di pane secco lo investì tanto violentemente che lo uccise”. La storia del novellatore lasciò tutti a bocca aperta, era l’ultima novella della giornata.

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  4. LAVORO DI GRUPPO: RICCARDO D'ARCH E KRISTIAN GALANTI
    LIGNACCIO DA PITEGNO

    Lignaccio è un principino viziato, follemente innamorato del gioco dell’arco, il quale, seppur ingannato da una falsa amicizia, con industriosa fortuna ribalta la sorte a lui avversa.

    “Oh lieta brigata” – esclamò Neifile – “la sagace avventura novellata dalla nostra Pampinea, ha riportato alla mia mente il dolce ricordo di una spiritosa novella che il mio babbo, buon’uomo, era solito raccontarmi insegnando che è sempre meglio non fidarsi, a maggior ragione degli amici che si dimostrano ambigui, persone che si avvicinano a noi per interesse, simulando una veritiera amicizia! E così dovrebbe fare..”
    In uno sperduto comune toscano, tra l’altro non molto distante dalla nostra amata e pestifera Firenze, di nome Piteglio, vive un certo Lignaccio, che forse – amici miei – avrete sentito nominare per la sua incredibile abilità nel destreggiarsi con l’arco. Questo principin de la beata sorte era solito infatti rifiutare qualsiasi tipo di educazione, sia stata essa comportamentale, scolastica o meramente fisica, poiché, trasportato dall’onda del menefreghismo e della futile venerazione della veste indossata, preferiva allontanarsi da tutto e tutti, per esercitarsi con il suo beneamato arco. Il legame era così intenso tra i due che non vi era celebrazione, festività o Dio che tenesse all’implicita tendenza di Lignaccio di esercitarsi con il tiro all’arco. Dormiva con esso. Mangiava con esso, ed una volta, quando lo spirito della realtà bretone lo coinvolgeva particolarmente, era quasi sul punto di rendere cieca la povera donna che lo aveva messo al mondo. Non si separavamo mai dunque. Era solito, Lignaccio, dopo un’estasiante giornata di esercizio con l’arco, incontrarsi con un amico di vecchia data: Bertino.
    “Oh amico mio! Il piacere che mi assale nel vederti è quasi paragonabile ad un minuto speso con il mio arco!”, disse scherzando il principe, “Oh maldestro principino (così era solito chiamarlo Bertino) quanta simpatia oggi! Non sarà forse stato un pasto troppo dolce o hai per caso catturato una rara preda con il tuo futile arnese?” Il discorso scorreva tra i due, come ogni giornata dopo il solito svago di Lignaccio. Ora, il problema di tener nascosto un qualcosa, come sapete benissimo amici miei, è che a causa di un motivo scatenante, quel qualcosa possa scoppiar fuori tutto a un tratto. Questo è ciò che accadde a Bertino. Quest’ultimo proveniva, al contrario di Lignaccio, da un’umile famiglia di onesti lavoratori, perennemente devoti al governo regio del padre di Lignaccio, il quale presentava una ferma obiettività nonostante, a volte, le situazioni fossero ostili al lignaggio stesso. Contrariamente all’educazione ricevuta, Bertino covava una spaventosa sete di denaro, donne e piaceri al suo interno, una così profonda dedizione alle effimere verità reali tanto da far irrigidire lo stesso Pluto. E ragionando, Bertino disse: “L’aquila reale dello stemma è la fiera più maestosa che abbia mai visto in qualsiasi altro stemma!”. Lignaccio arrossì, stranamente. “Oh no amico mio! Non ritrarti come tuo solito al sentir parlare di affari di famiglia, perché avrei intezione di proporti una cosa: come tu ben sai, ho umili origini ed i miei genitori spaccano le ossa e le membra tutte per permettermi una degna educazione..”- “Bertino! Dove vuoi parare? Non è un sermone, né tantomeno una tenzone, o almeno spero!”, ribattè Lignaccio. “No principino, volevo solo chiederti, ecco, di poter vedere e toccare con mano il famigerato stemma reale”. Lignaccio quasi risentito, scosse subito il capo e non espresse nulla ad ogni minima esortazione di Bertino. Mai. Finchè, stancato da questa scomoda situazione, esultò: “Tu conosci la rigidità di mio padre. ...

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    1. Il legame era così intenso tra i due che non vi era celebrazione, festività o Dio che tenesse all’implicita tendenza di Lignaccio di esercitarsi con il tiro all’arco. COSA INTENDETE CON ...CHE TENESSE ALL'IMPLICITA TENDENZA???

      perennemente devoti al governo regio del padre di Lignaccio, il quale presentava una ferma obiettività nonostante, a volte, le situazioni fossero ostili al lignaggio stesso. CIOE'??? il quale a chi si riferisce?? il passo non è chiaro

      covava una spaventosa sete di denaro, donne e piaceri al suo interno, una così profonda dedizione alle effimere verità reali tanto da far irrigidire lo stesso Pluto. eliminare AL SUO INTERNO..effimere erità reali?? sarebbero le ricchezze??

      il famigerato stemma reale”. Lignaccio quasi risentito, scosse subito il capo e non espresse nulla ad ogni minima esortazione di Bertino. Mai. Finchè, stancato da questa scomoda situazione, esultò: “Tu conosci la rigidità di mio padre. ...NON FAMIGERATO...FORSE INTENDEVATE FAMOSO...ILLUSTRE...?? NON MI PARE CHE SIA ADATTO NEANCHE ESULTO'...MA FORSE MEGLIO ...URLO'...AFFERMO'...

