martedì 5 febbraio 2013

-La selva:

Confronto Dante, Ariosto, Tasso

40 commenti:

  1. Dal Medioevo al Manierismo: la selva come espressione di diverse concezioni, di Kristian Galanti

    L’ambientazione in un testo poetico svolge un ruolo di fondamentale importanza non solo in quanto è rappresentazione del contesto nel quale si svolge l’intreccio narrativo ma anche perché, alludendo ad altro, diviene figura dell’implicita soggettività e sensibilità dell’autore stesso. Come se solo in virtù di ciò che fa da sfondo, l’autore riuscisse ad esprimere il veritiero messaggio contenuto nei versi che, celato e complesso, fuoriesce nel suo aspetto formale quasi esaltato da tale sfondo. Nella letteratura si possono trovare molti esempi a sostegno di questa considerazione, a partire dal mantovano Virgilio che collocava in ambito bucolico (almeno nei componimenti giovanili) gli influssi della filosofia epicurea, la quale era sempre alla ricerca di un posto nascosto ed isolato che si rivelasse difesa dalla terribile e caotica situazione sociale contingente, fino ad uno degli astri più lucenti della letteratura italiana come Leopardi che con la Natura era alla continua ricerca di un solido rapporto. Elemento rilevante in ambito paesaggistico diviene la selva che delinea diverse concezioni a seconda dall’ambiente in cui operarono i vari autori.
    La selva in ambito tardomedievale-rinascimentale diviene pertanto metafora di molteplici concezioni, tutte necessarie a spiegare l’implicito contenuto dell’animo dell’autore.
    Dante apre la cantica infernale dicendo: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / che la diritta via era smarrita.” L’autore continua descrivendone l’asprezza e la difficoltà nel trovare un’effettiva via di fuga, una via che possa portare alla salvezza. La “mera” descrizione di pericoli, belve paurose ed incertezze viene qualificata dal senso allusivo che in essa risiede: la selva diviene dunque luogo di corruzione, assoggettando un’interpretazione prettamente religiosa (tipica di una visione medievale), dove si smarrisce la ragione, che dovrebbe guidarci verso la felicità eterna. La selva dantesca è “labirinto della ragione”. Essa viene definita “amara”, “selvaggia”, “aspra” e “forte”, alludendo al peccato in cui è caduta l’umanità intera.

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  2. (parte 2)

    Altro “labirinto della ragione” sembra essere la selva descritta nel Furioso dal celebre Ariosto. Il contesto è ovviamente molto diverso da quello medievale dantesco: in ambito rinascimentale si sovverte la centralità di Dio nel cosmo, e l’uomo viene reso in tal senso vero centro del mondo. Già con Ariosto, specialmente poi con Tasso, si ha un accenno alla crisi di centralità universale dell’uomo: Ariosto riesce a capire l’irrazionalità della realtà esterna ed il suo componimento più importante, l’ “Orlando Furioso”, è in tal senso un’opera di evasione che tenta di porre razionalità in una realtà fuorviante. Nella selva ariostesca, dove i cavalieri si “muovono” per combattere il nemico o raggiungere la donna amata, si delinea un’idea di mancanza dell’equilibrio dell’uomo, quasi a presagire l’avvento dell’età manieristica. Ne fuoriesce dunque la mancanza di un Dio “ordinatore del mondo e delle cose”, che in ambito medievale risultava quasi essere una “conditio sine qua”, scaturita dalla consapevolezza dell’irrazionalità rappresentata dalla selva stessa.
    Con Tasso si ha l’avvento del Manierismo: il contenuto della forma poetica, che era essenza veritiera del testo poetico, non sussiste più e così facendo tutto viene sminuito dalla duratura persistenza della forma e non del contenuto. Ne segue una forte crisi di certezze che porterà gli autori a rifugiarsi in un formale decorativismo atto solo a coprire una “forma vuota”. Però Tasso si distingue. In lui vi è ancora una fortissima connotazione lirica che si esprime nei suoi testi risultando espressione di una personale soggettività. La selva della “Gerusalemme Liberata” è figura di questa crisi di certezze ed emblema d’inganno: è la selva degli errori e delle passioni, ma soprattutto delle vane apparenze, un “luogo della mente” (Ezio Raimondi) dove la crisi di certezze si rispecchia dallo spazio esterno della selva a quello interiore del soggetto.
    Come si può notare, la selva descritta da questi tre autori assume allusioni e concezioni diverse prevalentemente in relazione al tempo in cui vivono: dalla concezione medievale dantesca dove non vi è alcun dubbio sulla supremazia di Dio nel cosmo si procede, quasi con una escalation decrescente, alla successiva supremazia dell’uomo e poi alla crisi dello stesso; e l’interpretazione della selva varia a seconda di queste diverse concezioni.

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  4. Andrea Renzetti (parte 1)
    Autori del calibro di Dante, Ariosto e Tasso nelle loro opere di maggior rilievo, La Divina Commedia, l’Orlando Furioso e La Gerusalemme Liberata si servono del topos della selva, un elemento che assume significati differenti nelle differenti opere. La selva è un’immagine antica e immediatamente comprensibile del male e dell’errore, in tutta la letteratura cristiana in chiave medievale e rinascimentale; molti autori presentano proprio questo luogo, universalmente riconosciuto come luogo di smarrimento e di errore, con una accezione simbolica ed allegorica differente funzionale al loro tipo di narrazione. Dante nei celebri versi del primo canto dell’Inferno, scrive: Nel mezzo del cammin di nostra vita /mi ritrovai per una selva oscura /ché la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!/ Tant’è amara che poco è più morte. Ci troviamo nel primo canto della cantica, dove Dante introduce al lettore l’ambiente dell’Inferno, nel quale troviamo le anime destinate all’eterna dannazione, di coloro che non giungeranno mai a Dio. Dante è smarrito, perso e confuso nella selva che non è semplicemente un‘immagine di errore e perdizione ma racchiude un significato ben più ampio. La selva assume una forte connotazione simbolica e religiosa, diventando il luogo della corruzione, dove si consuma il peccato e dove si smarrisce la ragione che invece dovrebbe guidarci verso la felicità eterna. In chiave medievale, Dio principio ordinatore del mondo esprime la sua volontà tramite il giudizio, e lo smarrimento nella selva rappresenta lo stato di peccato nel quale è caduta l’umanità e lo stesso Dante. Virgilio, colui che tiene sempre alto il lume della ragione, avrà dunque il compito di salvare Dante e di guidarlo nel suo viaggio per l’Inferno e il Purgatorio .

