sabato 9 febbraio 2013

-Recensione libro Gennaio



33 commenti:

  1. ANDREA CARDARELLI
    “Il barone rampante” di Italo Calvino

    (PARTE 1)
    Italo Calvino è una figura di rilievo internazionale. La sua attività letteraria si sviluppa tra l’immediato dopoguerra e i primi anni ottanta. La sua narrativa procede in molte direzioni, dal fantastico alla fiaba, dal fantascientifico al razionalistico, con un’estrema varietà di temi e con un originale intreccio tra finzione e realtà, allegoria e satira. Il piacere di raccontare vicende fantastico-fiabesche lo porta a descrivere mondi surreali con lucida razionalità. Il barone rampante appartiene, insieme agli altri due romanzi della Trilogia Araldica, Il visconte dimezzato e Il cavaliere inesistente, al periodo durante il quale Calvino si dedicò con particolare fervore alla letteratura fantastica, prendendo spunto dalla sua conoscenza della letteratura popolare. In questo romanzo si narra di un adolescente di 12 anni, Cosimo, figlio del barone di un paese della Liguria, che, stanco della vita piena di regole e costrizioni, decide, come segno di protesta, di andare a vivere sugli alberi e di non scendere mai più.
    Dapprima Cosimo conosce una bambina, Viola, di cui si innamora perdutamente; ma in seguito questa parte, spezzandogli il cuore.
    Negli anni seguenti Cosimo si adatta alla vita sugli alberi sopravvivendo grazie alla caccia e vivendo molte avventure e molti avvenimenti: lotta contro i pirati, legge molti libri diventando un filosofo conosciuto in tutta Europa, conosce un pericoloso brigante, che riesce a redimere grazie alla cultura ma che vede poi morire sulla forca, fonda una squadra di vigili del fuoco, incontra un gruppo di persone spagnole che come lui vivono sugli alberi e conosce Ottimo Massimo, il cane che gli tiene compagnia per molti anni. Un giorno Viola ritorna a casa, e tra i due nasce un grande amore, che però si conclude male e quindi la ragazza riparte.
    Cosimo passa tranquillamente gli ultimi anni della sua vita e alla fine muore, a sessantacinque anni, dopo essersi ammalato gravemente, attaccandosi all'ancora di una mongolfiera in volo e buttandosi lontano dal suo paese, per non dare agli abitanti la soddisfazione di vederlo alla fine toccare la terra.
    Il personaggio principale de “Il barone rampante” è senza ombra di dubbio Cosimo. Anche se del suo aspetto fisico l'autore non scrive niente, mentre il suo comportamento e il suo carattere vengono riportati nel romanzo con estrema cura. Calvino ci narra, con un intreccio sostenuto dalla voce narrante di Biagio, fratello del protagonista, la storia di una ribellione che parte da un nonnulla, da una sorta di capriccio, da una piccola frattura nei consueti schemi della famiglia Rondò. Eppure tutte le più grandi ribellioni partono da un piccolo gesto e quella di Cosimo diverrà il simbolo delle ideologie politiche e sociali di un movimento culturale ben preciso, l'illuminismo, che proprio in quegli anni fioriva in Francia e si sarebbe poi diffuso nel mondo, favorendo dapprima la nascita della Costituzione degli Stati Uniti d'America e, in seguito, lo scoppio della rivoluzione francese che segnerà le sorti dell'intera Europa. Eppure l'Illuminismo non nasce assolutamente con scopi bellicosi, anzi, come disse il filosofo Immanuel Kant, esso "è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza la guida di un altro".

    *Mio fratello sostiene che chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria.*

    RispondiElimina
  2. “Il barone rampante” di Italo Calvino
    (PARTE 2)

    Il distaccamento di Cosimo da una famiglia troppo legata al passato e il suo folle gesto di andare a vivere sugli alberi vanno intesi proprio come l'uscita dal suddetto stato di minorità. Ciò che appare prima come il cocciuto imputarsi di un bambino acquisterà presto tutt'altro spessore, diverrà uno stile di vita, una filosofia, una personificazione, quella dell'intellettuale che per osservare oggettivamente la realtà è costretto a distaccarsene, ma anche una ricerca, quella della libertà dell'Uomo, che torna ad uno stato naturale dove non esistono le parole mio e tuo. E nonostante la sua vita sugli alberi, Cosimo non trasformerà mai questa sua condizione in isolamento, non smetterà di essere partecipe nella società, non terrà per se questi ideali e, anche quando verrà preso per pazzo, tenterà costantemente di diffondere il lume della ragione su chi, al contrario, è ancora troppo aggrappato alla terra. Dal punto di vista stilistico, l'autore ha raccontato tutto con un tono umoristico che spinge il lettore a continuare la lettura senza fermarsi. Sono presenti elementi di lingue straniere come il francese ed il tedesco, e il racconto è esposto in tono colloquiale. Grazie ad un stile molto scorrevole, privo di lunghe riflessioni e descrizioni, ho trovato questo racconto molto avvincente ed entusiasmante. Infine, una cosa che mi affascina molto è la capacità dell’autore di creare storie dal sostrato surreale e fiabesco che non sono mai finalizzate al semplice diletto e nascondono sempre un livello allegorico complesso, che si rivela diversamente da lettore a lettore e di lettura in lettura. In particolare Il barone rampante è uno di quei libri che si potrebbero leggere anche venti, cento, mille volte, scoprendo ogni volta nuove e varie chiavi di lettura, molte delle quali si possono cogliere solo con una giusta maturità e conoscenza di determinate correnti culturali ed eventi storici.

    RispondiElimina
  3. La bella estate di Cesare Pavese, Kristian Galanti
    (parte 1)

    Analisi del dramma adolescenziale: Pavese aiuta a riflettere.

    La forte tematica affrontata e la sottolineata propensione all’analisi del dramma adolescenziale espressa da Pavese rappresenta il motivo per cui questo libro dovrebbe essere letto proprio in questa età: l’autore riesce nel breve romanzo a descrivere minuziosamente i sentimenti di una ragazza che perde forse troppo presto la sua virtù ed il conseguente pentimento, che diviene emblema di tutti gli errori che si possono commettere in un’età che, seppur burrascosa, sarà più volte rimpianta successivamente. Potersi riconoscere in questo dramma, saperlo capire e poterne trarre insegnamento fa riflettere: Pavese –quindi- aiuta a riflettere in un’età in cui sembra difficile poterlo fare

    Ginia è una sedicenne timida, lavoratrice, che vive con il fratello Severino; solo dopo aver conosciuto Amelia, una ragazza più grande di lei, si avvicinerà ad un ambiente artistico torinese nel quale vi è Guido, del quale si innamorerà profondamente. Consapevole di un amore non ricambiato, Ginia accetterà le continue proposte “ambigue” dell’amica, e si vedrà obbligata a chiudere un capitolo della sua breve vita che non aprirà mai più.
    La trama semplice e lo stile “staccato” e deciso di Pavese celano in realtà un intenso intreccio di allusioni, simboli e metafore che rendono il libro complesso e piacevole. Se di primo impatto la sedicenne torinese sembra essere protagonista e motore dell’opera, da una più attenta analisi si potrà scorgere come in realtà tutto il racconto prenda forma semplicemente grazie alla perfetta commistione di due realtà che sono parte integrante dell’opera: l’arte e l’estate. L’ambiente artistico torinese non diviene solo vano sfondo e luogo di ritrovo dei protagonisti ma motore dell’opera, punto di legame che riesce ad accomunare passioni e vicissitudini proprie dei personaggi.

    RispondiElimina
  4. (parte 2)

    Lo stesso discorso vale per l’estate: “A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e attraversare la strada, per diventare come matte, e tutto era bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravano ancora che succedesse qualcosa, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all'improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline..”. L’estate diviene dunque uno stato dell’anima e non più una stagione. Con l’avvento dell’inverno prende dunque forma una immediata riflessione: “ Le giornate passavano adagio, ma il freddo aiutava a starsene al chiuso, e Ginia in quella malinconia pensava che un’estate come l’ultima non l’avrebbe passata mai più.”
    Essenza del racconto rimane pur sempre la storia di una ragazza pentita di aver donato la propria virtù troppo presto. In tal senso lo stesso autore definisce “La bella estate” come “la storia di una verginità che si difende”, proponendo come reazione della ragazza il cedimento alle proposte dell’amica. Funzionale in tutto ciò è la capacità descrittiva dell’autore: “Solo la voce di Guido riempiva la stanza e spiegava qualcosa che lei non capì perché tendeva l’orecchio al sofà. Una luce notturna veniva dai vetri, come un riflesso elettrico della pioggia, e si sentivano sgocciolare, sciacquare, scorrere tetti e grondaie. Tutte le volte che per caso la pioggia e la voce tacevano insieme, pareva che facesse più freddo. Allora Ginia tendeva gli occhi nel buio per distinguere la sigaretta di Amelia.”
    La potenza descrittiva è impressionante: in maniera efficace ed equilibrata, Pavese riesce a trasmettere tramite il contesto, ciò che provano i personaggi evocando quasi il tòpos letterario della corrispondenza personaggio-paesaggio. In tal senso le sequenze descrittive, sovrastanti quelle narrative, qualificano questo romanzo non solo come mera descrizione di una vita adolescenziale, ma come descrizione del dramma di questa età, proponendosi più come un’analisi psicologica che come un romanzo narrante.