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  5. PARTE 2 D'ARCHI GALANTI
    . Cosa farebbe se prendessi lo stemma con la catena d’argento? Quanti mari scuoterebbe pur di scovarmi? Quante celle svuoterebbe per farmi scontare tutte le pene possibili?” E detto ciò, se n’andò. Ma Bertino, consapevole che l’unico veramente in grado di irrigidire Lignaccio era suo padre, il re, ed avendo previsto questa situazione, aveva precedentemente contattato una delle persone più vili e infami del comune – ma che dico! – dell’intera regione! Pagandolo, e anche profumatamente (non chiedetemi con quali soldi, amici miei), gli comandò di rubare lo stemma reale, prendendosi beffa della rinomata “scaltrissima” sorveglianza regia, e portarlo al tavolo in cui egli e Lignaccio erano soliti sedere. Il giorno successivo Lignaccio, come di consueto, si presentò alla taverna verso l’ora nona nel pomeriggio, ma affisso alla porta di questa vi era un comunicato che portava vicino alla firma finale, il sigillo del re. “Si convoca l’attenzione dei cittadini del comune di Piteglio tutti al fine di dichiarare inagibile ed invarcabile suddetta taverna fino a data da destinarsi”. Lignaccio intuì subito il peggio. Corse veloce come il vento a palazzo, vide il padre dialogare con Bertino. Sì: aveva lo stemma in mano. “Mio re, tornando dal pesante turno serale del campo, per aiutare la mia povera famiglia con la rotazione triennale, udì presso il castello un subbuglio e scalando l’ampia collina, vidi una sagoma di forma imprecisa, a causa del buio, lanciare con estrema facilità saette verso tutte le direzioni, così da poter farsi beffa della sorveglianza ed uscire con lo stemma reale tra le mani. Il suo destriero era velocissimo e forse, proprio a causa di una non curanza, lo stemma, introdotto in una delle tasche, cadde. Lo raccolsi e lo conservai per tutta la notte come un bimbo conserva il suo gioco preferito e ne è profondamente geloso di chiunque, aspettando il momento più consono per restituirlo”. Il re vide Lignaccio origliare. I due si riconobbero. Gli occhi del pover’uomo erano rossi di una rabbia che in realtà celava dietro di essa la difficoltà di poter mettere un diretto discendente, sangue del suo sangue, in cella. Ma, obbligato dalla sua integrità morale, lo fece. Fu obbligato. La notte trascorreva fredda e silenziosa nelle sotterranee del castello e il fastidio silenzio che regnava sovrano venne interrotto dal ferreo rumore della fessura che veniva aperta. Era il re che andava segretamente a liberare suo figlio. Ancora ammutolito, imperterrito, bloccato a causa dell’accaduto e della deviazione della sua radicata etica personale, Lignaccio gli parlò: “Mio amico, mio padre, mio re, a te che sei venuto a salvarmi non chiedo nulla se non che giustizia sia fatta, controllando che la dimora del vero ladro, colui di cui ti sei fidato, sia perlustrata al sorgere del sole”. Detto questo, fuggì. Le ore passate in cella avevano però fatto riflettere il giovane principe che ora, maturato a dir poco, sapeva esattamente cosa fare: questa volta avrebbe rubato veramente lo stemma. Proprio con la sua qualificante arte del tiro all’arco, cosa che lo distingueva da ogni altro arciere dell’esercito, si prese gioco dell’unica guarda a controllo dello stemma che si affacciava su una finestra aperta su un’ampia collina. Gli uomini che attacavano sembravano mille o forse più dall’ardore dei colpi e dalla loro velocità. Così beffata la guardia, fu semplice rubare lo stemma. E la mattina successiva il controllo venne fatto. Eccome se venne fatto.

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    1. Lignaccio intuì subito il peggio....NON SI CAPISCE PERCHè DOVREBBE INTUIRE IL PEGGIO

      Il re vide Lignaccio origliare. I due si riconobbero. Gli occhi del pover’uomo erano rossi di una rabbia che in realtà celava dietro di essa la difficoltà di poter mettere un diretto discendente, sangue del suo sangue, in cella. Ma, obbligato dalla sua integrità morale, lo fece. Fu obbligato. PERCHE' IL RE FU OBBLIGATO?? NON LO AVETE SPECIFICATO IN ALCUN PUNTO...QUESTA SEZIONE PRESENTA DIFFICOLTà NELLA STRUTTURA NARRATIVA, SEMBRA CHE MANCHI QUALCOSA NELLA PROGRESSIONE DELLE AZIONI...NON FUNZIONA DAL PUNTO DI VISTA DRAMMATURGICO...IMMAGINATE DI VEDERE RAPPRESENTATA LA STORIA ...NON FUNZIONEREBBE!!

      Ancora ammutolito, imperterrito, bloccato a causa dell’accaduto e della deviazione della sua radicata etica personale, Lignaccio gli parlò....IMPERTERRITO??? FORSE VOLEVATE DIRE IMPIETRITO??

      nEL FINALE MANCA QUALCOSA...IL PRINCIPE METTE LO STEMMA NELLA CASA DI BERTINO CH QUINDI SARà ACCUSATO DEL FURTO??? AVRESTE DOVUTO IMMAGINARE CHE IL PRINCIPE ESCE DI PRIGIONE, RUBA LO STEMMA E LO PORTA DA BERTINO PER COINVOLGERLO NEL FURTO...E PER FAR RICADERE SU DI LUI ANCHE LA RESPONSABILITà DEL PRIMO FURTO..RIENTRA IN CELLA AL MATTINO..COSì NON PUO' ESSERE CONSIDERATO COLPEVOLE O ANCHE SOLO COINVOLTO NELLA VICENDA...

      NEL TESTO SI NOTANO ALCUNE IMPRECISIONI LESSICALI, E IN VARI PUNTI DELLE MACCHINOSITà E FORZATURE NELLA MACCHINA NARRATIVA.

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  6. E gli altri???? bravi ai pubblicatori!!! oggi leggiamo in classe

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  7. Novella di gruppo: Giulia, Azzurra, Elena e Marta!

    Mastro Vanni e lo scherzo del buon buffone

    VANNI: Questa che vi narro è la storia di sir Julio, compare Sandrino e Mastro Vanni,
    sempre in giro a combinare danni,
    scherzi buffi ma spesso esagerati
    e per questo rimasti disoccupati.
    SANDRINO: A me ce pensa mammà!
    VANNI: Diceva Sandrino impertinente.. E Sir Julio:
    SIR JULIO: Io un tempo lavorai e non mi manca niente!
    VANNI: Ma il sottoscritto Mastro Vanni,
    che di soldi non ne aveva tanti,
    decise un giorno di cercar lavoro,
    per seguitar di vivere con un certo decoro.