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  5. (parte 2)
    La selva è dunque associata al concetto di peccato ed è aspra, amara e oscura, poiché non è mai illuminata dalla luce della ragione; questa è inospitale ricca di ostacoli e di insidie da superare. In Ariosto la selva assume un significato ben differente: la selva è il luogo in cui il movimento dei personaggi, alla vana ricerca dell'oggetto che desiderano, si svolge così da tornare molte volte su se stesso con una serie di intricati sentieri. Il movimento circolare dei personaggi nell’intera opera, trova il suo massimo compimento proprio nella selva dove il desiderio diventa ossessione ed ogni personaggio è impegnato alla ricerca di un qualcosa; lo smarrimento nella selva suggerisce non l’idea di peccato ma l’assenza di un principio ordinatore del mondo. Il movimento non controllabile dei personaggi nella selva segnala la mancanza di equilibrio dell’uomo e di un Dio ordinatore che invece è presente in Dante, e la selva descritta con gli aggettivi “oscura”, “folta”, “aspra”,“romita”,“immensa”, è diventata un luogo dove i personaggi spaziano e sono sempre in movimento. In Tasso nel XVIII canto della Gerusalemme liberata, la selva appare a Rinaldo non orrida, ma sinistramente amena a causa degli incantesimi orditi dalle forza maligne; si parla dunque “di strana armonia di canto e di querele”, che diviene ancora più inquietante a causa delle voci umane di cui non si conosce la provenienza. Il locus amoenus descritto da Tasso, solcato da ruscelli, dove si diffonde il canto degli uccelli, è un luogo di illusione e di inganno alla quale è connessa l’idea di peccato: la foresta deve attrarre e sviare Rinaldo il cui compito è invece quello di raggiungere il campo di battaglia. Posta di fronte a Gerusalemme come afferma Ezio Raimondi essa “sconvolge l’ordine della città, riduce il cosmo ad anarchia, è un pullulare di forze indocili e contrastanti”; per Raimondi inoltre la selva può essere letta anche come è un luogo della mente, perché può rappresentare metaforicamente i processi psichici dell’inconscio. L’illusione,l’inganno e la selva come luogo della mente costituiscono dunque lo scarto rispetto alla tradizione e questi elementi, uniti alla descrizione dell’interiorità dei personaggi saranno fondamentali per l’inaugurazione del romanzo psicologico moderno.

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  6. La selva è da sempre un topos della letteratura italiana,ripresa anche da Dante,Ariosto e Tasso nelle loro opere maggiori,ma con i passare del tempo il significato di questo luogo è cambiato,passando da un luogo di peccato(Dante)a “luogo della mente”(Tasso) come viene definita dallo studioso Ezio Raimondi.
    L'evoluzione di questa visione è dovuta al differenziarsi dei periodi storici:nel Medioevo,l'epoca di Dante,la Selva era vista come luogo di peccato dove l'uomo si perde,perde la strada verso Dio,verso la salvezza,infatti il sommo poeta vi si perde durante la sua vita(Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura/ che la diritta via era SMARRITA),e al suo interno vi trova le tre fiere,simboli dei peccati nel quale è più facile cadere(lussuria,superbia e avarizia)e così perdere la strada.
    Non a caso il poeta la pone all'inizio del luogo “d'ogne luce muto”,l'Inferno.
    Il poeta fiorentino,definisce in diversi modi questa selva:“aspra”,“selvaggia”e“forte” al cui solo pensiero fa paura.
    Andando avanti con il tempo e persa questa paura eccessiva verso Dio, le sicurezze dell'uomo crescono,infatti durante il rinascimento l'uomo è“artefice del proprio destino”,la selva prende un significato diverso,l'uomo non ha più timore di Dio il suo ordine viene a mancare:la selva è un labirinto e i suoi personaggi vi si perdono in continuazione,appunto senza una guida,.
    Con Tasso la selva torna ad essere metafora del peccato:infatti Rinaldo deve sconfiggere il peccato per attraversarla, ma non è un luogo di paura come la selva dantesca ma un luogo sinistramente ameno, reso più inquietante dalla presenza di voci umane, di cui non si vedono i corpi.
    Come detto all'inizio la selva di Tasso viene descritta da Ezio Raimondi come “luogo della mente” dove si rispecchia l'interiorità del soggetto collegata ai suoi sentimenti e alla sua individualità:chi entra nella selva aumenta il suo groviglio con la confusione dei sentimenti e delle idee dentro di lui.
    Valerio S.

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  7. LA SELVA DI DANTE, ARIOSTO E TASSO – VERGARI ALESSIO IV M
    parte 1
    La selva ha ricoperto un ruolo di pregevole importanza nel corso delle letteratura e tale luogo è stato utilizzato da moltissimi poeti che ne hanno esaltato il suo aspetto buio e pericoloso, un aspetto che ha preso piede anche nell’immaginario collettivo: la selva infatti è da sempre vista come un bosco fitto, popolata da animali feroci e che richiama alla mente una situazione dalla quale è difficile uscirne sia fisicamente che psicologicamente. Nella selva non penetra quasi mai la luce, ostacolando l’orientamento dei personaggi che la attraversano, trasmettendo uno spirito di incertezza e di insidie: la luce è infatti simbolo di vita, di sapienza e di virtù, come il buio è simbolo di morte, di sofferenza e caos.
    Questa metafora abbraccia quindi secoli di tradizione ed ha raggiunto il suo apice di prestigio letterario grazie all’utilizzo che ne fecero Dante Alighieri, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso nei loro rispettivi capolavori.
    “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura…”: celebre è questa introduzione di Dante Alighieri alla Commedia, in cui il poeta fiorentino si è ritrovato giunto a metà del cammino della vita.
    La selva è l’immagine antica del male e dell’errore, un’immagine diffusa in tutta la letteratura cristiana, che Dante usa per esprimere uno stato di peccato; la selva è oscura perché non vi splende il sole, segno invece della beatitudine e di Dio: il poeta vuole accentuare il gioco letterario luce-tenebre, di origine evangelica, che farà da motivo conduttore per tutta l’opera ed indicare un reale periodo di traviamento della sua vita, rappresentando nello stesso tempo il generale sbandamento dell’umanità.
    In Dante la selva assume dunque una connotazione religiosa, diventando cosi il luogo della corruzione, dove si smarrisce la ragione, che dovrebbe guidarci verso la felicità eterna: il poeta fiorentino più precisamente descrive attraverso questa immagine la situazione in cui viene all’improvviso a trovarsi, lui come tutta l’umanità, in mezzo ad una selva oscura, dopo aver smarrito il cammino verso il ritorno a Dio e la selva è l’idea di partenza dallo stato di miseria verso lo stato di felicità, dall’oscurità alla luce, dal dolore alla beatitudine.
    La selva dantesca è dunque il labirinto della ragione; essa è definita dal poeta oscura, selvaggia, aspra, forte, amara che simboleggiano il peccato, la difficoltà ad uscirne e la condizione disumana in cui è caduta l’umanità, smarrendo la diritta via, cosa che l’uomo può fare grazie al libero arbitrio, ma allo stesso tempo può ritrovare per consentire all’anima di tornare nella sua patria, dato che l’origine dell’anima è il cielo, cioè Dio.
    Ed è Virgilio, simbolo della ragione, che interviene per salvare Dante dalle tre fiere che lo minacciano per volontà di Dio, un’immagine metaforica dei tre peccati fondamentali dell’uomo che impediscono la sua conversione: la lussuria (la lonza), l’avarizia (la lupa) e la superbia (il leone).
    “Fugge tra selve spaventose e scure, per lochi inabitati, ermi e selvaggi…” scrive Ludovico Ariosto nel I canto dell’Orlando Furioso riprendendo i materiali di un’intera tradizione: le “selve spaventose e scure” richiamano alla selva oscura e alla diritta via smarrita su cui si apre il poema dantesco che Ariosto inserisce nella sua opera come cornice di una narrazione in cui i personaggi si muovono, inseguendo l’oggetto della loro ricerca.