    RispondiElimina
  5. RICCARDO D'ARCH
    “ IO NON HO PAURA “ è un romanzo scritto da NICCOLO’ AMMANITI che tratta la storia di un bambino ,MICHELE, che un giorno viene a conoscenza di un buco in un terreno di campagna e al suo interno c’era un bambino…FILIPPO , rapito dal padre di Michele e da alcuni suoi amici per avere un riscatto.
    Leggere questo libro è stato un vero piacere , grazie alla semplicità e al realismo del linguaggio che rendeva la lettura piacevole e scorrevole .
    Leggendo questo romanzo ho avuto molti momenti in cui interrompevo la lettura e rimanevo anche 5-10 minuti a pensare tra me e me sul divano sulle varie tematiche che il libro mi offriva.
    “QUELLA MATTINA AVEVAMO PRESO LE BICICLETTE. DI SOLITO FACEVAMO DEI GIRI PICCOLI, INTORNO ALLE CASE, ARRIVAVAMO AI BORDI DEI CAMPI , AL TORRENTE SECCO E TORNAVAMO INDIETRO FACENDO LE GARE. LA MIA BICICLETTA ERA UN FERRO VECCHIO , CON IL SELLINO RATTOPPATO , E COSì ALTA CHE DOVEVO PIEGARMI TUTTO PER TOCCARE A TERRA”…con questa parte di testo ho avuto il ricordo della mia infanzia estiva in montagna ,quando la mattina io insieme al mio gruppo di amici , andavamo al famoso “CAMPETTO” per giocare a pallone tutta la mattinata e poi, tornare a casa con la BICICLETTA tutti stanchi e sudati.
    Spero che questi momenti non verranno cancellati mai dalla mia mente così da portarli con me per tutta la vita.
    Continuando la lettura però sono rimasto deluso su come la figura della donna in passato e soprattutto al SUD , veniva sminuita da un marito che prendeva le orme di un PATER FAMILIAS :
    “MAMMA NON SEDEVA MAI A TAVOLA CON NOI. CI SERVIVA E MANGIAVA IN PIEDI. CON IL PIATTO POGGIATO SOPRA IL FRIGORIFERO. PARLAVA POCO, E STAVA IN PIEDI. A CUCINARE. A LAVARE. A STIRARE. SE NON STAVA IN PIEDI , ALLORA DORMIVA…”
    Si conferma ciò che avevo detto, quindi la descrizione della donna in un ambiente arretrato mentalmente, in cui predilige la figura del marito padrone.
    Questi comportamenti sono molto simili a ciò che i nostri bis/nonni facevano , infatti loro erano la fonte di guadagno per la famiglia e così la moglie e anche i figli dovevano avere un comportamento di “sottomissione” nei confronti del padre/marito.
    In questa immagine ROVINATA del sud ITALIA , Niccolò Ammanti fa notare anche un altro fattore molto importante: la CRIMINALITA’ per soldi e la sua influenza nella famiglia.
    “IN FONDO ALLA VALIGIA C’ERA UN ASCIUGAMANO ARROTOLATO. L’HO APERTO E DENTRO C’ERA UNA PISTOLA….FORSE ERA CARICA../….SI è ALZATO . SEMBRAVA SE NE VOLESSE ANDARE , POI SI è RISEDUTO SUL LETTO. ASCOLTAMI BENE. NON STO SCHERZANDO. SE CI TORNI TI AMMAZZO DI BOTTE . SE TORNI UN'ALTRA VOLTA Lì , QUELLI GLI SPARANO IN TESTA..”
    Le due parti estrapolate dal romanzo parlano rispettivamente della presenza di una pistola dentro la valigia di un amico del padre di MICHELE , coinvolto nel rapimento di FILIPPO... l’altra parte invece è un dialogo tra Michele e suo padre , in cui quest’ultimo avvisa Michele di non andare più da Filippo (bambino rapito).
    Qui si nota la figura di un padre che minaccia il proprio figlio affinchè il rapimento non vada in fumo. Michele però con tutto che il padre lo abbia minacciato , non si tira in dietro e vuole a tutti i costi dare sfogo al suo carattere ALTRUISTA : “ HO PRESO LA TORTA DALLA TASCA. GUARDA CHE TI HO PORTATO/..NELLA TASCA DI DIETRO AVEVO LE CARAMELLE. TIENI PRENDI!/..DOMANI TE NE PORTO ANCORA. COSA VUOI?..
    Qui si evince come un bambino possa essere sensibile e comprensivo di ciò che stava accadendo…aiutare una persona in difficoltà rischiando anche di prendere dei rimproveri….VOI COSA AVRESTE FATTO?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sei sulla strada giusta ....hai capito il tipo di lavoro ...ma ci sono imprecisioni stilistiche ....in vari punti sei poco fluido ..rileggi il compito e cerca di aggiustarlo!

      Elimina
  6. BULGAKOV – Le uova fatali
    (parte 1)
    Nella Mosca degli anni ’20, il professor Persikov, scorbuto e solitario uomo di scienza, scopre quello che la stampa dell’epoca denomina presto “il raggio della vita” o “il raggio rosso”. Persikov, abituato a seguire con rigorosa puntualità la sua routine quotidiana (così puntuale, che i moscoviti, alla vista della sua persona, sincronizzavano gli orologi) viene lanciato dall’autore in un frenetico accavallarsi di eventi che, non solo interesseranno l’altezzoso professore, ma lo coinvolgeranno tanto da fargli “venire un colpo”.
    Leggendo “Le uova fatali” si assume la visione distaccata e indagatrice dello stesso protagonista. E’ come se la più che consumata lente di ingrandimento del professore si piazzasse davanti all’occhio del lettore, costringendolo ad osservare ciò che sta intorno: Bulgakov descrive una società frenetica, assetata di segreti e novità, tanto da invadere la vita del tranquillo professore in modo sconsiderato; tutto ciò in contrapposizione al protagonista, il già citato professor Vladìmir Ipat’evic Pèrsikov, la ragione fatta persona. Conseguenza di questa marcata differenza sono situazioni paradossali, che sfociano in una satira sociale talvolta pungente.
    La figura del professore mi ha subito colpito. L’autore lo descrive subito come una vittima del pensiero, sia negativamente che positivamente. Il professore, infatti, dà la precedenza al bisogno di conoscere e di scoprire, sacrificando altri bisogni da lui considerati secondari (è solito trascorrere notti insonni con il suo amato microscopio, dimenticarsi di mangiare etc..). Agli occhi di chi lo circonda, il professore appare un personaggio singolare:
    “Con Pèrsikov tutti parlavano o con rispetto o con timore, o con tono accondiscendente, come a un bambino troppo cresciuto.”
    Con questa affermazione, l’autore dà vita alla pluri-personalità di Persikov: da una parte, la razionalità, ferma e decisa, dall’altra l’irrazionalità, tipica dei bambini, che genera negli interlocutori un misto di imbarazzo e diletto.
    La scoperta del “raggio della vita” vede questo ambiguo personaggio confrontarsi con la società. Subito, il confronto si mostra asfissiante per il professore: miriadi di giornalisti irrompono nel suo studio, telefonate da ogni dove lo raggiungono ovunque si trovi, enormi cartelloni pubblicitari lo ritraggono. Alla fine della storia, il suo esperimento gli viene sottratto da un certo Rokk (che, guarda caso, è fonicamente simile alla parola russa con significato di destino), ed utilizzato per placare la moria di polli che stava consumandosi in Russia in quel periodo. Ed alla domanda::
    “Ma non avrebbe potuto rifiutare?”
    postagli dal libero professor Ivànov, suo collega, l’autore risponde:
    “Pèrsikov divenne paonazzo, afferrò il documento e lo mostrò ad Ivànov. Quelle lesse e ridacchiò ironicamente: “E già…””

    RispondiElimina
  7. Le uova fatali
    (parte 2)
    Quello che il professore ha tra le mani è un documento ufficiale, approvato dalle moltissime associazioni a sostegno dei polli che si erano create in quella occasione. La situazione, però, peggiora quando, ignari delle terribili conseguenze sugli animali (il professore aveva infatti osservato una crescita anormale degli animali sottoposti al raggio della vita), Rokk sottopone uova di coccodrillo e di struzzo (destinate al professore) al raggio, gettando l’intera Russia in preda all’isteria.
    La vittima della pazzia è il povero professor Pèrsikov, ritenuto responsabile della catastrofe.
    Il professore viene quindi, nuovamente, investito dalla potenza della massa, che lo sconvolge e lo travolge. L’unica voce fuori dal coro è messa a tacere, l’ultimo briciolo di ragione spazzato via dalle “bestie selvagge”.