    SIR JULIO: Indi..
    SANDRINO: Per cui poscia?
    SIR JULIO: Tacciate Sandrino. Dicevo: indi, il giovine compare nostro, si incamminò sulla via della città e girò sentieri e strade poco conosciute in cerca di un impiego degno di un buffone par suo. Il primo luogo che ebbe a visitare si trovava ai margini della città e trattavasi de “La Fabbrica Del Mobile”.
    SANDRINO: 'A fabbrica der mobbile?
    SIR JULIO: Mobile, Sandrino, mobile. Era questo un sito dove avvenivano le cose più incredibili: guardaroba autoassemblanti, scaffali autopulenti, credenze che potevano contenere più di mille stoviglie, panche per una persona, sedie per quattro o cinque natiche, tavoli con tre gambe e un solo piede, letti a quattro, cinque, sei piazze, tavoli da parete e persino scrittoi da soffitto.
    SANDRINO: Ma me spieghi perchè uno dovrebbe scrivere appeso a testa in giù?!
    SIR JULIO: Così va più sangue ossigenato al cervello!
    SANDRINO: Ah, già, è vero..
    SIR JULIO: Ma la più incredibile meraviglia erano gli attrezzi: cacciaviti così leggeri e affusolati che usarli era un elisir per le mani, chiavi intelligenti che si adattavano a dadi di ogni misura senza il minimo sforzo, e certi martelli che quando picchiavano il chiodo emettevano una nota musicale, creando una melodiosa sinfonia che avvolgeva continuamente gli operai di tutta la fabbrica.

    VANNI: Che prodigi! Che splendori!
    Attraevano bambini, adulti e mille altri spettatori
    e come loro anche io ne fui attratto
    ed avanzando, un po' inquieto e timoroso,
    udii quel concerto cessare tutt'un tratto
    per poi essere subito rimpiazzato
    dalla voce di un uomo un po' troppo agitato.
    DIRIGENTE1: Tu! Laggiù!
    VANNI: Gridò ad un certo punto.
    DIRIGENTE1: Qui io vendo e non compro nulla, capito?
    VANNI: Mi arrestai, dunque io, subito pentito
    da quel cambiar di posto di lì a poco conseguito,
    ma rimembrando la ragione di quel mio lungo viaggio
    senza indugio saltai qua e là gridando:
    “Lavoro io sto cercando!!”
    Quell'omino rimase lì impietrito
    gli occhi sbarrati, le mani sul capo
    probabilmente pensando:
    DIRIGENTE1: Questo qua è un po' svitato!
    E va bene giovanotto, puoi entrare
    e fare un dì di prova
    VANNI: E dunque io, senza pensare
    mi addentrai in quella fabbrica repentino,
    seguendo passo passo quell'omino,
    che continuava a guardarmi un po' allarmato.
    E non poté ricredersi, poiché io, lungo il cammino,
    vidi tutte le cose che Sir Julio prima ha narrato.
    E rimasto a bocca aperta, sembrando un po' cretino
    quell'uomo conosciuto come “il maestro” mi richiamò irritato
    DIRIGENTE1: Chiudi quella bocca e prendimi quegli attrezzi!
    VANNI: Ubbidiente, cominciai subito a ricercare
    cacciaviti, martelli, chiodi e tante altre cose
    tra cui uno strano appiccicume che tutto poteva attaccare.
    Nella tasca misi il tutto, ma trovai qualche difficoltà con quella strana crema
    che non voleva calare!
    Alla fine vinsi io e volsa tutta nella taschino,
    dal mio maestro feci a ritornar repentino.
    Quand'egli:

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  8. DIRIGENTE1: Che cosa hai fatto brutto ritardato, ma sai almeno che cos'era?!
    VANNI: Non sapendo cosa avevo combinato,
    risposi subito educato:
    “Crema per capelli, ma pare sia scaduta...”
    DIRIGENTE1: Ma senti questo qua!
    VANNI: E la rabbia in lui fu tale
    da farlo sbuffar fumo, grugnire imbestialito come un maiale
    “Ma io non capisco” Sussurrai sorpreso,
    mentre posavo gli oggetti su di un tavolo lì vicino
    quando il maestro mi urlò di nuovo:
    DIRIGENTE1: Ma allora sei cretino!
    VANNI: Arrestandomi, cercai di portar alla testa la mano,
    come d'abitudine, per pensare a cosa mai avessi potuto fare.
    Ed allora capì perchè il mio maestro era stato così villano.
    La mia paura fu purtroppo accresciuta
    dalle parole del maestro che diceva tra i singhiozzi:
    DIRIGENTE1: Quella che hai in tasca non è crema per capelli, ma colla super potenziata!
    Si tratta della colla Vinilica, Attaccatutto, Fissante, Formidabile, Aromatizzata-alla-cannella!
    E tu, stolto campagnolo, l'hai finita!
    VANNI: “Ma io” Cercai di dire, la voce un po' impaurita
    DIRIGENTE1: Zitto! Combina guai che non sei altro!
    VANNI: E per un momento, lo giuro, sembrò che del fumo avesse sputato!
    Dalle orecchie e dalle narici, per cui io, sempre più agitato,
    mi girai verso la porta, quand'egli:
    DIRIGENTE1: Dove vai, sciagurato?
    VANNI: Mi prese per la maglia, e verso di sé mi trascinò
    tanto che esclamai “Ho delle figlie a casa che mai più rivedrò!
    Son tre, si chiaman: Grazia, Graziella e..”
    SANRINO: Grazie al...
    SIR JULIO: Sandrino basta!
    VANNI: E così continuai a gridare, mentre quell'omino sempre più arrabbiato
    mi scuoteva e mi fece quasi calare la bandana che amo tanto indossare.
    DIRIGENTE1: Ma che pensavo quando ti ho fatto entrare
    nella fabbrica, quella preziosa colla che è solo mia!
    VANNI: Poi mi guardò furibondo ed esclamò
    DIRIGENTE1: VIAAAA!
    VANNI: Così me ne andai, le mani in tasca e un po' rattristato
    e dalle spinte e dai colpi un poco annebbiato.
    Ma a quel punto mi venne da pensare
    “Ma di entrar qui chi me l'ha fatto fare??”