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  8. parte 2 VERGARI ALESSIO

    La selva di Ariosto è di continuo percorsa dai personaggi, in modo che incontri e fughe corrispondano all’intreccio di un poema aperto e infinito creato dall’autore. I sentieri portano a un movimento non controllabile che fa ritrovare molti protagonisti al punto di partenza o privi del senso di direzione e orientamento: è un movimento circolare, senza una vera meta, guidato dalla fortuna, vera padrona del destino umano, contrariamente a quanto accade nella Divina Commedia, che presuppone un moto verticale dal basso all'alto, dal buio al quale si lega l’immagine dell’Inferno alla luce, simbolo del Paradiso, quindi un miglioramento morale ricercato dal protagonista.
    Il tema della selva e quello della ricerca sono dunque strettamente connessi tra di loro: la nostra vita è intrecciata come una foresta e in questa foresta cerchiamo vanamente gli oggetti dei nostri desideri, spesso poco realistici. Essi ci sfuggono sempre mentre, paradossalmente, li ottengono coloro che non li stavano cercando, come accade a Medoro con Angelica e lo stesso accade nel castello del mago Atlante, dove i paladini si aggirano senza pace, trattenuti non tanto dall'incantesimo quanto dalla follia delle loro illusioni: il poeta accentua dunque il carattere del labirinto, trasformando la selva in metafora della realtà in preda al disordine e della pazzie dell’uomo, che spesso non riesce a dare un senso alla vita.
    Tuttavia per Ariosto la selva non sempre si tratta di un luogo spaventoso o “locus terribilis” come nell’immagine Dantesca: nell'Orlando Furioso spesso si sottolinea la bellezza di questo paesaggio e il bosco impenetrabile si apre in radure fiorite o si ferma alle sponde di un piacevole ruscello, come un “locus amoenus”, dove la natura rivela il suo lato benevolo e materno.
    Il topos letterario della selva, di origine dantesca, assume invece nella Gerusalemme Liberata di Tasso un “luogo della mente” cosicché il “caos delle forme” si rispecchia dallo spazio esterno della selva e quello “interiore del soggetto”: la contrapposizione tra la foresta e la città di Gerusalemme diviene la rappresentazione metaforica della lacerazione interna dell’individuo stesso.
    Tasso presenta la selva come il tentativo di sviare l’uomo attraverso gli inganni dei sensi: è un luogo di pericolo morale e si nasconde dietro la bellezza di uno scenario apparentemente piacevole e accogliente.
    A differenza della selva di Dante e Ariosto, in Tasso è un luogo affascinane, intrigante e ingannevole per l’uomo, “lietamente ombroso”: la selva appare quindi come un luogo avversamente ameno e lieto, destinato a rinnovare il traviamento dei personaggi.
    La selva tassiana è un luogo che si distingue per la bellezza della natura lussureggiante e del paesaggio armonioso ma i personaggi che vi passano, al contrario di quelli di Ariosto e di Dante, si trovano a vivere il loro dissidio interiore, e la stessa selva, alla quale più volte è stato attribuito l’aggettivo “incantata”, non è altro che un escamotage per creare una condizione di realtà parallela nella quale rifugiarsi: Tasso visse in un’epoca a cui egli non si sentiva appartenere e il disagio e la sofferenza che ne derivano da questa situazione si riflettono spesso nelle sue opere.
    Gerusalemme rappresenta dunque il luogo del bene e del dovere assoluti, il punto di riferimento per l’azione dei cavalieri; la selva di Saron rappresenta invece lo spazio negativo, il luogo della seduzione e della dispersione, tutti gli ostacoli della natura.

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  9. Azzurra - parte 1

    La selva si connota da sempre nell’immaginario poetico come un luogo misterioso, a volte affascinate, a volte inquietante, altre ancora terrificante: nell’ambito della cristianità è vista come il luogo del peccato, perché è oscura, ossia non vi penetra la luce, segno manifesto della grazia e della presenza di Dio, che illumina il cammino dell’uomo; e multiforme, confusa, un luogo in cui è facile smarrirsi. Questa è la visione che ne emerge Dante Alighieri, il quale utilizza la metafora della selva per comunicare la sua incertezza, la sua fragilità e il suo essersi smarrito (non perduto, perché Dio è infinitamente misericordioso e chiunque lo desidera può ricongiungersi a Lui), e presentare questa sua condizione come specchio dell’intera umanità, che è debole e sì facilmente cade nella tentazione, ritrovandosi nei meandri della selva.
    Questa selva è pertanto “oscura”, “selvaggia e aspra e forte” e “tanto amara che poco è più morte”, aggettivi che evidenziano il profondo disgusto (aspra/amara) e terrore (selvaggia/forte) che l’anima prova dinanzi al peccato una volta che ne è divenuto consapevole, ossia che si capacita di essersi smarrito nella selva. Vi si entra appunto smarrendo la “diritta via”, e quasi senza accorgersene “io non so ben ridir com i’ v’intrai tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai” tanto subdolo e silente si insinua il peccato nell’uomo. Dante utilizza quindi la selva per descrivere l’aspetto più fragile della natura umana, quello incline al peccato, all’errore, che lo allontana da Dio.

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  10. Azzurra - parte 2

    Questa onnipresenza di Dio, perno della realtà dantesca è assolutamente naturale per un uomo del Medioevo qual è Dante, che pertanto applica alla selva una chiave di interpretazione cristiana. Ludovico Ariosto, invece, essendo un uomo rinascimentale, che non sente più quella forte esigenza di Dio per dare un senso alla realtà, lo esclude dalla sua visione del mondo, che gli appare come un confuso intrecciarsi di esistenze, che viaggiano insieme, si incontrano, si separano, si riuniscono per separarsi nuovamente e così via. Arioso tenta dunque di rappresentare questa molteplicità del reale, queste infinite potenze di percorso per l’uomo ambientando il suo poema in un luogo che rispecchi il “caos” del reale, un luogo multiforme, indefinito, vasto, mobile, contorto, ingannevole, un bosco immenso, infinito, come sono infinite le possibili strade che un uomo può intraprendere.
    Si potrebbe considerare una sintesi tra queste due rappresentazioni quella che da alla selva Torquato Tasso, figlio del tardo cinquecento, che aveva visto il succedersi della Riforma protestante e della Controriforma. Egli vive in un’epoca nella quale le convinzioni rinascimentali di centralità e autonomia dell’uomo sono venute meno proprio a causa del feroce riaffermarsi dei dogmi del cattolicesimo e quindi vede la selva come specchio dell’interiorità dell’uomo, ma allo stesso tempo luogo che racchiude l’essenza del male. La selva di Saron, così vicina alla città di Gerusalemme (vicinanza che accentua il contrasto tra bene e male, tra ordine e caos, tra essere e apparire) è frutto di un incantesimo pagano, volto ad ostacolare i cavalieri cristiani nel compimento della loro impresa (compimento della volontà divina), ed è quindi il male, il peccato che svia il cammino del pio eroe, ma non si mostra come qualcosa di orrendo e terrificante, come in Dante, bensì come uno scenario innaturale, e pertanto inquietante, e tuttavia allettante, perché finge un bellissimo paesaggio. È simile a quella di Ariosto nella varietà e mobilità degli elementi in un insieme indefinito, che rappresenta però la complessità e indecifrabilità dell’animo umano, non della realtà. Similmente a Dante, dalla selva del Tasso si può uscire sani e salvi solo se guidati da Dio. Dunque la selva tassiana è il luogo del peccato, ma allo stesso tempo rappresenta il caos costituente l’anima umana, all’interno del quale ci si può smarrire, ma non per opera demoniaca, semplicemente per una gestione inconsulta del libero arbitrio, e dalla quale si può uscire solo grazie alla guida di Dio (la via della fede che offre pace e salute per i tormenti dell’uomo).