    Giulia

    RispondiElimina
  8. Andrea renzetti
    RECENSIONE Il ritratto di Dorian Gray
    Il ritratto di Dorian Gray è un romanzo di Oscar Wild del 1891, considerato dai critici la Bibbia del decadentismo e dell’estetismo nella letteratura. Ambientato nella Londra borghese del XIX secolo, narra la storia del giovane Dorian Gray, che riceve in regalo da Basil Hallward,un suo amico pittore, un suo ritratto, che lo riproduce nel colmo della giovane età. Egli inizia provare invidia verso il suo stesso ritratto, eternamente bello e giovane e ciò lo porterà a stipulare un "patto con il diavolo", grazie al quale rimarrà eternamente giovane e bello, mentre il quadro mostrerà i segni della decadenza fisica e della corruzione morale del personaggio. Il romanzo continua ad essere uno dei romanzi più letti ed apprezzati dal pubblico e offre al lettore molti spunti di riflessione. Per quanto riguarda il punto di vista storico, il romanzo costituisce un’interessante spaccato sulla società londinese del XIX secolo, caratterizzata da un forte divisione tra ceto borghese e proletariato; nelle parole di Lord Enrico, nelle prime pagine del romanzo, rintracciamo la polemica sociale tra queste due classi:“Ho molta simpatia per l’ira della democrazia inglese contro quella che essa definisce i vizi delle classi superiori. Le masse sentono che l’ubriachezza, l’ignoranza e l’immortalità sono prerogative loro proprie e che se qualcuno di noi si comporta come un cialtrone va a caccia nelle sue riserve […] tuttavia credo che neppure il dieci per cento del proletariato viva onestamente”. Il mondo borghese Londinese viene descritto nel romanzo in maniera molto ampia: il lusso, i piaceri, il gusto per il bello,i vizi, le passioni e tutte caratteristiche che appartengono all’alta borghesia inglese del XIX secolo, trovano l’esasperazione nella tematica più importante del romanzo, quella dell’estetismo del decadentismo; Oscar Wild ha utilizzato la sua enorme fantasia e la sua sapienza letteraria creando un’atmosfera di delitti, magie e folli avventure, legate proprio al tema del bello e del piacere. La bellezza come il piacere, non essendo beni perenni, sono in conflitto con lo scorrere del tempo ma l’esteta, colui che antepone la bellezza a qualsiasi altro valore morale sociale e politico deve comunque fare i conti con il passare del tempo, e per far questo è disposto a vendere la sua anima al diavolo. In questo modo vediamo compiersi l’apice dell’estetismo, un uomo che è disposto a vendere la sua anima al diavolo pur di essere sempre giovane. Così per Dorian Gray non esiste il bene ma solo il piacere e per realizzare a pieno la sua personalità deve violare tutte le norme della morale comune, senza fermarsi neppure davanti ai delitti più orribili. Il piacere, l’eterna giovinezza e tutto ciò che ne comporta nella vita pratica hanno un potere così forte sull’esteta, che lo stregano, facendolo vivere in un una realtà edonistica di sregolatezza e totale inosservanza delle norme morali; questo accade a Dorian Gray, che viene a trovarsi imprigionato nell’oscuro delirio della tragedia, tanto da perdere il senno e uccidere il pittore amico Basil Hallward.

    RispondiElimina
  9. Andrea Renzetti (parte 2)
    L’esaltazione della ricerca del piacere spinge l’uomo in una dimensione che non più quella Kantiana, dove vige l’imperativo categorico e dove in ogni individuo risiede la legge morale, ma in una dimensione edonistica, dove il fine ultimo è sempre il piacere, ad ogni costo. Per Dorian Gray dunque “l’unico modo per resistere alle tentazioni è cedervi”,e “il peccato è veramente l’unico motivo di colore per la vita moderna”. In questo modo però Dorian vede morire la sua anima, giorno dopo giorno, delitto dopo delitto proprio su quella tela: “il quadro era stato per lui come una coscienza, si, era stato la sua coscienza”. Il quadro, allegoria di rimorso e specchio dell’anima è anche il simbolo del rapporto tra vita come arte e arte come vita: il confine è così breve che l’anima stessa di Dorian si trasferisce sulla tela. Dorian Gray non può più guardare il quadro, la prova dei suoi delitti, la sua coscienza, senza uscirne turbato e sconvolto: deve dunque uccidere “ la sua anima vivente” per sentirsi veramente in pace; così avviene e non appena colpisce la tela anche egli cade a terra morto, poiché è legato indissolubilmente al quadro. Il rapporto dunque tra arte e vita reale è un rapporto molto particolare: si tratta di un rapporto indissolubile come il rapporto tra anima e corpo. Particolarmente importanti sono anche le parole con cui Oscar Wilde chiude il romanzo: “entrati videro uno splendido ritratto del loro padrone […] a terra giaceva un uomo morto in abito da sera con un coltello piantato nel cuore. Era sfiorito rugoso, ripugnante nel volto. Solo esaminando i suoi anelli riuscirono a riconoscerlo.” A mio avviso è significativo non solo il fatto che il volto dell’uomo sia così cambiato da essere irriconoscibile, ma che i servitori riconoscano il padrone solo esaminando i suoi anelli, oggetti che richiamano al mondo del bello esteriore e dell’apparire.

    RispondiElimina
  10. Relazione del libro “IO NON HO PAURA” di Niccolò Ammaniti

    “Io non ho paura” è senza dubbio uno tra i più famosi romanzi dello scrittore romano Niccolò Ammaniti, pubblicato per la prima volta nel 2001.
    Il romanzo,ambientato nel 1978 nel paesino di Acqua Traverse nel sud Italia, narra dell’incredibile storia di Michele, un bambino di 9 anni che si ritrova nella più spiacevole delle situazioni.
    Un giorno, dopo aver perso un scommessa, viene obbligato dagli amici a salire al piano superiore di un casa abbandonata e in pessime condizioni. Una volta salito intravede in un buco nel terreno un gamba appartenente a un bambino, Filippo, il quale era stato sequestrato dai “grandi” i quali avevano chiesto un riscatto al padre del rapito.
    Da questo momento vi è il cambiamento radicale della vita e dei sentimenti del protagonista, il quale esce prematuramente dalla fase infantile assumendo una maggiore maturità.
    Le sue inquietiduni e tormenti aumenteranno ancora di più quando si vedrà costretto a non parlarne con nessuno e a tenersi questo peso dentro, visto che scopre che a rapire il bambino è stato proprio il padre, insieme agli altri “grandi”.
    Tuttavia non riesce a tenere il segreto e confida tutto al suo migliore amico Salvatore il quale però lo tradisce raccontando tutto agli adulti, i quali proibiranno al ragazzo di continuare a vedersi con il sequestrato, con il quale Michele aveva stresso un forte legame di amicizia.
    Proprio da questo momento si mostrano più di prima le grandi doti umane del protagonista che, anche un po’ ingenuamente, correrà in soccorso dell’amico, il quale è prossimo alla morte per mano dei sequestratori.
    Alla fine Michele riuscirà a trovare Filippo, il quale non riusciva nemmeno a reggersi sulle gambe, e a portarlo in salvo, il tutto a sue spese visto che poi verrà ferito con un colpo di pistola dal padre stesso che non lo aveva riconosciuto.
    Questo è uno dei miei romanzi preferiti, perché mi ha dato molti spunti di riflessione su varie tematiche, a partire delle pessime condizione economiche nel sud Italia, dove la mancanza di lavoro spinge le persone alla criminalità e dove il denaro è considerato più importante di una vita umana.
    La cosa che poi mi ha turbato di più è la normalità nella quale vive questa gente che non sembra avere un minimo di rimorso per il gesto compiuto e soprattutto l’indifferenza delle mogli dei “grandi” coinvolti nel sequestro. Anche il comportamento di Salvatore è tutt'altro che esemplare; infatti, spifferando il segreto dell’amico al padre, dimostra di non avere nemmeno una delle qualità di Michele, anzi si può benissimo dire che sia il suo opposto in quanto a valori morali.
    Un’altra tematica, la più importante, è la figura del protagonista, il quale dimostra di essere dotato di valori umani incredibili considerando l’età di nove, e proprio prendendo in considerazione questa, emerge la sua qualità più grande, la maturità. O ingenuità ?
    Da una parte è vero che è un ragazzo maturo, perché riesce a comprendere la situazione che sta accadendo e che deve fare qualcosa, ma, d’altra parte, può essere considerato ingenuo perché un persona matura ci avrebbe riflettuto un po’ su prima di agire in tal modo, e penso che la maggior parte di noi non avrebbe mai fatto una cosa del genere sapendo a cosa andava in contro. Quindi Michele agisce troppo impulsivamente non tenendo presente le eventuali conseguenze, non dimostrando la maturità tanto elogiata, che metto dunque in discussione. Non metto tuttavia in discussione le altre due grandi qualità del ragazzo che emergono nel romanzo, quali il coraggio e l’umanità.
    In conclusione consiglio a tutti questo libro perché la lettura è piacevole e scorrevole e soprattutto perché riesce a darti forti emozioni, a tenerti sempre con il fiato sospeso, a darti vari spunti di riflessione e a interrogarti sul comportamento che avresti tenuto in una simile situazione.