    SIR JULIO: Con l'animo sconvolto, il mesto Vanni si allontanò dalla fabbrica. Il mondo gli cadeva addosso e nulla poteva attuare per impedir ciò. A passi lenti camminava, a passi cadenzati, e nel contempo l'ilare mélica di quegli sbalorditivi martelli lo accompagnava e lo consegnava nelle mani della nostra amata città. Dove il bassofondo si mischia alla purezza dell'arte espressa in ogni singola strada. Il popolare si mescola con la grandiosità degli edifici. Perchè vicino ad un fastoso ponte ricoperto di marmo e ferro e statue d'oro, c'è un ponticello di legno, minuto e grazioso, che attraversa il fiume alla stessa maniera...
    SANDRINO: Si, vabbè, però ora basta co' sti paroloni, che me fai cascà...
    TUTTI: Sandrinooo!
    SANDRINO: L'attenzione, l'attenzione! Cosa credevate! “Che mi fai cascare l'attenzione”, no? Mh, eravamo...Ah si! “Attraversa il fiume alla stessa maniera”. Insomma, passato 'sto fiume, Vanni se ritrova davanti a 'na fabbrica di...
    SIR JULIO: No! Vai errato!
    VANNI: C'è prima la banca!
    SIR JULIO: La banca, Sandrino!
    SANDRINO: Eh! Eh! Calmateve, ho solo fatto un piccolo errore. Vanni, quindi... Se ritrova davanti a 'na.. Grande banca, la più.. Grande banca che avesse mai visto: dovette alzare tanto la testa, tanto era.. Grande quella banca.
    VOCE FUORI CAMPO: Ha forse detto grande?
    SANDRINO: Che ssi dittù?!
    TUTTI: No, no, niente, continua!
    SANDRINO: Ce mancava... Beh, 'sta GRANDE banca era dunque chiamata “'A Fabbrica Der Soldo”, tanto se vantava d'esse famosa.
    SIR JULIO: E parla bene!

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  9. SANDRINO: Uff... Salita la grande scalinata davanti alla costruzione, Vanni si ritrovò, emozionato, nell'enorme sala centrale della banca. Questa aveva pareti vertiginosamente alte ed il soffitto tutto pieno zeppo di decorazioni. C'erano decine e decine di persone, alcune lavoravano, altre attendevano il proprio turno, leggevano, parlavano al telefono. E in più la sala era contaminata da una miriade di colonne... Colonne... Come hai detto se chiamavano le colonne? Gnocche?
    SIR JULIO: Barocche!
    VANNI: Fantastiche colonne ricostruite in stile Barocco,
    movimento che tu dovresti studiare, caro sciocco!
    SANDRINO: Si, come te pare, rimane il fatto che 'ste colonne so' barocche, e non gnocche come speravo, quindi un aiuto pe' studiare da loro non me lo faccio dare! E t'ho fatto pure la rima!

    VANNI: Facciam così amici, io continuo a novellare,
    così Sandrino intanto si può calmare,
    gli diamo il tempo di riordinar le idee in testa
    e colgo l'occasione per raccontarvi codesta
    di avventura, di certo singolare
    che davvero a poche persone può capitare.
    Successe, infatti, che quella stupida bandana
    con cui la mattina avevo fatto dei capelli una fontana
    scivolò dalla mia fronte sino alle gote,
    “Cercate di capire, non fate quelle facce idiote!”
    iniziai quindi ad urlare alle persone presenti
    che però non facevano altro che allontanarsi da me
    con visi spaventati, quasi assenti.
    E mi dibattevo, mi dimenavo
    ma ad incollar le mani in tasca ero stato proprio bravo!
    La bandana era calata, il cappotto era chiuso
    i movimenti parean loschi, come quelli di un intruso.
    La gente ancor più si impaurì e chiamò i poliziotti
    che mi arrestarono in un batter d'occhi.
    Arrivati sul posto e portatomi in gendarmeria
    si avvicinarono a me, con poca galanteria,
    gridando:
    POLIZIOTTO: Alzate le braccia!
    VANNI: Ed io, impossibilitato ad agire
    gli gridai di rimando: “Non posso obbedire,
    è in uso la fortissima VAFFA!”
    POLIZIOTTO: Cosa ha detto, mi perdoni? Credo di aver udito male.
    VANNI: “Ho detto VAFFA” Risposi io educato
    Quelli lì davanti mi fissarono allarmati
    e non poterono far altro che dirmi sconcertati:
    POLIZIOTTO: Non so se lo sa signore, ma lei sta offendendo ora un pubblico ufficiale e col volto coperto in quella banca stava attuando un piano a dir poco immorale, non è così?
    VANNI: Di cosa sta parlando? Chiesi confuso e dissi sicuro:
    Ho detto solo VAFFA!
    E allora quello, senza perder tempo,
    prese da un cassetto le manette,
    mi avvicinò i polsi e le chiuse assai strette,
    (non potendo metterle alle mani)
    e, guidandomi al suo fianco mi diede un tal spintone
    da ritrovarmi in un minuto dentro una prigione
    di “tentata rapina” mi accusavano,
    invano continuavo a gridare “E' colpa della VAFFA!”
    E non mi rilasciaron fin quando
    uno di loro, illuminato, venne dicendo:
    POLIZIOTTO: La cosa di cui parla questo sciocco non è un'offesa, cari colleghi poliziotti, seppur può sembrare. In effetti si tratta proprio di una colla super potenziata che, a quanto pare, questo qua si è ficcato in tasca inseme a tutte le mani!
    VANNI: E mille-mila anni sono che io di ripeterlo non cesso!
    E con le chiavi in mano, sovrastando quel baccano
    aprendo bocca a me si avvicinò il capitano:
    CAPITANO: Vediamo di fare poche storie, che d'ora in poi ti teniamo d'occhio!
    VANNI: E nuovamente mi ritrovai per le vie della città
    stanco, sporco e nelle tasche un gran pastrocchio
    “Ma almeno” pensai...
    Ma le parole non venivano, allora finalmente
    libero dalla colla alzai la mano e mi grattai il capo,
    riaccendendo nuovamente la mente.