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  11. L'immagine della selva, dunque un bosco fitto, popolato da animali feroci, luogo che richiama alla mente una situazione difficoltosa, è considerata ormai un topos della letteratura italiana di cui, grandi autori come Dante, Ariosto e Tasso si sono serviti nelle loro opere più importanti, all'interno delle quali però, la selva stessa assumerà sempre un significato diverso.
    Nel primo canto dell'Inferno della Commedia dantesca, l'idea centrale in cui il pellegrino inizia il suo viaggio, prende l'avvio con lo smarrimento nella “selva oscura”, prefigurazione del peccato, del traviamento morale e, immagine con la quale Dante introduce nella sua opera due motivi diffusi nella letteratura allegorica medioevale: l'abbandono della via maestra e lo sviamento. Questa selva adombra certamente anche un periodo di traviamento personale di Dante (nel contempo dunque morale, ideologico e letterario), che si apre subito dopo la morte della sua amata Beatrice, come si narra nella “Vita Nova”; procedendo dunque, la vicenda individuale di Dante si può allargare e trasfigurare in vicenda collettiva: la selva in questo senso vuole alludere perciò anche al traviamento sociale e politico dell'Italia e del mondo di quel periodo (tema che si andrà a precisare come originato dal conflitto tra Papato e Impero e, in particolare dell'invasione da parte del pontefice, della sfera d'azione riservata invece all'imperatore).
    Nell’Orlando Furioso di Ariosto invece, la selva costituisce il luogo in cui si muovono i personaggi dell'opera e dietro il quale si nasconde la possibilità di un incontro avventuroso e straordinario. Diversamente da quanto accade nella Divina Commedia, lo smarrimento nella selva non comporta l’idea di peccato, ma l'assenza di un principio ordinatore del mondo che per Dante e il Medioevo era Dio stesso. Luogo di avventura e di imprevisto, la selva passa a rappresentare la varietà presente nella vita di ciascun uomo e tutte le avventure e i personaggi in cui casualmente si imbatte. La selva è dunque il luogo in cui il movimento dei personaggi, alla ricerca del loro desiderio, si svolge in modo tale da tornare molte volte su se stesso attraverso una serie di intricati sentieri. E' un movimento continuo, senza una vera meta, guidato dalla fortuna stessa, vera padrona del destino umano, contrariamente a quanto accade nella Divina Commedia, che presuppone un moto verticale dal basso all'alto, quindi un miglioramento morale ricercato dal protagonista.
    Infine, anche nel poema epico della Gerusalemme Liberata di Tasso, si ripropone lo scenario della selva che, diversamente dalle altre opere, si presenta come una natura non orrida, spiacente o paurosa, ma al contrario, come un luogo attraente e sinistramente ameno, proprio a causa degli incantesimi orditi dal mago maligno Saron, nel tentativo di sviare ancora l'uomo, attraverso gli inganni dei sensi. In Tasso la selva rappresenta dunque un luogo che, apparentemente può essere considerato piacevole ai personaggi che lo attraversano, ma dietro il quale si cela sempre un inganno, specchio del dissidio interiore che l'autore stesso viveva in quel momento, influenzato sicuramente dalla crisi di certezze sviluppatasi grazie al nuovo tipo di mentalità aperta dal progresso scientifico, dalla Riforma protestante e successivamente anche dalla Controriforma.

    Alessandro Pasqui

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  12. ANDREA CARDARELLI
    La selva è un topos molto antico che ritorna nei maggiori autori della nostra tradizione letteraria, come Dante, Ariosto e Tasso. Luogo dell'avventura e dell'imprevisto, la selva rappresenta l'intrico in cui si aggira ciascuno di noi nella sua vita, con tutte le avventure e i personaggi in cui casualmente si imbatte. Immaginata come un bosco fitto, a volte una foresta e popolata da animali feroci, richiama alla mente una difficoltà, un luogo, una situazione da cui è difficile uscire sia fisicamente che psicologicamente.
    Per Dante (autore medievale), rispettivamente nella Divina Commedia, la selva assume una connotazione religiosa, diventando cosi il luogo della corruzione nel quale si smarrisce la ragione. La selva dantesca è dunque il Labirinto della ragione; proprio per questo essa viene definita “oscura, selvaggia, aspra, forte, amara” e simboleggia il peccato in cui è caduta l'umanità intera, non solo il singolo. Sarà poi Virgilio, simbolo della ragione, ad intervenire per salvare Dante dalle fiere che lo minacciano per volontà di Dio. Quindi da questo luogo di smarrimento si esce grazie ad un intervento della provvidenza, che regola la vita dell'uomo e dell'universo.
    Nell’Orlando Furioso di Ariosto, la selva è il luogo in cui si muovono i personaggi, e dove si può incontrare allo stesso modo il peccato o la redenzione, combattere il nemico o cercare la donna amata. Dietro ad ogni albero si nasconde la possibilità di un incontro avventuroso e straordinario: come quello di un castello incantato, incantatori malvagi o anche mostri e giganti. Diversamente da quanto accade nella Divina Commedia, lo smarrimento nella selva non comporta l ’idea di peccato, ma la mancanza di un equilibrio dell’uomo alle soglie dell’età moderna, l'assenza di un principio ordinatore del mondo che per Dante e il Medioevo era la volontà di Dio. Però non sempre si tratta di un luogo spaventoso e selvaggio: infatti in quest’opera spesso si sottolinea la bellezza di questo paesaggio e il bosco impenetrabile si apre in radure fiorite o si ferma alle sponde di un piacevole ruscello, dove la natura ci rivela il suo lato benevolo e materno. Inoltre qui il tema della selva e quello della ricerca sono strettamente connessi: la nostra vita è intricata come una foresta e in questa foresta noi cerchiamo vanamente gli oggetti dei nostri desideri, spesso poco realistici. Essi ci sfuggono sempre mentre, paradossalmente, li ottengono coloro che non li stavano cercando, come accade a Medoro con Angelica. Lo stesso accade nel castello del mago Atlante, dove i paladini si aggirano senza pace, trattenuti non tanto dall'incantesimo quanto dalla follia delle loro illusioni.
    Nella Gerusalemme liberata di Tasso invece, la selva non viene vista da Rinaldo come un luogo oscuro e pauroso, grazie alla presenza di una natura attraente creata dagli incantesimi delle forze maligne, al fine di sviare l’uomo dal suo obbiettivo, ossia quello di raggiungere il campo di battaglia, attraverso l’inganno dei sensi. In un certo senso è molto simile al giardino della maga Armida, quindi un luogo pieno di bellezza e molto accogliente, ma che comunque dietro alla propria apparenza vi si nasconde un pericolo. Di fatto, questa selva rappresenta per l’autore una fonte di smarrimento e di inganno, in cui la crisi delle certezze si rispecchia nella natura che lo circonda e nella sua interiorità.