    Valerio Bartoli.

    RispondiElimina
  11. “L'Alchimista” è un libro pubblicato per la prima volta in Brasile nel 1988 da Paulo Coelho, uno degli autori contemporanei più importanti della letteratura mondiale.

    Il romanzo narra la storia di Santiago, un giovane pastorello andaluso il quale, alla ricerca di un tesoro sognato, intraprende quel viaggio avventuroso, insieme al reale e al simbolico che, al di là dello Stretto di Gibilterra e attraverso tutto il deserto nordafricano, lo porterà fino all'Egitto delle Piramidi; e sarà proprio durante il viaggio che il giovane, grazie all'incontro con il vecchio Alchimista, salirà tutti i gradini della scala sapienziale, compiendo infine la sua “Leggenda Personale”.

    Il messaggio che l'autore vuole far emergere dal suo libro e ciò che a prima vista colpisce maggiormente il lettore, è proprio l'ammonizione che Coelho lancia verso tutti gli uomini, affinchè intraprendano i propri sogni cercando di impegnare tutti loro stessi perchè questi si realizzino; l'autore con il suo libro vuole dunque consigliare ai suoi lettori di concentrarsi sul loro futuro e di provare a raggiungere quella realtà che prima potevano solamente immaginare, senza aver paura di non riuscire o di incontrare ostacoli nel percorso, dunque senza perdere mai la speranza perchè, come ci insegna ancora Coelho, attraverso la nostra forza di volontà, l'amore la tenacia riusciremo sempre a superarli. Una frase che riassume un po' tutte le tematiche affrontate nel libro e sopra esposte è proprio: “Ascolta il tuo cuore, esso conosce tutte le cose”. A fronte di tutto ciò, è ben chiara la storia di Santiago che, alla stregua di un sogno fatto per ben due volte, decide con coraggio di realizzarlo e intraprende un viaggio che dalla Spagna lo porterà in Africa, alla ricerca di un misterioso tesoro; durante il percorso conosce personaggi particolari che lo aiutano a trovare il coraggio di continuare, ad imparare il linguaggio che va aldilà delle parole, a capire cos'è l'entusiasmo per la vita, a guardare il mondo non per come sembra, ma per come è. Il viaggio caratterizza anche il protagonista stesso, che in questo modo diviene un personaggio dinamico: grazie alle nuove ricchezze accumulate nel percorso, può finalmente considerarsi pronto per affrontare la vita insieme alla sua amata, come fosse una festa, perchè ora la vita è diventata per lui interessante, da vivere senza rimpianti, con la continua capacità di riuscire a meravigliarsi e pronto a "mantenersi sempre nel presente", da vero protagonista perchè "ogni giorno è fatto per essere vissuto e per poi essere abbandonato"; Santiago dunque, è stato capace di essersi scelto il suo destino, di raggiungere una maturità con la quale può aprirsi agli altri e condurre sereno la sua vita. Concludo citando un'ultima frase, tratta ancora dal libro che, leggendola, personalmente infonde in me un grande sentimento di speranza:"L'ora più buia è sempre quella che precede il sole".

    Alessandro Pasqui

    RispondiElimina
  12. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  13. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  14. Silvia Venturini __ Cecità __ Josè Saramago (parte 1)
    Josè Saramago in questo romanzo immagina un contagio di cecità in una città. Questa cecità viene nominata dagli studiosi "mal bianco" in quanto la "visone" che i ciechi hanno è completamente bianca e viene descritta con l'espressione "mare di latte". La città, come anche i protagonisti stessi della storia, non sono espressamente identificati, i personaggi vengono presentati tramite le loro caratteristiche fisiche o il ruolo che occupano nel racconto; anche i loro discorsi sono resi anonimi, ciò è reso dalla tecnica di scrittura, infatti i dialoghi non sono segnalati nel testo dalle comuni virgolette ma sta al lettore riconoscere la voce del personaggio; ciò contribuisce a rendere il lettore cieco e quindi partecipe delle disavventure degli sfortunati protagonisti.
    La cecità inizia a diffondersi gradualmente tra la popolazione di questa sconosciuta città e i primi contagiati vengono reclusi in un ex manicomio. I primi ad essere trasferiti nel luogo di orrori sono un medico oculista e sua moglie che pur non essendo stata contagiata decide di non abbandonare il marito fingendo anche lei di non essere scampata alla cecità che ben presto invaderà la città e che scopriremo risparmierà solo lei. Il manicomio, sorvegliato a vista dalle forze dell'ordine, si popola di ciechi fino al completo esaurimento degli spazi, in questo contesto è già possibile immaginare i disagi che queste persone sono costrette ad affrontare, ma la descrizione attenta e minuziosa di Saramago rende anche il lettore stesso cieco e lo sconvolge con i comportamenti di uomini come lui che, in situazioni così difficili, iniziano a dimenticare l'importanza della civiltà, del rispetto degli altri, del proprio corpo e di quello altrui; la situazione di panico si ripercuote sul lettore che immedesimandosi e rendendosi partecipe della comune disgrazia tenta invano di trovare soluzioni e organizzare la vita di persone che dalla disperazione giungono a creare un pensiero che lega con un rapporto di simbiosi il senso della vista con l'esistenza stessa, andata via la vista, dunque, non c'è quasi più motivo della nostra esistenza.
    è sconvolgente come, privati della vista, gli uomini dimentichino l'evoluzione sociale e culturale avvenuta nel corso dei secoli, tornando a comportarsi in modo animalesco rispondendo soltanto a degli impulsi e all'istinto di sopravvivenza che ci trasformano in bestie egoiste, senza controllo nè rispetto; "se non siamo capaci di vivere globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali" aveva ripetuto spesso la moglie del dottore ai suoi compagni di camerata.

    RispondiElimina
  15. Silvia Venturini (parte 2)
    Il romanzo scatena nel lettore una serie interminabile di emozioni, dalla compassione per queste vittime, al disgusto per la descrizione soprattutto delle situazioni igieniche in cui vivono i ciechi e la costretta rassegnazione davanti ai comportamenti dei più forti.
    Come era prevedibile in una città in cui tutta la popolazione è vittima della stessa struggente cecità, si vengono a formare dei piccoli gruppi, che facilitano la sopravvivenza, e la predominaza degli individui più forti o che dispongono di mezzi adatti al comando; un esempio di un gruppo dominante è quello che si viene a formare nell'ultimo periodo di reclusione nel manicomio, il "capo" è l'unico a possedere una pistola e con essa incute terrore agli altri ciechi e quindi può permettersi di dettare le leggi ma soprattutto gestire e razionare il cibo per i "compagni"; inizialmente il cieco si limita a chiedere di pagare il cibo con oggetti di valore, successivamente con queste parole lui e il suo gruppo ordinano agli altri ciechi "portateci delle donne" , "se non ci portate delle donne, non mangiate"; in questo momento, con questa imposizione Saramago descrive l'abbassarsi e il definitivo annullamento della dignità umana, ciò scatena nel lettore una forte rabbia, indignazione e commozione davanti a questa imposizione alla quale le donne non possono sottrarsi.
    Il romanzo, dunque, tratta tematiche molto forti e spesso sconvolgenti, ma l'abilità è proprio dell'autore stesso che riesce a coinvolgere e far immedesimare nella storia il lettore, il quale si carica e tenta egli in primis di sfuggire alla cecità; grazie a questo libro si possono finalmente aprire gli occhi e possiamo iniziare a vedere quanto l'essere umano, se reso debole da una difficoltà, sia in grado di uccidere, sfruttare e sottomettere altri uomini proprio come lui.