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  10. SIR JULIO: Fu così che dopo questo secondo, clamoroso, fallimento il nostro amico se ne tornò in strada, e vagò, e vagò senza meta e sempre più sconsolato..
    SANDRINO: Finchè..
    SIR JULIO: Non mi interrompete! Finchè non si imbattè in un enorme portone di legno scuro sulla sommità di una scalinata di marmo..
    SANDRINO: Eh, tre gradini!
    SIR JULIO: Silenzio, guastastorie! Di un numero più che dignitoso di marmorei gradini. E lesse, sulla sommità del portone,
    INSIEME: La Fabbrica Dell'Atomo!
    VANNI: Quell'imponente e spettrale costruzione
    celava al suo interno una rivelazione,
    luci, colori, suoni da non credere ai vostri occhi,
    trattavasi infatti di un negozio di balocchi!
    Rimasi imbambolato dinanzi a quei prodigi
    quel luogo mi sembrava avesse solo pregi
    e allora sconsolato più che mai, mi rabbuiai:
    Certo, quello per me non era posto,
    tutto così ben disposto,
    così fragile e delicato
    che uno sguardo sarebbe bastato
    a mandar in pezzi quei favolosi attrezzi.
    Ma mentre esploravo i corridoi con aria mesta
    sentii uno strano oggetto piombar sulla mia testa:
    di scatto mi voltai e vidi che un marmocchio
    da dietro uno scaffale mi strizzava l'occhio
    e mi invitava con la sua comitiva
    ad un'epica pugna di palle di spugna.
    Allora, non appena ebbi tutti i bambini radunati,
    li coinvolsi in un turbine di giochi scatenati
    e a fine giornata stanchi ma contenti
    al veder le loro mamme, che portarli via volevano,
    proruppero in una valanga di lamenti.
    Al che io mi intromisi col mio magico tocco
    e per farli smettere convinsi le signore a comprare ciascuno un balocco.
    Quando usciti furono dal magico portone
    da un uscio più piccino spuntò il signor padrone.
    PADRONE: Perbacco giovanotto, lei ha talento!
    Un esercito di bambini è riuscito a far contento!
    VANNI: Ed io, Signore, voi mi lusingate,
    ma è stato per me un gran piacere..
    PADRONE: Ma si, si vede a colpo d'occhio che voi siete fatto per questo..
    VANNI: Lavoro? Lavoro, LAVORO! Vi prego vi imploro datemi un lavoro!
    PADRONE: Suvvia, queste son cose delicate,
    non bisogna prendere decisioni affrettate.
    Tuttavia non rifiuto categoricamente
    devo solo pensarci attentamente
    e quando avrò la situazione ponderata,
    riceverete una mia chiamata.

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  11. SANDRINO: La sera ci dovevamo incontrare alla solita ora Flo's pub, ma me fecero aspettare minimo una mezz'ora, tempo buono pe' 'na sigaretta.
    SIR JULIO: Buonasera signori!
    VANNI: Buonsalve!
    SANDRINO: Bella!
    Saluti de circostanza, du' pinte de birra, poi ancora due e..
    VANNI: E sapete cosa mi ha detto?
    “Lei mi ha allietato con il suo dialetto,
    ha saputo farmi guadagnare
    adesso sono io a farle un favore:
    una telefonata da me deve aspettarsi
    con quello che ha fatto non c'è da meravigliarsi!”
    Capito, compari miei, quanto son capace?
    Più simpatico di un comico, più arguto di un rapace!
    SANDRINO: Io e Sir Julio non potevamo credere alle parole di quell'idiota e, mentre lo sfidavamo a darci una prova di quanto accaduto, il telefono di quello sbruffone squillò:
    VANNI: Qui parla Mastro Vanni, super lavoratore che mai combina danni!
    DIRIGENTE: Caro Mastro Vanni sono il dirigente atomico,
    fisseremo il tuo colloquio per un posto aristocratico,
    mi raccomando per l'orario: sia puntuale
    o potrebbe purtroppo finir male!
    Alle cinque di domani nel mio ufficio,
    e mi raccomando, faccia fuochi d'artificio!
    VANNI: Sissignore, stia tranquillo!
    Con la freschezza di un fringuello,
    di certo tardi non potrò arrivare,
    vedrà quello che so fare!
    DIRIGENTE: Dunque trascorra una lieta serata,
    ci vediamo domani in giornata!
    SANDRINO: Mastro s'era ripreso del tutto dalla sbronza come potete immaginare, e farfugliando qualcosa se ne uscì dal locale eccitato come un pulcino rincoglionito. Ma, 'n altra sigaretta in bocca, eravamo convinti che prima o poi ce saremmo potuti riscattare: quel beota, c'avremmo scommesso, c'avrebbe chiesto aiuto pe' 'l suo “gran colloquio“ de insulso venditore de giocattoli e allora noi glie avremmo suggerito de fa 'l saltimbanco, il buffone, il cretino; in modo tale da fargli fare un'emerita figura, certi che non sarebbe stato assunto.
    Intanto calò la notte e dopo la luna venne il sole e cor 'l sole...
    VANNI: Oh cari amici miei! Luci delle mie giornate!
    Spezie delle mie esperienze! Popolo del mio cuore!
    Succederà che arriverò dinanzi al capo e non saprò che dirgli,
    vi supplico, violentatemi di consigli!
    SANDRINO: 'Sarò io' risposi malignamente 'si, sarò io a dirte ciò che devi fare. Ascoltami bene: te ce piazzi davanti, lo fissi negli occhi e inizi a recitare Shakespeare, Keats, Byron, Shelley! Lui all'inizio non capirà, ma tu continua sempre più appassionatamente! E salta sulla sua scrivania, coinvolgilo, abbraccialo, fallo sentire parte del tuo spettacolo!
    SIR JULIO: Si! E.. balla anche! E canta! Sarà estasiato dalla tua melodiosa voce!
    VANNI: Ma veramente io non so cantare,
    beneamato compare!
    SIR JULIO: Ma tu fallo lo stesso: l'arte è il fulcro del nostro agire, il condimento essenziale alla nostra esistenza di scialbi sapori quotidiani..
    SANDRINO: E parla come magni!
    VANNI: Fare il buffone, alla prima riunione?
    Non credete sia una mossa da.. fesso? Perdonate l'assenza di rima in questo verso..
    SANDRINO: Allora. Uno: succhi..
    SIR JULIO: SANDRINOOO!
    SANDRINO: Ehm e due: tu devi fidarte de noi, semo tuoi amici, vogliamo solo il tuo bene!
    SIR JULIO: E dei soldi.