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  13. ANILE VALERIO.
    Nella letteratura europea come in quella italiana trapelano molti esempi dell’importanza dello sfondo paesaggistico in un’opera, teso ad nascondere al lettore ciò che successivamente emergerà dalla pagine del libro. Esempio eclatante dell’importanza della cornice paesaggistica è il capolavoro dantesco della Divina Commedia, dove verrà raffigurata la selva, che da qui in poi diviene un topos per la letteratura italiana, assumendo moltitudini concezioni, tutte figlie del tempo, in cui l’autore vive.
    Dante utilizza la selva per descrivere l’aspetto più fragile della natura umana, quello incline al peccato, lui stesso la definisce “la selva erronea di questa vita”, riprendendo quindi il topos di una selva come immagine antica del male e dell’errore, diffusa in tutta la letteratura cristiana. Essa è descritta dal poeta come “oscura”, “selvaggia e aspra e forte”. Oscura perché non vi splende il sole, segno del bene di Dio, che illumina il cammino dell’uomo; con ciò Dante vuole indicare un reale periodo di traviamento della sua vita, rappresentato qui con il generale sbandamento dell’umanità. Questa è la visione che emerge nei versi del primo canto dell’inferno, nei quali egli cerca di comunicare la sua incertezza, la sua fragilità di fronte al peccato e il suo essere peccatore, rappresentando tutto ciò come reale specchio della società tardo-medievale. Entra in questo luogo misterioso, affascinate e allo stesso tempo inquietante, egli ha perso la “ “diritta via” dopo essersi abbandonato al peccato, riuscirà a salvarsi successivamente da questo luogo aspro e duro solo grazie alla bontà divina. La presenza di Dio emerge come elemento fondamentale della realtà dantesca, tipica di uomo medioevale, qual è Dante.
    Altro poeta che successivamente utilizzerà la selva come sfondo per la sua opera sarà Ludovico Ariosto, uomo rinascimentale, il quale a differenza di Dante non sentirà più così importante la figura di Dio, escludendolo dalla sua visione del mondo. Nell’Orlando Furioso lo scenario in cui si muovono i cavalieri è costituito da una selva dove i protagonisti combattono il nemico o cercano la donna amata , la selva ha in questo caso un significato ancora diverso. La perdita da parte del cavaliere nella selva non comporta piu l’idea di un peccatore, abbandonatosi alle nefandezze dell’animo umano, bensì alla mancanza di equilibrio da parte dell’uomo alle soglie di una nuova realtà storica; un uomo al quale manca la figura di un Dio ordinatore delle cose. In Ariosto la selva appare quindi come un luogo confuso, caratterizzato dall’ intrecciarsi di cavalieri, che viaggiano insieme, che si scontrano, e che continuano il cammino nuovamente insieme. Arioso tenta dunque di rappresentare la selva, come un luogo che rispecchi il “caos” del reale, un luogo multiforme e vasto, dove la società tardo-rinascimentale si rispecchia.

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  14. (parte 2)
    Emerge dalla selva ariostesca, come già detto, un’idea di mancanza di un certo equilibro, dato dalla presenza di Dio in Dante. Questa “sensazione” avrà come conseguenza l’avvento del Manierismo, dove il contenuto della forma poetica, viene meno e così facendo tutto viene sminuito. Ne consegue una grave crisi di certezze che porterà gli autori a rifugiarsi in un crescente decorativismo atto a proteggere se stessi da questo “ horror vacui”. Spiccherà tra questi poeti Tasso, caratterizzato dalla presenza di una tradizione letteraria precedente, espressione di una personale soggettività. Tasso descrive la selva, figura di questa crisi di certezze ed emblema d’inganno, che ricorda la selva dantesca, è la selva degli errori e delle passioni, o delle fugaci desideri umani. . Questo in sintesi è anche il concetto allegorico di Dante , ripreso da Tasso, che non arriva però a cancellare l’impronta cavalleresca di Ariosto, ma permette il ritorno forte di una cristianità rinnovata, dopo il Concilio di Trento e la riforma Luterana. Il poeta tridentino utilizzerà questo luogo fantastico, per descrivere la condizione dell’uomo, il quale senza la redenzione divina non è niente di fronte alla natura e alle vicissitudini che caratterizzano la vita. La selva descritta da questi tre autori assume valori diversi in base al tempo in cui vivono: partendo da una concezione medievale dantesca, dove la figura di Dio è forte ed essenziale, per giungere a quella rinascimentale di Ariosto, dove l’uomo “scaccia” l’eterno dalla sua posizione di centralità, fino ad arrivare al ritorno dell’elemento cristiano in Tasso.

    VALERIO ANILE.

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  15. L’idea della selva nell’immaginario collettivo richiama un luogo oscuro in cui non penetra luce nel quale abitano bestie feroci e da cui è difficile uscire sia fisicamente che psicologicamente.
    Questa immagine è diventa nel tempo un topos letterario,di volta in volta con significati differenti, presente in alcune delle maggiori opere dei più grandi scrittori italiani come Dante Alighieri, Ludovico Ariosto e Torquato Tasso.
    Per quanto riguarda il poeta fiorentino,la selva viene subito descritta nel primo canto dell’Inferno come “oscura” e “selvaggia” poiché essa rappresenta per il pellegrino e per l’intera umanità il luogo del peccato e dello smarrimento dalla “diritta via”. La selva assume quindi una forte connotazione religiosa poiché in essa,luogo della corruzione in cui vengono punite le anime dannate,si smarrisce la ragione che dovrebbe guidarci verso la felicità eterna. Per Dante quindi la selva rispecchia la società del tempo offuscata dall’odio e dalle tenebre che allontanano l’uomo dal raggiungimento della salvezza e dalla figura di Dio.
    Nell’Orlando Furioso di Ariosto invece la selva non è più vista come simbolo del peccato e della dannazione ma viene rappresentata come il luogo in cui è possibile fare incontri straordinari ed avventurosi,ovvero tutte le possibili situazioni in cui un uomo durante la propria vita può imbattersi. La selva è dunque il luogo in cui i personaggi si muovono per il raggiungimento del loro obbiettivo in modo quasi irrazionale attraverso vie aggrovigliate. Risalta dall’opera ariostesca quindi un mancato equilibrio dei personaggi causato dall’assenza di un principio ordinatore riscontrabile in Dante nella figura di Dio stesso.
    Infine per Tasso nel suo poema di maggior rilievo “La Gerusalemme Liberata”, la selva non assume più un’immagine paurosa come per Dante ma viene rappresentata come un luogo piacevole ed incantato a causa della magia delle forze maligne intente ad allontanare l’uomo dal giusto cammino. Si ha quindi una selva che solo apparentemente è attraente per chi la attraversa poiché in essa si nascondono inganni e scenari terribili simboli di incertezze e contraddizioni per l’uomo

    Alessio P.