    RispondiElimina
  16. Azzurra – parte 1
    Bertold Brecht – Vita di Galileo
    Vita di Galileo è una drammatizzazione in quindici scene della vita e della carriera del grande scienziato seicentesco, dall’invenzione del telescopio all’abiura e al ritiro, nella vecchiaia, nella villa nei pressi di Firenze, prigioniero dell’Inquisizione.
    Fin dalla prima scena, nella quale l’autore, attraverso la sua mimica e le sue parole introduce Galileo, questi si delinea come quello che dovrebbe essere il modello per ogni scienziato: un uomo vivace e curioso, costantemente animato dal bisogno di scoprire cose nuove, di conoscere, di comprendere il mondo, e che perciò è sempre intento a studiare, osservare e a formulare ipotesi su ciò che gli accade intorno, senza pregiudizi e senza accontentarsi mai dei propri traguardi perché sa che c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire; un uomo che conserva la facoltà tipicamente infantile di provare stupore, di meravigliarsi e di accettare, per quanto possa sembrare incredibile a livello teorico, l’evidenza dei fatti: il coraggio di credere a ciò che viene dimostrato; la capacità infine di immaginare sé stessi come dimostratori, come scopritori, cioè come soggetti in grado di contribuire in prima persona all’ampliamento della conoscenza, che è ciò che consente appunto di farlo.
    Infatti, anche se ha già 46 anni, Galileo parla, pensa e si presenta se non come un bambino, poiché è già abbastanza assennato, come un ragazzo entusiasta, che non si spaventa di fronte alle novità, pronto ad accogliere anche una teoria in grado di scuotere l’intero sistema delle conoscenze per riformarlo da capo, quale quella che poi andrà a formulare. Non a caso il personaggio con il quale Galileo si trova più in sintonia è proprio un bambino, Andrea Sarti, figlio della sua governante, che assimila con avida curiosità tutto ciò che lo scienziato gli insegna (dalle teorie vere e proprie agli atteggiamenti nei confronti della realtà), e che sarà proprio colui che salverà i “Discorsi”, l’opera nella quale Galileo raccoglierà per iscritto la formulazione definitiva della sue teorie, da una sicura distruzione, o quantomeno occultamento, da parte dell’Inquisizione.
    Dalla prima scena emerge inoltre una descrizione quanto mai attuale di quella che è la professione di ricercatore: il povero Galileo si ritrova con uno stipendio sufficiente a malapena per sostenere i suoi bisogni primari ma non per progredire nei suoi studi; è quindi costretto ad accettare studenti privati per “arrotondare” e non ha tempo per dedicarsi a quella che dovrebbe essere la prima prerogativa di ogni scienziato: la ricerca del sapere. Alla richiesta di un aumento il procuratore dello studio di Padova gli risponde che può concedergli del denaro solo nel caso in cui la sua ricerca produca qualcosa di un certo valore commerciale, che possa quindi giovare alle casse della repubblica di Venezia. Allora come ora il sapere veniva in molti casi considerato solo come una incerta fonte di guadagno, e di conseguenza l’attività di ricerca malamente sottovalutata, bistrattata e tenuta in condizione di stasi.

    RispondiElimina
  17. Azzurra - parte 2
    Tornando al personaggio di Galileo, la sue caratteristiche peculiari sono dunque la curiosità, il desiderio di conoscere e la fiducia, la fiducia totale e incondizionata nelle proprie capacità e nelle capacità della ragione umana <>. Questa personalità è dunque inizialmente una figura molto positiva, che emana una grande umanità. Ma questa fiducia verrà tradita e lo scienziato rimarrà meravigliato e frustrato di fronte al rifiuto della sua teoria che troverà così accanito. Si inserisce quindi un’altra tematica: il rifiuto della verità.
    Particolarmente significativo a questo proposito è il dialogo tra frate Fulgenzio e lo stesso Galileo, nel quale l’ecclesiastico fa l’esempio dei contadini che lavorano nelle campagne ogni giorno fino allo sfinimento: per loro credere in Dio significa dare un senso all’esistenza, sapere che i loro sforzi hanno uno scopo e saranno premiati, riuscire a sopportare soprusi e sventure <>
    Frate Fulgenzio vede dunque come un atto di misericordia da parte della Santa Chiesa tenere i più nell’ignoranza, cioè negre la tesi di Galileo, ma questi gli svela un altro e decisamente più calzante punto di vista <> Dunque il reale motivo per il quale la Chiesa si rifiuta di accettare le teorie dello scienziato è il terrore di perdere la propria sacra inviolabilità e il proprio potere (non a caso il Cardinale Inquisitore pensa che le teorie proposte dallo scienziato non siano che un mucchio di fandonie col solo scopo di smantellare i privilegi della Chiesa <>); l’ “imposizione dell’ignoranza” non è di per sé dovuta al rifiuto della ragione, ma ad un fatto di convenienza: non è la religione a soffocare la scienza, ma coloro che “amministrano” le questioni religiose. Lo stesso Galileo non è infatti ateo, ma fermamente convinto che fede e scienza siano separate, abbiano oggetti e fini diversi e non debbano influenzarsi, proprio per questo motivo. Il Galileo che accusa l’istituzione Chiesa di rifiutare l’evidenza scientifica per convenienza è diverso dal Galileo della prima scena: è più esperto e quasi disilluso, ma nutre ancora fiducia nella possibilità di vedere accettata la sua teoria, e infatti si ritira nel silenzio (non nell’astensione dalle ricerche) aspettando il momento buono per tornare all’attacco.
    Il momento arriva quando, otto anni dopo, uno scienziato olandese pubblica un trattato sulle macchie solari, è stato inoltre eletto un nuovo papa, il cardinale Barberini, che si occupa da sempre di scienze oltre che di teologia: dunque Galileo torna a studiare i fenomeni astronomici e le sue teorie dilagano tra il popolo. Lo scienziato viene dunque convocato dall’Inquisizione perché abiuri la sua teoria. I suoi più cari amici, nonché fedeli discepoli, Andrea Sarti, ormai non più bambino, Federzoni, l’ottico che gli aveva fornito le lenti per costruire il primo telescopio col quale aveva lavorato, e l’illuminato frate Fulgenzio, convertitosi alle teorie dello scienziato, sono raccolti fuori del tribunale in attesa del verdetto. Nessuno di loro vuole credere che abiurerà ma solo Andrea ha il coraggio di dire ad alta voce che Galileo non tradirà mai la propria dottrina: la scena è carica di tensione e di speranza, che si tramuta in gioia, al ritardo della campana che avrebbe dovuto annunciare l’abiura, ma che fracassa nella delusione e nell’amarezza quando invece si odono io primi rintocchi: Galileo ha abiurato.

    RispondiElimina
  18. Azzurra - parte 3
    Quando esce dal tribunale è profondamente turbato, anzi, sconvolto, in pratica irriconoscibile e nessuno lo saluta o gli si avvicina: tutti si sentono traditi, ma quello che più se ne risente è Andrea. Quel giovane che ha sempre vissuto con lui, che è venuto su con le sue teorie e i suoi insegnamenti, che lo ha visto farsi beffe di innumerevoli sapienti, ecclesiastici e non, per portare avanti quelle teorie nelle quali credeva così saldamente, vede il suo maestro, di più, il suo modello di vita, la figura maschile che lo ha sempre sostenuto e protetto, quello che per lui era quasi un padre, rinnegare gli insegnamenti di una vita, rinunciare quasi alla sua indole e alla sua natura di scienziato. Andrea si sente male, ha bisogno di sedersi, lo ingiuria e lo maledice. Si chiude il sipario.
    La nuova scena, l’ultima, si apre nella nuova casa di Galileo, una prigione imposta dall’Inquisizione, dove lo scienziato è confinato per il resto della sua vita. Il protagonista ora è vecchio e quasi cieco. Andrea, che ha ormai quasi 40 anni, viene a fargli visita per la prima volta dopo tanto tempo perché sta espatriando per condurre all’estero, lontano dall’Inquisizione quella che è diventata la sua professione di scienziato. Finalmente i due parlano e Galileo rivela ad Andrea che durante la sua prigionia ha terminato i “Discorsi”. Allora Andrea capisce tutto: il suo maestro ha abiurato per poter terminare il suo lavoro e continuare segretamente a servire la scienza. Ma Galileo lo smentisce, ha abiurato perché aveva paura, e ha continuato a scrivere perché non sapeva resistere e smettere: <>, sostiene che uno scienziato non deve occuparsi solamente di scoprire cose nuove, ma anche di renderle note a tutti poiché possano essere usate ad esclusivo vantaggio dell’umanità. Egli ha abiurato, ha lasciato la sua opera nella mani della Chiesa, e il popolo nell’ignoranza, ha tradito la sua professione e sente di non essere più degno di stare nei ranghi della scienza. Andrea non vuole credere che questo duro giudizio sia la su ultima parola, ma è costretto ad andarsene così.
    Andrea riuscirà poi a varcare il confine con il manoscritto e la sua ultima battuta sarà <<…Ne sappiamo troppo poco, troppo poco. Davvero: siamo appena al principio.>>. Con questa frase termina l’opera, lasciando aperto uno spiraglio dal quale entra un vento di speranza: Andrea ha raccolto davvero gli insegnamenti di Galileo in tutto e per tutto, le sue teorie, la sua fame di conoscenza, e l’opera del grande scienziato non è stata vana, non andrà perduta, ma anzi, aprirà la strada a molti altri studiosi e a nuove ricerche. Alla fine, dopotutto, ha proprio vinto lui.