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  12. SANDRINO: Beh si certo, anche dei soldi.
    VANNI: Dunque compari confido nella vostra buona anima,
    sarò buffo sperando che sian dolci gli occhi di chi esamina.
    SIR JULIO: In bocca al lupo amico mio! Ricorda, l'importante è il tentativo, non il risultato.
    SANDRINO: Al che Vanni, un po' confuso, se recò al colloquio convinto de fa bella figura, vestito colorato e sorriso smagliante se presentò al datore de lavoro.
    VANNI: Buongiorno, ecco a voi Mastro Vanni il più simpatico da qui a cent'anni!
    DIRIGENTE: Ehm, buongiorno signore, lei è in anticipo di due ore! Ma se non le dispiace ecco, si sieda e un poco attenda, perchè secondo lei dovrei assumerla in questa azienda?
    VANNI: Io.. Allora: “Oh capitano, mio capitano!” Le volevo dire che:
    Oh Romeo Romeo, perchè sei tu Romeo?
    Oh Giulietta e tu? Perchè sei tu Giulietta?
    Ti dovrei paragonare a un giorno di estate? O forse d'inverno, lei è un po' pallidino..
    DIRIGENTE: Cosa intendete dire scusate?
    VANNI: Che le rose sono rosse, le viole sono blu..
    No, le viole sono viola sennò non si chiamavano viole.
    E.. le foglie son verdi! Si! Son verdi!
    E è nella linfa delle foglie che si insinua la sublime arte poetica,
    CARPE DIEM! CARPE FOGLIEM!
    DIRIGENTE: ahahahaha!
    VANNI: E noi, fragili esseri umani, alla ricerca di sicurezze e di passione effimera poetiamo:
    E c'è una siepe, la vedo! E al suo seguito possiamo immaginare l'infinito. Senza siepe non ci sarebbe infinito, quindi, la siepe è importante. Si, è importante. Piantate una siepe nel vostro giardino, coltivatela nel vostro animo! (sale sulla scrivania) E questa scrivania è un corvo o una scrivania? Essere o non essere! L'infinito. Ed oltre!
    DIRIGENTE: Bravissimo! Ancora! Ancora!
    Devo ammettere Mastro Vanni, sono sorpreso e confuso!
    Se son stato poco comprensivo in principio mi scuso,
    non so dove abbia trovato tanta energia
    ma non conobbi mai nessuno a lei simile in vita mia!
    Ora son il suo nuovo datore di lavoro e soddisfatto
    mi complimento con lei, ha avuto il suo contratto!
    Domani in fabbrica sia presente
    le aspettano 300 denari e un posto da dirigente!
    VANNI: Ah la ringrazio direttore,
    accetto questo incarico con onore,
    e se c'è altro che posso fare, mi dica,
    sono pronto a faticare!

    DIRIGENTE: Molto bene, dunque ho due cose da dirle:
    il colloquio particolare solo con me ha potuto funzionare
    un normale dirigente avrebbe interrotto lo spettacolo divertente
    il tuo comportamento particolare rischiava di ridurti male,
    farti finire in strada senza spiccioli neanche per mangiare.
    Ma più di tutto ho un favore importante da chiederti,
    conosci due giovanotti, di mentalità aperti,
    che senza che la prendan male
    sian disposti a fare i lustrascale?
    VANNI: Credo di aver presente due signori
    che d'inganno mi han tratto da impostori
    ma il lavoro che fa per loro è proprio questo
    e un colloquio dovrà chieder lor presto!

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  13. DIRIGENTE: Allora è deciso,
    spero di veder presto questi tuoi amici in viso,
    e di poter dar loro occupazione per tener pulita questa posizione.
    VANNI: avevo quindi trovato il modo di ingannar chi di me si era preso gioco
    e la sera stessa ritrovandoci al locale dissi queste parole ai miei amici cascati male:
    'Ancor più luci delle mie giornate, ancor più popolo del mio cuore,
    grazie per i consigli che mi han trasformato in lavoratore,
    spero sul serio possiate accettare l'unico regalo che posso fare:
    altri due posti rimangon in azienda,
    aspettano solo che qualcuno li prenda.
    Se desiderate lavorare, domattina in fabbrica dovete andare.'
    SANDRINO: Non ce posso credere! Vedrai Sir Julio, faremo 'n figurone, devo prendere un nuovo abito per l'occasione..
    SIR JULIO: Perdonate il sospetto ma.. Seriamente siete stato assunto da codella fabbrica? Recitando versi siete riuscito a conquistarli?
    VANNI: Certamente! Come dicevate!
    SIR JULIO: Bene bene.. Dunque prepariamoci a questa riunione che il posto sarà nostro sicuramente!
    VANNI: Preparatevi bene che il colloquio è impegnativo,
    rimarrete sorpresi dal risultato all'arrivo.
    SANDRINO: Mastro Vanni te ringraziamo, ma adesso facce riposare che domani saremo due dipendenti illustrissimi!
    VANNI: Li lasciai andare a casa in tensione,
    trascurando di metterli al corrente di quale sarebbe stata la loro mansione.