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  16. In ambito letterario la selva abbraccia secoli di tradizioni: Virgilio nell’entrata dell’ Averno nell’ Eneide , Brunetto Latini nel Tesoretto , Dante nella Divina Commedia , Ariosto nel Furioso e Tasso nella Gerusalemme Liberata.
    La selva quindi può essere riconosciuta come vero e proprio topòs letterario che come si può notare viene preso in considerazione da vari poeti e scrittori che hanno fatto la storia della letteratura italiana e latina.
    Analizziamo e confrontiamo ora il ruolo che ha la selva in Dante , Ariosto e Tasso.
    “ Nel mezzo del Cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/che la dritta via era smarrita…
    Dante inizia così la prima cantica dell’inferno , in cui il poeta fiorentino vuole esprimere un sentimento maligno caratterizzato dallo “sbandamento dell’essere umano “ che nella vita terrena ha peccato.
    La selva dantesca inoltre è il luogo in cui si smarrisce la ragione , paragonabile ad un labirinto come quello del palazzo di Armida nella Gerusalemme Liberata, infatti lì il labirinto è l’emblema dello smarrimento della ragione .
    Anche per Dante vi è lo smarrimento della ragione caratterizzato dal buio ,infatti ,la selva è priva di luce nella quale non ci si può orientare. In aiuto c’è il principale esponente della ragione umana, VIRGILIO, che lo guida in questo mondo pieno di insidie , svolgendo il ruolo della PROVVIDENZA che aiuta l’uomo a relazionarsi col le DURE leggi dell’universo.
    Diversa la concezione di selva per Ariosto , il quale in un periodo storico diverso da Dante , descrive la selva come il luogo in cui i cavalieri combattono contro i nemici o sono in cerca dell’amata;
    Fugge tra selve spaventose e scure, /per lochi inabitati, ermi e selvaggi./ Il mover de le frondi e di verzure,
    che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,/ fatto le avea con subite paure/ trovar di qua di là strani vïaggi;
    ch'ad ogni ombra vetuta o in monte o in valle,/ temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
    (In questo tratto di opera si evidenza la fuga di Angelica dai paladini…)

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  17. (PARTE 2) DARCH. RICCARDO
    la selva per Ariosto ha il ruolo di vera e propria metafora del CAOS , caratterizzata dalla mancanza di un equilibrio e soprattutto dalla mancanza di un DIO come ORDINATORE DEL MONDO E DELLE COSE , che porti quindi una razionalità all’uomo e alle sue azioni.
    Inoltre nell’immaginario collettivo la selva di Ariosto si relaziona alla vita come un labirinto nel quale noi cerchiamo delle cose che vengono poi trovate da altri che non erano interessati a trovarle.
    Esempio calzante Angelica e Medoro , dove il cavaliere ferito incontra casualmente Angelica che in seguito lo cura provando poi anche dei sentimenti.
    Infine dopo l’analisi delle selve di Dante e Ariosto analizziamo la selva di Tasso.
    Per Tasso la selva è un luogo inaspettato, affascinante data la presenza di oasi, ninfe e sirene , caratteristiche di questo LOCUS AMENUS utilizzate per ingannare i sensi , ma Rinaldo rimane sordo ai sensi perché ha raggiunto la purificazione sul MONTE OLIVETO.
    Questo conflitto con i sensi che cercano di portare Rinaldo sulla strada sbagliata, può essere collegato al periodo in cui il poeta si trova ….MANIERISMO…periodo metastorico in cui l’intellettuale non ha più quell’equilibrio rinascimentale , ma al contrario si sente perso, senza più punti di riferimento.

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  18. Riccardo D'angelo Parte uno:
    La selva, introdotta da Dante attraverso la Divina Commedia, ha caratterizzato la letteratura italiana, ricevendo diverse interpretazioni metaforiche che i vari autori le hanno attribuito nel corso dei secoli.
    Dante, già nella prima terzina dell'Inferno, sottolinea l'importanza della selva, rendendola, insieme al colle, protagonista del viaggio ultraterreno che dovrà affrontare il poeta fiorentino. Nei due paesaggi- la selva e il colle- sono nascoste, infatti, due importanti metafore che sono la forza movente dell'intera opera: il primo simboleggia il peccato, la seconda , illuminata dai raggi solari, simboleggia la purificazione, e quindi la possibilità di innalzarsi in cielo. In tale modo, quindi, già nel primo canto è presente tutta la struttura del poema. Come detto, la selva ricopre un ruolo fondamentale per la Commedia, essa, infatti, assume una connotazione religiosa, diventando così il luogo dell' immoralità, dove si smarrisce la ragione, la quale dovrebbe guidare l'uomo verso la felicità eterna. La selva dantesca rappresenta, dunque, lo smarrimento della ragione. Essa, infatti, definita “oscura”, “selvaggia”, “aspra”, simboleggia il peccato in cui è caduta l'umanità intera, non solo il singolo. Dante, infatti, “raffigura insieme se stesso e tutta l'umanità, dal momento che smarrito puo' essere ogni uomo”, spiega il dantista Singleton. Simbolo della ragione, in tale opera, è Virgilio, il quale interviene per salvare Dante, facendolo uscire dalla selva e conducendolo nell'inferno e nel Purgatorio, mostrandogli “la diritta via” smarrita nella stessa selva. E proprio tale personaggio dimostra quanto l'uomo, pur essendo virtuoso e coraggioso, non puo' sconfiggere da solo il male, ma solo con l'aiuto di Dio. Proprio quest'ultimo infatti invia a Dante la sua guida, concedendogli tale viaggio ed aiutandolo nelle difficoltà.

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  19. Riccardo D'angelo parte 2:
    Nel corso del '500 la selva venne utilizzata da Ariosto per la composizione dell'Orlando Furioso. L'interpretazione metaforica di Ariosto, pero', è completamente differente da quella di Dante, dal momento che, vivendo nel rinascimento, non pone Dio al centro dell'interesse e degli studi, bensì l'uomo e la molteplicità del reale. In questo modo, quindi, la selva diventa l'emblema del movimento e la ricerca incessante, che sottolinea il continuo inseguimento dei desideri dell'uomo. Diversamente da quanto accade nella Divina Commedia, dunque, lo smarrimento nella selva non comporta l’idea di peccato, ma la ricerca dei propri ideali. Tuttavia non sempre si tratta di un luogo spaventoso e selvaggio: spesso, nell'opera, si sottolinea la bellezza di questo paesaggio e la natura impenetrabile si apre in radune fiorite e in piacevoli ruscelli, in cui la selva rivela il suo lato
    benevolo e materno.
    Successivamente, nel corso del manierismo, anche Tasso utilizzò il topos letterario della selva per la scrittura della “Gerusalemme Liberata”. E sarà proprio il periodo storico, quello della controriforma, che porterà a una grandissima crisi degli ideali, che darà la possibilità a Tasso di utilizzare nella sua opera lo scenario della selva. Quest'ultima infatti, a differenza di Dante e Ariosto, raffigura “processi psichici”, dal momento che colui che “entra nella selva ne diviene parte e ne duplica il groviglio confuso in quanto il caos della foresta è anche dentro di lui” (Ezio Reimondi)
    Le varie interpretazione metaforiche della selva,quindi, sono strettamente legate con il periodo storico nel quale le opere vennero composte. Dante, poeta medievale, è legato alla spiritualità e la stessa divina commedia è incentrata sulla religione, per tale motivo la selva ha interpretazione metafisica. Ariosto, con la descrizione del divenire umano, sottolinea quelle che erano le caratteristiche del rinascimento, abbandonando la concezione di Dio per avvicinarsi all'uomo, e Tasso, con la sua crisi di ideali, basa la sua selva attraverso il dissidio interiore.