    RispondiElimina
  19. Quanto odio questo coso, mi ha eliminato tutte le citazioni!!! Ora le copio qui, da leggere in ordine ogni volta che vede questo simbolo <>:
    1 (galileo) Solo i morti non si lasciano smuovere da un argomento valido!
    2 (fulgenzio) Come la prenderebbero ora se gli andassi a dire che vivono su un frammento di roccia che rotola ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto e gira intorno a un astro, uno fra tanti, e neppure molto importante? (…) Vedo i loro sguardi velarsi di sgomento (…) vedo come si sentono traditi, ingannati
    3 (galileo) Perché Gesù ha posto la Terra al centro dell’universo? Ma perché la cattedra di Pietro possa esser il centro della Terra! È solo di questo che si tratta. Avete ragione voi: noi si tratta di pianeti, ma dei contadini dell’Agro Romano.
    4 (cardinaleinquisitore) come mai tanto improvviso interesse per una scienza così remota come l’astronomia?
    5 (galileo) Anche un venditore di lana, per quanto abile sia ad acquistarla a buon prezzo per poi rivenderla cara, deve preoccuparsi che il commercio della lana possa svolgersi liberamente. Non credo che la pratica della scienza possa andar disgiunta dal coraggio
    6 (andrea) …Ne sappiamo troppo poco, troppo poco. Davvero: siamo appena al principio.

    RispondiElimina
  20. Corarelli Federico
    Primo Levi - "se questo è un uomo"

    Se questo è un uomo è un romanzo di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947. Rappresenta la coinvolgente testimonianza di quanto fu vissuto in prima persona dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz.Levi fu infatti uno dei pochi sopravvissuti allo sterminio nazzista ai danni degli Ebrei.
    I versi poetici che accompagnano la stesura del romanzo contengono il significato del romanzo e della vicenda stessa; " Considerate se questo è un uomo
    Che lavora nel fango
    Che non conosce pace
    Che lotta per mezzo pane
    Che muore per un sì o per un no. "
    Il nodo della vicenda sta tutto nella concezione dell'essere umano,che per potersi definire tale deve godere di determinati diritti a prescindere dalla razza,su tutti il diritto dell'uguaglianza.
    il verso che chiude la citazione risulta atroce e disumano "che muore per un si o per un no" poichè sottolinea l'idea che un'uomo possa scegliere se uccidere o far vivere una persona,impossessandosi della sua dignità,dopo che la dignità di un uomo che "lavora nel fango" e "non conosce pace" è stata calpestata brutalmente.
    È proprio l'idea di rendere una testimonianza indelebile dell'accaduto che spinse Levi a scrivere questo libro,non tanto per denunciare fatti o persone,ma per sensibilizzare l'essere umano e far si che non si ripeta mai più una cosa del genere " nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi "..infatti l'autore descrive con molta accuratezza lo stato psico-fisico delle persone che incontra durante la prigionìa.
    Le riflessioni dell'autore permettono a colui che legge il romanzo di affiancarsi idealmente al protagonista nella sua esperienza,tanto che la lettura del libro è risulta intensa e ricca di riflessione.
    Nella lettura del romanzo,risulta chiara ed evidente la mancanza di rancore da parte dell'autore nei confronti dei nazisti,questo perchè Levi vuole che sia il lettore stesso a farsi una propria opinione sulla vicenda.
    Lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti prima di essere un'uccisione di massa,è violazione dei DIRITTI NATURALI di ogni essere umano:" -è come se domani mattina una persona si sveglia e ordina l'uccisione di tutti gli italiani..loro risponderanno:perchè proprio noi?non abbiamo fatto nulla di male...bhè sappiate che è proprio quello che pensarono gli ebrei- " (cit Benigni).
    Generalizzando la citazione in un contesto più ampio,risulta importante il concetto che quelle determinate persone,in quel suddetto caso sono state maltrattate ed uccise con la sola colpa di essere nate,di essere state messe al mondo.

    RispondiElimina
  21. IL FU MATTIA PASCAL di LUIGI PIRANDELLO – VERGARI ALESSIO IV M

    Lo scrittore di questo romanzo è Luigi Pirandello, che compone un’umoristica e grottesca analisi della realtà borghese, evidenziando l’impossibilità dell’uomo di essere davvero artefice del proprio destino, rappresentata attraverso la storia di Mattia Pascal-Adriano Meis.
    “Una delle poche cose, anzi la forse ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal”.
    Un giorno Mattia viene a sapere che è stato ritrovato un cadavere che è stato identificato come il suo, quello di Mattia Pascal: il protagonista vede di fronte a sé quindi l’opportunità di fuggire e dare inizio ad una nuova vita.
    Dunque cambia nome, diventando Adriano Meis, e modifica il suo aspetto: ben presto egli si accorge di come la sua vita sia fittizia, in quanto l’uomo che si finge di essere in realtà non esiste e non ha un passato. Decide di tornare nella sua città, riprendendo la sua identità; qui però si accorge che le cose sono mutate: sua moglie ha avuto una nuova famiglia e Mattia non può altro che vivere gli ultimi anni della sua vita lavorando nella biblioteca ed andando a portare, di tanto in tanto, i fiori alla sua “tomba”.
    Lo specchio e la crisi di identità è un tema principale all’interno del romanzo, poiché il personaggio ha un rapporto difficile con la propria anima e il proprio corpo. Ha difficoltà ad identificarsi con se stesso.
    Ognuno di noi possiede molte maschere e ognuna di esse viene cambiata per ogni circostanza. Siamo quindi come prigionieri in una zona senza uscita, che ci impedisce di essere veramente liberi.