    SANDRINO: Allora il giorno appresso
    SIR JULIO: …Il giorno successivo
    SANDRINO: E che due…
    SIR JULIO: Sandrinooooooooo!!!
    SANDRINO: Che è?
    SIR JULIO: Modera i termini!
    SANDRINO: Ma se ancora non ho detto niente! E lasciame un po’ di spazio, no!? Allora, il giorno appresso andammo alla
    TUTTI: “Fabbrica dell’atomo”
    SANDRINO: Per partecipare a questo colloquio. Entramo…
    SIR JULIO: Entrammo
    SANDRINO: Io lo strozzo.
    VANNI: Sandrino, siate garbato,
    o il nostro pubblico ci lascierà seccato!
    SANDRINO: Mh. Allora lo strozzo dopo.
    Insomma entrammo ner negozio, salimmo all'ufficio del dirigente e ce assettammo e questo mio “eminentissimo” compare iniziò il suo incredibile discorso:
    SIR JULIO: Mi rivolgo a voi, illustrissimo direttore, portavoce del mio e del mio compar talento. L'amore per la cultura, la passione per l'opera umana, mi accompagnarono sempre, so narrar versi, SANDRINO: Di più, di più!
    SIR JULIO: ..Disquisir dei più alti e disparati topoi, il mio intelletto si innalza supremo sopra a tutti quelli di altri eventuali candidati e perciò vi dico che ciò che merito è un posto di prestigio, grandi somme di denaro, così che in vita io possa brillare come l'astro più splendido del firmamento. E abbiate considerazione inoltre anche per il mio amico Sandrino, il migliore nell'arte dell'organizzazione, del tecnicismo dei sistemi, un vero ingegnere atomico!
    DIRIGENTE: Ehm.. Io non credo che..
    SIR JULIO: Non interrompa la mia oratione! Ehm.. Eminentissimo. Dicevo.. Il nostro Sandrino, come me, non potrà mai essere un semplice impiegato, ma anche lui dovrà ricoprire un ruolo illustre, degno di un grand'uomo qual esso è.
    SANDRINO: Io farò il Presidente degli Stati Uniti d'America!
    DIRIGENTE: Ahahaha! Si! Bene!
    SIR JULIO: Ma cosa vai dicendo Sandrino? Le dicevo che l'occupazione che cerchiamo deve essere il più possibile seria e impegnativa, perchè noi siamo lavoratori di eccellente efficienza intellettuale come dicevo in precedenza..
    SANDRINO: E falla finita co' 'sto sermone!!!
    SIR JULIO: Colloquio, Sandrino, colloquio. Comunque, ve lo concedo, stavolta avete ragione, troppo serioso sono stato nel mio disquisire, anche se le mie solite chicche sono riuscito ad inserirle. E' che mi piace così tanto fare discorsi lunghi e polivalenti nello stile, nel linguaggio, nella sintassi. Che posso farci se mi piace l'italiano ma soprattutto la varietà di vocabolario e linguaggio? Bene signor dirigente, io ho terminato.

    RispondiElimina
  14. SANDRINO: Oh, meno male! Dunque terminato il suo SERMONE ce ne stavamo fermi e zitti davanti a quel grand'uomo aspettando che ci dicesse cosa dovesse essere di noi.
    VANNI: Ma i due compari miei, invero non sapevano
    in quale buffa situazione si trovavano
    e il dirigente che aveva una gran testa,
    essendosi avveduto della lor richiesta,
    rispose a quei furfanti
    DIRIGENTE: Mi avete assai colpito miei signori,
    coi vostri modi colti e raffinati.
    Sembrate, pur venendo dal di fuori,
    in casa di un nobile allevati.
    Però sono costretto a rifiutare il proponimento vostro
    ed il perchè vi mostro:
    chiedete voi un orario assai ridotto,
    poca fatica per un compenso tale,
    e al mio parer modesto, ve lo dico,
    sembra davvero troppo per due lustrascale!

    VANNI: E fu così che i miei compari adorati,
    per truffare me si ritrovarono truffati
    Le facce allibite, se ne tornarono a casetta
    la coda fra le gambe, il cappuccio sulla testa,
    e oltre il danno ebbero anche la beffa
    d’aver fatto una figura fessa.

    Il vostro Mastro Vanni vi saluta,
    sperando che la novella vi sia piaciuta.


    Scusate i mille-mila commenti.... Era ujn pochino lunga... :)

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  15. Pasqui,Sangiovanni,Poletti,Cardarelli,Ponzo

    Caro Francesco,
    il mio ingegno creativo nella novella di “Ser Ciappelletto” è tanto essenziale quanto fedele ai personaggi da me conosciuti in prima persona.
    Riporto questa vicenda ed ho deciso di aprire il Decameron con essa poichè a mio parere ben sintetizza il concetto chiave della mia composizione unitaria: esplicitare, portando esempi e prove, il valore dell’arte della parola.
    Come uomini, come individui unici nel nostro genere dobbiamo saper distinguerci con il nostro parlato, è proprio ciò che ci rende unici e che meglio può contraddistinguere la nostra persona.
    Oltre che a servirci da presentazione, un linguaggio ben articolato e corretto è come un’arma che noi teniamo sempre dalla parte del manico.
    Io nella mia opera utilizzo il fiorentino, cerco di disporre scelte retoriche azzeccate ed un’ampia varietà di linguaggi: mi sono riproposto di non essere mai banale, di sorprendere il lettore in genere e spero tu Francesco per primo. D’altronde ho usato la tua stessa lingua e questo qualcosa dovrà pur dire!
    Ho ben dosato la presenza di latinismi, qualche parola presa dal nostro amato Dante, qualche vocabolo di tradizione provenzale e poi un ampio lessico composto di termini dialettali della mia amata Certaldo.
    Ho voluto creare qualcosa di universale che potesse essere letto ed apprezzato da tutti, qualcosa senza tempo e che descrivesse uno spazio dilatato: mi piaceva dipingere una quotidianità che voialtri avete fin troppo trascurato, troppo presi come eravate a descrivere tu, il tuo mondo interiore e Dante, il mondo ultraterreno.
    Come dicevano i latini credo che tutto sia “hic”: sono si un cristiano, ma credo nell’abilità deterministica dell’uomo di gestire il proprio successo.
    Dante si è troppo fossilizzato su un entità divina, che io concepisco ed ammiro, ma allo stesso tempo il fato.
    Il caso così nella sua imprevedibilità ha un valore esistenziale che mi costringe a convergere tutta la mia attenzione sull’uomo e così verso la società che gli è intorno.
    Così ho buttato giù questa novella, prima senza grandi propositi, poi vedendola prendere forma sotto la mia mano puntigliosa ho deciso di darle una possibilità in più, una chance: metterla all’inizio della mia composizione.
    E non sbagliai. È la mia dichiarazione poetica: uscire dal caos attraverso un gioco maestoso con l’arte del parlare.
    Ser Ciappelletto oltre a rappresentare la classe borghese, come molti altri miei personaggi che incontrerai in seguito, ha saputo stravolgere il suo destino e portare il tutto a suo favore.
    Fu acuto ed ingegnoso, come chiunque dovrebbe essere: non per farsi beffa dei dogmi religiosi piuttosto per essere abile nel gestire i propri affari.
    Qui non si tratta di intaccare la sfera religiosa, ma piuttosto di sperimentare quella umana…
    Con ciò concludo mio caro Francesco, elogiando chi seppe più di me far trionfare il “vero” sul “falso”, chi seppe narrare una storia nella storia, beffandosi di tutti e tutti, privandosi di una morale che ormai sempre si avvia a rimanere solo un bel concetto in un’ottica immanente del mondo verso una prospettiva che trascura il trascendente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ingegno creativo nella novella di “Ser Ciappelletto” è tanto essenziale...CHE INTENDETE CON ESSENZIALE??