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  20. La selva in Dante, Ariosto e Tasso


    La selva, è da sempre un topos che ricorre molto spesso nella nostra tradizione letteraria. Importanti autori, come Dante, Ariosto e Tasso, hanno ripreso questo luogo nelle loro opere più famose, nelle quali la selva assume sempre un significato allegorico differente.
    Dante usa questa cupa e tetra ambientazione nel I canto dell’inferno, dove afferma di essersi smarrito dentro di essa dopo aver smarrito la “diritta via”. La selva quindi è l’immagine del male, dell’errore e dello smarrimento della ragione e della fede, in poche parole rappresenta il peccato commesso da Dante.
    La selva infatti è oscura perché non vi penetra il sole che, sempre nel I canto, rappresenta l’immagine di Dio, a sottolineare il fatto che lì non vi è il bene divino ed è quindi un luogo di peccato e traviamento morale non solo suo ma dell’intera umanità.
    Il male che produce questo selva si evince anche dalle parole usate da Dante; l’autore la descrive infatti come un luogo aspro, forte e amaro che mette paura solamente se si prova a pensarci. Dante alla fine riuscirà poi riacquistare la ragione e ad abbandonare la selva anche grazie al divino intervento di Virgilio( altro grande autore che prima di Dante aveva usato lo stesso topos nell’Eneide all’entrata dell’Averno).
    Anche Ariosto, egli usa questo espediente nel suo capolavoro, L’Orlando Furioso, nel quale la selva non ha più il valore del male e del peccato come in Dante, ma rappresenta il mondo caotico e disordinato in cui agiscono i personaggi e ciò che da inizio al loro movimento errante teso alla ricerca di qualcosa fortemente desiderata che tuttavia sembra irraggiungibile a causa dei continui mutamenti della realtà che la selva rappresenta. Nella selva quindi non vi è un ordine specifico degli eventi che si susseguono e si intrecciano l’uno all’altro facendo incontrare tra di loro i personaggi , in quanto tutto l’agire del poema si svolge nel bosco. Questo disordine è dovuto anche al fatto che non vi è Dio, che con il rinascimento era stato messo da parte mettendo al centro del mondo la figura dell’uomo, idea che dunque Ariosto segue anche nel Furioso. Non essendoci quindi un dio ordinatore della natura e del mondo, quest’ultimo è dominato dal caos,dall’infinita possibilità di eventi e da un movimento che sembra inarrestabile. In sintesi la selva Ariostesca è lo specchio dell’intricato mondo in cui viviamo.

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  21. Parte 2

    Per quanto riguarda Tasso, anche lui usa la Selva nella sua celeberrima Gerusalemme Liberata, e anche in questo poema essa assume un significato differente rispetto alle altre della tradizione passata.
    La Selva è utilissima nell’economia del poema in quanto tiene lontani dalla città santa i cavalieri che vogliono liberarla dagli infedeli, in quanto il mago Ismeno lo ha sottoposta a un incantesimo mediante il quale la natura prende vita e riesce a contrastare le avanzate cristiane mostrando ai singoli cavalieri le loro più profonde paure e preoccupazioni, i quali, vedendole, impazziscono e sono costretti ad abbandonare la selva.
    L’esempio più famoso nel poema è quello di Tancredi che nel canto XIII, dopo aver inconsciamente ucciso e poi sepolto la sua amata Clorinda, si reca alle soglie della selva di Saron dove è costretto ad affrontare i molti ostacoli che la stessa selva gli pone davanti. L’ultimo ostacolo che gli si presenta è un tronco che contiene al suo interno lo spirito della sua amata che si lamenta del fatto che dopo averla trafitta nel suo corpo umano, la trafigge anche nel suo corpo arboreo. Tancredi alla fine, addolorato e ossessionato dai rimorsi, molla tutto ed esce fuori dalla selva prima di impazzire.
    Anche Rinaldo, l’altro protagonista dell’opera, proverà a spezzare l’incantesimo della foresta, che prima gli appare come un locus amoenus dominato dalla pace e dalla serenità e dopo gli mostra la maga Armida, la donna con la quale si era ceduto all’amore, trasformarsi in un terribile gigante. Al contrario di Tancredi, Rinaldo riesce a sviare i vari simulacri e a rompere l’incantesimo della Selva che ritorna al suo stato naturale.
    In conclusione la Selva Tassiana, che fa affiorare tutte i sentimenti e paure dei personaggi, simboleggia l’incapacità dell’uomo di dominare le proprie passioni attraverso la propria fede, infatti solo Rinaldo, che, riacquistando la ragione dopo aver lasciato i propri compiti di crociato per abbandonarsi ai piaceri carnali, guidato da Dio e dalla fede riuscirà a sconfiggere la Selva, simbolo del male pagano.

    Valerio B.

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  22. Elena

    Da sempre la figura della selva è nell'immaginario collettivo vista come fonte di guai e di avventure, luogo terrificante ed affascinante allo stesso tempo, popolato da esseri spaventosi; naturalmente, nel corso della storia e della letteratura, la concezione ed il significato di “selva” è molto cambiato. Nel pieno medioevo, con la Commedia di Dante Alighieri si va a definire una selva come luogo del peccato. Egli al principio della sua opera definisce il suo ritrovarsi in un luogo dove “la retta via era smarrita”; la selva è infatti vista dal letterato come un posto dove la luce divina, che rappresenta la ragione, la strada da seguire per arrivare alla salvezza, non arriva (siamo infatti alle porte dell'Inferno). E' un luogo inospitale ed ostile all'uomo, se Dante non avesse avuto Virgilio ad aiutarlo sarebbe rimasto vittima dell'avarizia, della lussuria e della superbia, peccati simboleggiati rispettivamente da tre animali che spaventano il poeta: la lupa, la lonza ed il leone. Si nota questa volontà e necessità di affrontare il peccato anche dagli aggettivi che il poeta che utilizza per descriverla: si trovano parole come “aspra”, “amara” e appunto “oscura” che alludono al peccato in cui è caduta l'umanità e che esprimono pienamente il sentimento di paura e smarrimento che l'uomo nel peccato prova. La selva diventa infatti, come anche tutta la sua opera, esemplare di una visione medioevale e prettamente religiosa: ciò che importa è il raggiungimento della felicità , della salvezza, che è possibile solamente tramite la luce di Dio.
    Scorrendo più avanti nel tempo fino al periodo di splendore del Rinascimento si arriva all'Orlando Furioso. Nel poema ariostesco la selva è posta come sfondo per la continua ricerca che i personaggi svolgono. Si può notare dallo scritto come la concezione di selva a questo punto sia assai cambiata. Non si tratta più di del luogo dell'errore come con Dante, la nuova selva è la causa scatenante di tutte le avventure e gli incontri che avvengono nell'opera; essa è lo stesso intreccio letterario, questo vagare senza fine che porta l'uomo a scontrarsi con il proprio destino. Si più definire la selva come il fato, come questa “potenza” che, nel bene e nel male, riesce a farci andare avanti, a continuare a vivere. Chiaramente questa concezione è derivata dal periodo in cui Ariosto vive: le nuove considerazioni che escono fuori dall'epoca rinascimentale mettono la figura di Dio in secondo piano, ed è ormai l'uomo che prende la scena e che diviene artefice del proprio destino. E' infatti solo, senza l'aiuto divino, che deve riuscire ad orientarsi nella selva e capire se è davvero necessario rincorrere fino allo strenuo l'oggetto del proprio desiderio.
    Nella Gerusalemme Liberata di Tasso, invece, si riconosce la crisi dei concetti rinascimentali esplicati per l'Ariosto e si ha piuttosto la definizione del concetto di manierismo, nel quale crolla l'equilibrio che teneva in piedi il periodo rinascimentale e quelli che sembravano i capisaldi di un'epoca non riuscivano minimamente a racchiudere le inquietudini dell'animo del poeta. La selva nel suo racconto è infatti specchio dell'animo umano, che fragile è smarrito nei meandri del suo io. Sotto questo aspetto la visione Tassiana della selva è molto vicina a quella di Dante, la differenza sta nel fatto che prima di tutto la selva della Gerusalemme Liberata non raffigura il “peccato” in sé, ma raffigura la mente creativa, misteriosa e per questo affascinante mente del poeta. Soprattutto Tasso si rende conto del bisogno da parte dell'uomo di richiudersi nel suo mondo interiore, dove regna il caos, ma dove si possono cercare le risposte della vita.
    Si può capire da queste riflessioni che il modo di esaminare uno stesso elemento o argomento cambia a seconda del periodo in cui il pensatore si ritrova a vivere e alle inquietudini che caratterizzano la sua esistenza.