    RispondiElimina
  22. PARTE II VERGARI ALESSIO
    Il fu Mattia Pascal è il romanzo più importante di Luigi Pirandello: la narrazione ruota attorno ad un personaggio, che è anche il narratore della storia, incapace ed apatico che tenta invano di fuggire da una vita a lui spiacevole per costruirne una nuova.
    Di assoluto rilievo sono gli spazi in cui Mattia Pascal si muove: da un lato c’è il caos de mondo esterno dal quale l’uomo cerca di fuggire, e dall’altro c’è l’interno della biblioteca che simboleggia una sorta di ordine fittizio per l’animo del personaggio.
    Il romanzo si presenta dunque come una fuga dalla realtà della vita, dal lavoro e dall’oppressione della famiglia, ma il personaggio non subisce una crescita ed un processo formativo durante la narrazione ed inizio e fine coincidono: la fuga risulta del tutto vana e il tentativo di cambiare vita e città, cercando di affermarsi in una nuova vita, non viene raggiunto.
    Mattia Pascal è condannato alla solitudine, a rimpiangere gli affetti che non può più avere perché sono collegati ad un primo momento della sua vita che lui ha perso: divenendo Adriano Meis ha infatti cancellato la sua storia in cui erano rinchiusi il suo mondo e i suoi ricordi.
    Risulta molto emblematica la scena in cui è impegnato a parlare con un canarino, una scena che permette di comprendere la vera natura di Mattia Pascal, entrambi nella stessa condizione di prigionia: ognuno di noi possiede mille maschere quotidiane, ognuna di esse per ciascun possibile ambiente e per ogni circostanza. Noi siamo quelle maschere, e sono i fatti esterni ed il caso che ci comandano, siamo prigionieri di noi stessi, schiavi della società, che ci impedisce di essere veramente liberi.
    Personalmente molte volte ho desiderato resettare la mia vita, ricominciare dal giorno in cui sono nato per poter cambiare il percorso delle cose, fare ciò che non ho fatto e che tutt’ora rimpiango o evitare situazioni spiacevoli che ho superato con difficoltà e dolore; ho sognato di cambiare vita, persona e tempo, il mio corpo con quello di un altro sperando di diventare un altro me e poter dimostrare di essere migliore di quello che sono, che probabilmente fingo di non essere.
    Mattia Pascal è il testimone esemplare dell’assurda condizione di uomo prigioniero delle “maschere sociali” che coprono la nostra vera identità. Esprime la sofferenza di quest’uomo, angosciato dall’impossibilità di sfuggire alle convenzioni e ai vincoli della società che sono una catena, un freno inibitore e che forse sono l’unico modo d’esistere.
    Pirandello in questo romanzo rappresenta tutta la crisi esistenziale e storica dell’uomo e questa rappresentazione, impregnata del contrasto tra realtà e illusione, consapevole dell’incapacità di essere totalmente artefici del proprio destino e del sopravvento del caso è rappresentata con straordinaria semplicità in un misto di gioia e di sofferenza, di umorismo e amarezza, di comico e di tragico.
    Fuggire, scappare e cambiare identità: ognuno di noi credo abbia avuto questo desiderio, il desiderio di evadere dalle angosce della vita quotidiana, alla ricerca di uno stato di tranquillità e amore, allontanando le difficoltà che ogni giorno ci mettono alla prova. Tuttavia è impossibile cercare di dominare il proprio destino e di riuscire a mutare il corso delle cose, ma possiamo solo limitarci a scegliere per il meglio.
    “Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti” scrive Luigi Pirandello: lui che si è veramente interrogato sulla condizione esistenziale dell’uomo e sulla sua identità. Qual è la vera identità dell’uomo? Qual è la nostra? Siamo davvero sicuri di avere una sola identità? “Un oggetto può piacere anche per se stesso, per la diversità delle sensazioni gradevoli che ci suscita in una percezione armoniosa; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell'oggetto per se medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d'immagini care. Nell'oggetto insomma amiamo quel che vi mettiamo di noi.”

    RispondiElimina
  23. ‘Vivo tutti i miei giorni aspettando Godot, dormo tutte le notti aspettando Godot..’ - Claudio Lolli. La riflessione risulta obbligata anche alla più spenta delle coscienze: è vero che viviamo sempre in attesa di qualcosa che crediamo indipendente da noi o che non abbiamo la forza di rendere dipendente? L’assurda avventura di Vladimiro ed Estragone è la volontà ferrata dell’autore nel convincerci inequivocabilmente che la risposta sia affermativa. Nonostante ci si sforzi di credere che un uomo possa tener stretto in un pugno il suo destino ed esserne padrone, ci si accorge che non è altro che uno spettatore accomodato sulla poltroncina di un teatro ad osservare impaziente che la trama si svolga da sola. E mentre aspetta si sofferma sulle più futili delle osservazioni, crede di aver colto l’importanza della vita, si lacera per dolori inesistenti, sorride di una falsa gioia. Ma è più felice colui che gioisce perchè non sa, o colui che piange conscio e pieno delle insicurezze, delle paure e degli scheletri che trascina sulle sue spalle? Punti di vista. Il sole sorgerà comunque per tutti quanti. Il testo si svolge in uno scenario quasi vuoto di sceneggiatura, un albero, due personaggi principali, due che vanno e vengono. I dialoghi sono spesso brevi e insensati, e quando sono più lunghi diventano assolutamente senza un filo logico anche se si prova a leggerli più di una volta. Beckett trasferisce il lettore in una dimensione imbarazzante: svuotata sia dei contenuti, sia delle armi di difesa volte a nascondere questa lacuna. Senza alcuno scudo si resta nudi a leggere tra le insensatezze di ciò che si svolge in scena e improvvisamente questa diventa uno stagno in cui riflettersi e comprendere. E’ un’opera in cui diventa dannatamente inutile cercare di trovare molteplici interpretazioni a ciò che l’autore scrive, il simbolismo dell’albero, le fonti da cui traggono spunto le parole dei personaggi.. Il fulcro è comprendere la realtà delle cose senza lasciarsi confondere dalle distrazioni del cammino. "Troviamo sempre qualcosa, vero, Didi, per darci l'impressione di esistere?"

    RispondiElimina
    Risposte
    1. è un po' cortina, lo so, ma ogni cosa che aggiungevo non si collegava bene.. Marta :)

      Elimina
  24. L’occhio del lupo – Daniel Pennac

    L'occhio del lupo è un romanzo per ragazzi di Daniel Pennac pubblicato per la prima volta nel 1984.
    Questo romanzo vuole far riflettere su uno dei problemi più diffusi e che fortunatamente non mi è mai capitato di affrontare grazie all’affetto di familiari ed amici: la solitudine.
    Un lupo mai notato da nessuno e un ragazzo evitato dalla civiltà moderna si incontrano,riuscendo ad istaurare un rapporto di confidenza.
    Sono gli occhi a parlare in questo romanzo: Lupo Azzurro, imprigionato in uno zoo, guarda il mondo con un occhio solo poiché inizialmente si crede si sia ferito durante la sua cattura ma in realtà ha deciso che non vale più la pena aprirlo.
    Un giorno, però, davanti al suo recinto, trova un ragazzo di nome Africa, che lo osserva in maniera diversa rispetto alle solite persone rumorose in visita allo zoo. Africa, infatti, lo guarda per ore, per giorni, in modo quieto e instancabile. Il lupo è infastidito, perché non vorrebbe più avere niente a che fare con gli uomini ed irrequieto comincia a correre nella sua gabbia fino a che Africa non compie un gesto sorprendente: chiude, anch’egli, un occhio per non farlo sentire in difficoltà. In quel momento, il lupo si ferma. Dall’occhio del lupo nascono storie riguardanti il suo passato. Africa ascolta e risponde: nei suoi occhi compaiono immagini della sua terra e di avventure varie. Cosi il contatto tra i due sguardi che si fondono l’uno nell’altro colma la solitudine di entrambi. Due esseri cosi diversi sono in realtà molto vicini tra loro poiché accumunati dallo stesso stato di tristezza,agitazione e solitudine e in cerca di amore e comprensione. L’autore attraverso un linguaggio semplice ma molto diretto e accattivante esprime tutto ciò sottolineando la capacità di ritrovarsi nelle situazioni altrui che è oltre alla più banale tematiche dell’amicizia, il tema principale del romanzo. Leggendo il libro ho pensato a come sarebbe stata la mia vita se fossi stato completamente solo,lontano da tutto e tutti e come avrei reagito visto il mio carattere estremamente ansioso: avrei forse cercato costantemente lo sguardo di qualcuno in modo schivo per non farmi notare anche se in realtà avrei voluto avvicinarmi ad una persona che riempisse la mia vita.

    Alessio P.

    RispondiElimina
  25. Le passeggiate solitarie
    Jean-Jacques Rousseau, filosofo e pedagogista svizzero fu uno dei massimi esponenti del pensiero europeo del sec. XVIII. A pochi giorni dalla nascita rimase orfano di madre e a soli dieci anni dovette lasciare Ginevra a seguito di una discussione con il padre: ciò lo portò a peregrinare quasi per tutta la vita da una città all’altra e in particolar modo in diverse zone della Francia(ad esempio ad Annecy, dove conobbe la giovane Madame de Warnes,appena convertitasi al cristianesimo e che riuscì a far convertire in breve tempo anche lo stesso Russeau ,con la quale visse per qualche anno). Ultimo rappresentante dell’illuminismo francese, pensatore ribelle, ebbe difficoltà a relazionarsi con gli altri, venne infatti detestato da gran parte dei filosofi del tempo e condannato ed arrestato dal parlamento francese dopo la pubblicazione dell’Emilio – romanzo pedagogico nel quale critica la tradizione educativa e scolastica tradizionale poiché essendo scorretta e corrotta, influenza in maniera eccessiva e artificiale l’uomo ,rendendolo pian piano sempre più innaturale e malvagio - fuggì allora a Ginevra e a Berna da dove dovette però fuggire ulteriormente vista la ripetizione delle medesime procedure ed accuse persino da parte del parlamento svizzero. Fece così ritorno in Francia e , costretto all’esilio, lontano da tutto e tutti, ne approfittò per dedicarsi all’analisi della sua anima, passando da casi personali a riflessioni più generali di natura filosofica che verranno poi raccolte e pubblicate dopo la sua morte nel libro “ Le passeggiate solitarie”, diviso appunto in dieci passeggiate. “Li avrei amati a dispetto di loro stessi, gli uomini, ed eccoli stranieri, sconosciuti, nulli insomma per me ; e per averlo voluto”. Così spiega in una delle prime pagine, organizzando sin dall’inizio il suo pensiero secondo il principio di causa effetto che darà quell’ordine complessivo all’opera,il quale non è invece presente nella consequenzialità dei temi trattati nei vari capitoli, che si susseguono così come a Rousseau vennero in mente, affinché non fosse distolta la concentrazione dal contenuto per curare inutilmente la forma. Un concetto molto interessante e che reputo comune nella gran parte degli uomini è quello che ha del timore: dice infatti che tutto ciò che contro di lui avrebbero potuto fare lo avevano già fatto- “ isolandomi per farmi miserevole, avevano fatto per la mia contezza meglio di quello che non avevo saputo fare io stesso”- così si burla del tentativo fallito dei suo nemici ed essendo la minaccia più terribile del colpo, dice di aver sviluppato con la crescita un sentimento di rassegnazione per i mali subiti e paura invece per quelli che potrebbero eventualmente subire.