      saper distinguerci con il nostro parlato,...SAPERCI DISTINGUERE DA CHI???

      scelte retoriche azzeccate ...AZZECCATE NON MI PARE LA SCELTA AZZECCATA!

      spero tu Francesco TU è SOGGETTO...TE !

      ma credo NELLA POSSIBILITà dell’uomo di gestire il proprio successo.

      Dante si è troppo fossilizzato su un entità divina, che io concepisco (ALLA QUALE ANCHE IO CREDO??) ed ammiro, ma allo stesso tempo il fato...LA FRASE NON è FINITA

      mi costringe a convergere tutta la mia attenzione sull’uomo A CONCENTRARE ...OPPURE CHE COSTRINGE LA MIA ATTENZIONE A CONVERGERE...

      NELLA PARTE CENTRALE DEL TESTO TROPPI ERRORI LESSICALI E SINTATTICI...IL FINALE è INTERESSANTE!

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  17. O:<< basta! mi sono stancato! Non ce la faccio più! Sempre la solita routine, sempre i soliti vecchietti da derubare, voglio cambiare vita!>>
    P: <>
    O:<< e allora cambiamo!>>
    P:<>
    O: <>
    Osvaldo e Pedro ,amici di vecchia data, costretti da sempre a guadagnarsi da vivere in maniera disonesta, decidono di non accontentarsi più delle piccole truffe e provano ad inventarne una che gli avrebbe permesso di cambiare definitivamente vita.
    Così iniziano a lavorare notte e giorno sul loro nuovo “piano”.
    lì illuminazione venne poi a Osvaldo che ebbe la geniale idea di fingersi una coppia omosessuale innamorati a tal punto da volersi sposare . La risposta di Pedro alla proposta dell’amico fu:
    <>
    Osvaldo, che si aspettava una reazione simile decise di puntare tutto sul punto debole dell’amico.. i soldi.
    O:<< E vorresti dunque rinunciare a 10.000.000 di euro??>>
    P:<< e perché mai dovrebbero darci 10.000.000 di euro?>>
    A questo punto Osvaldo continuò a spiegare il suo piano, che non prevedeva solo il matrimonio, ma andava ben oltre; stipulare una polizza assicurativa sulla vita e poi fingere un incidente mortale in cui doveva rimanere implicato uno dei due, cosi l’altro avrebbe incassato i soldi.
    O:<< tanto poi ce ne andiamo da qui! >>
    Concluse osvaldo.
    Ci volle un po’ di tempo, ma alla fine Pedro si convinse e il tutto ebbe inizio : andarono in comune, e, svolte le pratiche burocratiche necessarie si sposarono; ora arrivava la parte difficile:per poter truffare l’assicurazione dovevano inscenare l’incidente mortale , rimanendo però illesi.. optarono per un incidente in mare, in modo che il corpo risultasse disperso e quindi non ci sarebbero stati problemi.
    Partirono, e, una volta trovato il luogo i due diedero inizio al piano.
    Uscirono con la barca e una volta tornati Osvaldo andò dalla guardia costiera dicendo che suo marito, caduto in mare,non era più riemerso in superficie, al sentir ciò quest’ultimi iniziarono subito le ricerche, ma dopo tanti inutili tentativi, lo dichiararono disperso.
    Tornati soddisfatti a Madrid Osvaldo si precipitò ad andare ad incassare subito i soldi, e tutto sembrava andare per il verso giusto.
    Il mattino seguente svegliandosi pedro non trova più ne i soldi ne Osvaldo, e, pensando che l’amico se ne fosse andato con il bottino, dise:
    P:<< ecco lo sapevo!, non dovevo fidarmi! Io dall’inizio non volevo farlo.. mi ha convinto il furboe poi è scappato con i soldi! Èh ma ora glielo faccio vedere io! >>
    Dopo essersi calmato, Pedro, sempre più convinto della sua teoria, decise di denunciarlo alla polizia.
    Appena riattaccato il telefono però sentì qualcuno bussare alla porta:
    O: << Pedro sono io, apri!
    Il volto di Pedro si fece improvvisamente cupo; cosa aveva fatto? Aveva tradito il suo amico di sempre, nonostante ciò riuscì a parlare:
    P:<< ma dove eri finito? Ti sto cercando da stamattina!>>
    O:<< dai dai poi ti spiego, ora dobbiamo sbrigarci, è già tutto pronto! Sono andata a prenotare il volo, andiamo alle Maldive!
    Era l’entusiasmo fatto persona mentre Pedro incarnava la preoccupazione. Ormai aveva fatto partire la denuncia e questo gli avrebbe indubbiamente creato dei problemi per la partenza,e così fu: i poliziotti li riconobbero e gli impedirono di partire.
    Vennero così arrestati tra i sensi di colpa di Pedro e l’incredulità di Pedro.

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  18. certo che trovare un testo senza nomi degli autori...e senza un titolo evidente...mette a dura prova le capacità della povera vecchia prof.!!!

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  19. c'è qualche erroretto ortografico qui e là...peccato che mi abbiate fatto sudare così tanto per leggere il vostro testo..idea carina ma il finale è troppo sbrigativo...avreste potuto giocare di più sull'equivoco tra i due amici...ne sarebbero uscite scene divertenti!! voto 6/7

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