    RispondiElimina
  26. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  27. Si considera una persona nobile di cuore, amabile ed amichevole, differentemente da quanto testimoniato alcune fonti-Diderot lo definisce un “grande sofista”, Voltaire ne parla come di un “arcipazzo”- e questo lo porta a non comprendere come possano tutti esserglisi rivoltati contro, come possano averlo sottratto all’ordine naturale delle cose, facendolo passare direttamente dal pieno della vita alla morte, senza lasciargli il tempo di trascorrere la sua esistenza per intero. Nel mezzo del nulla, nella totale solitudine non gli resta allora altro da fare che indagare su stesso e farsi compagnia, analizzando la sua anima con la stessa obbiettività e precisione con cui il barometro è in grado di misurare la pressione, interessato semplicemente a capirsi e non a farsi capire né dalle generazioni presenti né tantomeno da quelle future nelle quali ormai ha perso definitivamente la fiducia. Capisce allora che in realtà il mondo di cui era stato privato non gli apparteneva e si sente come caduto dal suo mondo su uno che non è il suo e non lo aggrada, al punto di riuscire a sentirsi felice solo dal momento in cui ne è allontanato. La lettura di questo libro per me ha funto da grande spunto riflessivo in particolar modo per le difficoltà ed anche i piaceri a cui il diretto ed incondizionato scontro con la propria anima porta qualunque uomo provi ad analizzarla ,in qualsiasi epoca ed in qualsiasi contesto esso si trovi. Ad esempio io, apprestandomi a diventare maggiorenne ed a raggiungere la cosiddetta età matura, sono col tempo cresciuta ed ho preso sempre più consapevolezza di quello che mi circonda; ne consegue che sono arrivata a formulare , nonostante sia ancora molto giovane, dei concetti, delle idee che magari nel momento in cui sono state pensate mi sembrava sarebbero potute per sempre essere il centro del mio agire, del mio approccio alla vita , e che invece poi si sono rivelate fallaci o , allo stesso modo, alcune di cui non ero convinta e che ora sono postulati della mia quotidianità, così giusti che non possono minimamente essere discussi. Le espressioni “cadendo s’impara” , “dopo la tempesta non può che tornare il sereno” e via discorrendo, sono state con gli anni sovrautilizzate e caricate di banalità sebbene concretamente parlando non si possa negare quanto siano valide : se non cadessimo non avremmo mai modo di imparare a riunire le forze per rialzarci, ma è proprio quando il piede è in appoggio, pronto a dare l’ultima spinta che ci permetterà di tornare in posizione eretta,che tutto sembra caderci addosso e persino i mitici e cari postulati perdono purtroppo il loro valore. Jean-Jaques si trovava di fronte ad un gran numero di filosofi e studiosi, essi espongono i propri argomenti e questi lo scuotono senza mai convincerlo o turbarlo; si rende però conto che dev’esserci una risposta migliore a quella che loro hanno trovato, ma non si sente in grado di trovarla e la sensazione che la sua incapacità gli provoca è paragonabile a quella che una situazione più o meno analoga provoca nella mia parte più nascosta. In tutte e dieci le passeggiate non si sottrae mai dal sottolineare quanto la condizione in cui si trova gli sia cara e lo allieti, ma è proprio in questa sua insistenza nel metterlo in luce che io leggo una profonda vena pessimistica ,che immagino sia riscontrabile in chiunque decida d’intraprendere un ‘indagine accurata sulla propria persona , sull’anima e sulla funzionalità della conoscenza nel contesto storico sociale a lui contemporaneo. Chiara Merolla

    RispondiElimina
  28. VALERIO ANILE
    “Lettera a un bambino mai nato” scritto da Oriana Fallaci, pubblicato negli anni in cui si era acceso un forte dibattito sulla legalizzazione dell’aborto; il libro raccoglie in sé una riflessione, un monologo drammatico di una donna, che dopo i dubbi e la ribellione alla maternità, accetta di proseguire la gravidanza; è la lettera di una madre coraggiosa e straordinaria, che spiega al suo bambino come funziona la vita di un essere umano. “Stanotte ho saputo che c’eri; una goccia di vita scappata dal nulla e ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri, e in essa mi perdo”, si evince come sia un libro davvero coinvolgente e allo stesso tempo drammatico. Con quale crudeltà si può decidere di uccidere un embrione, un feto, qualsiasi cosa sia quel piccolo essere che sta crescendo nel tuo corpo, con quale coraggio prendere una decisione sulla vita di un essere indifeso? Io, uomo non avrei mai la forza di intraprendere un percorso cosi difficile e tortuoso fatto di infiniti ostacoli, “covare” un embrione fino a farlo nascere davanti ai miei occhi. Qual è la forza che spinge una donna cosi infondo? Considero allo stesso modo la forza e il coraggio di una donna nel prendere la decisione opposta. E’ straordinario come l’autrice focalizzi le paure della protagonista non sul semplice fatto di affrontare una gravidanza, bensì sulla paura che il piccolo gli “provoca”, ha paura di lui, di costringerlo alla vita: “E se nascere non ti piacesse?, e se me lo rimproverassi una giorno gridando?”, il mondo è corrotto, violento e la libertà è un sogno!” . Oriana ed il suo bimbo vanno avanti da soli… senza l'aiuto di nessuno. Divoro se cosi si può dire le pagine del libro che ormai si susseguono una dopo l’altra, il libro mi ha catturato, il tic tac dell’orologio a pendolo scandisce il tempo, i minuti che passano, ma non riesco fermarmi. A malincuore si scopre che la gravidanza si complica, forse il troppo stress a cui è sottoposta ed anche la paura di perdere un importante occasione di lavoro mettono a rischio la vita del bambino.
    La confusione, l’incertezza che affliggono la donna sulla decisione da prendere allo stesso tempo prendono di mira anche me, non mi lasciano continuare la lettura. Rimango a riflettere su cosa possa fare una donna sola contro tutti.. nessuno ci da il diritto di negare la vita ad un essere umano, chi siamo noi per decidere al suo posto?
    Ma ecco cosa di più sconvolge chiunque legga questo libro, chi siamo noi per “obbligare” un bambino ad affrontare la vita? Non è tutto rosa e fiori, perché costringerlo a combattere giorno per giorno per la propria libertà? La protagonista deve prendere una decisione, ha paura di quello che potrebbe accadere e di quello che potrebbe perdere ma non può fuggire, non può correre e sparire; è chiusa in una stanza cerca un segno dal suo bimbo, come quello che la mamma diede a lei.
    Purtroppo alla fine avrà un aborto spontaneo ed allo stesso tempo si sentirà una carnefice. Oriana Fallaci non espliciterà mai quale sia il suo parere sull’aborto, e come ha lasciato a me la possibilità di riflettere, la lascerà ai lettori che seguiranno, che potranno condividere o meno l’opinione della protagonista. Ripeto: È giusto poter decidere la sorte di un futuro essere umano? Un tema che ha distanza di quasi mezzo secolo rimane attuale e lo rimarrà per sempre, nel futuro delle generazioni che verranno.
    “Qualcuno corre, grida, si dispera. Ma altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno ne di te ne di me. Tu sei morto. Ora muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore”.

    RispondiElimina
  29. casino - DRMCD
    The 창원 출장샵 casino is offering new games for December, 2021, including $50 free chip for existing players. 영천 출장샵 Free chip bonus offers, daily 인천광역 출장마사지 promotions, free cash and  Rating: 4.5 · ‎Review by Genevie Durano · ‎Price 의왕 출장샵 range: $ 경상북도 출장안마

    RispondiElimina