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  23. CAMILLA MASSARI
    parte 1

    Quello della selva è divenuto, col passare del tempo, uno dei tòpos letterari più sfruttati e analizzati della storia, spesso ritenuto la tipica ambientazione di viaggi pericolosi e tormentati capaci di condurre i personaggi a confrontarsi con la realtà, trarre degli insegnamenti e divenire così più saggi e forti. Basti pensare alla gran parte delle fiabe per bambini ambientate da sempre in selve oscure, foreste incantate, magici boschi, che testimoniano quanto elementare e funzionale sia la nascita di quest'antica allegoria. Un 'allegoria che sperimenta la sua potenziale complessità in un'opera che costituisce uno dei più grandi capolavori mai realizzati nella storia dell'uomo, “La Divina Commedia” di Dante, in cui la selva viene descritta talmente “selvaggia e aspra e forte, che nel pensier rinova la paura”. Mentre scrive, infatti, il poeta proietta la sua mente in un'altra dimensione - immaginaria ma allo stesso tempo spaventosamente vicina, impalpabile ma facilmente percepibile – ovvero quella in cui elabora le vicende che lo coinvolgono direttamente; una dimensione che vede lui stesso protagonista di una storia destinata a rimanere eterna, un uomo smarrito nella selva del male e del terrore che, scorgendo davanti a sé il colle soleggiato del bene, sente uno spiraglio di luce aprirsi nel proprio cuore; fin quando le tre fiere gli impediscono il passaggio, catapultandolo bruscamente nella realtà della selva, che rispecchia simbolicamente la trappola del peccato umano. Le parole del poeta si rivelano così struggenti, imbevute di orrore e paura, che si ha l'impressione di essere trafitti dai suoi stessi versi. E quella della “selva oscura” costituisce proprio l'ambientazione ideale per rappresentare lo smarrimento dell'uomo, dovuto al suo stesso male, il peccato, il letterale sbandamento dell'umanità. Uno dei motivi conduttori della Commedia è proprio questo gioco continuo di Dante tra luce e ombra, selva e sole, tenebra e essenza divina, che rispecchia in maniera sbalorditiva lo smarrimento del cammino dell'uomo. Per il poeta la selva rappresenta infatti il luogo della corruzione, in cui l'uomo perde la ragione che dovrebbe invece portarlo alla felicità: è evidente dunque la forte connotazione religiosa, che lo spinge a sottolineare l'aspetto più tipico della vita medievale, regolata, limitata e dipendente dalla religione e dalle sue minacce.
    Simili caratteristiche richiamano la selva di altri due importanti autori del passato, Ariosto e Tasso, nei quali è evidente l'impronta dantesca grazie a cui le loro ambientazioni assumono sfumature leggermente diverse a seconda del periodo in cui si ritrovano a vivere. Ariosto, per esempio, sperimenta la realtà immediatamente precedente a quella di Tasso - caratterizzata dal definitivo crollo delle certezze umane - in cui inizia a cogliersi la leggera sfiducia nell'animo e progresso umano, che durante il Manierismo si amplificherà fino a raggiungere l'apice.

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  24. CAMILLA MASSARI
    parte 2

    Ariosto sembra rendersi conto di questa continua lotta che mira al raggiungimento di un equilibrio, ed è per questo che la “Gerusalemme liberata” si fonda così tanto sul movimento, sulla ricerca e sull'inseguimento; quasi fosse un tentativo di assoggettare la realtà che circonda l'uomo stesso. Si inizia a percepire la mancanza di una divinità ordinatrice, che regoli il caos che sconvolge l'intera vita dell'uomo con sorprese, attacchi, guerre e inseguimenti. E a testimoniare questo groviglio di tematiche vi è proprio il labirinto della selva, attraverso cui il poeta tenta di intrappolare e gestire tutti gli avvenimenti che sono potenzialmente in grado di mettere a soqquadro l'esistenza umana.
    In tal senso l'intento di Tasso è esattamente l'opposto, perchè se Ariosto tenta di porre rimedio ai disastri della realtà fenomenica – pur restando consapevole di non poter competere col caso – Tasso è caratterizzato dalla totale sfiducia in se stesso, dal doversi sentire lacerare ogni giorno dalla consapevolezza di una vita drammatica, rabbuiata dal terrore dell'horror vacui e del crollo delle certezze. Non è tanto il peccato inteso in senso medievale-dantesco o la descrizione di un luogo in cui far convergere il groviglio della realtà umana – tipico di Ariosto – a rivelarsi nella selva di Tasso, bensì la causa dello sconforto che caratterizza l'uomo della sua stessa epoca: la necessità di decorativismo, inteso nell'opera come il groviglio di errori umani dovuti alle tentazioni, i desideri e le sue fugaci passioni. Per notare questa piccola differenza è sufficiente pensare all'Angelica di Ariosto che fugge nella selva, consapevole di ciò che vuole, e all'Erminia di Tasso, smarrita, senza punti di riferimento. Le caratteristiche di entrambi i personaggi, che rispecchiano l'animo dei due poeti, si intravedono anche leggendo le loro parole: Ariosto descrive un'Angelica che fugge nella selva fuori di sé, ma mai smarrita ed incerta (“La donna il palafreno a dietro volta, e per la selva a tutta briglia il caccia, né che per la rara che per la folta, la più sicura e miglior via procaccia”); Tasso, al contrario, carica i suoi versi di una tensione quasi palpabile, paragonabile al terrore di Dante nella “Commedia”, che si insidia nell'animo del lettore: “Intanto Erminia infra l'ombrose piante d'antica selva dal cavallo è scorta, né più governa il fren la man tremante, e mezza quasi par tra viva e morta”.

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  25. La selva, intesa come luogo ricco di significati funzionali a descrivere sentimenti o stati d’animo del poeta è ormai entrata a far parte della letteratura italiana.
    Usata da poeti illustri come Dante, Ariosto e Tasso, assumerà significati differenti in base al periodo storico in cui i poeti si troveranno a vivere e, di conseguenza, ad usarla.
    Prendendo ad esempio Dante possiamo notare come la selva abbia come significato principale quello di smarrimento (del poeta in primis e degli altri poi), di corruzione, di peccato, in cui tutta l’umanità è caduta;
    “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita”, come appare chiaro da questi versi la luce, emblema della salvezza e della ragione, penetra con difficoltà (“oscura”), il che simboleggia la condizione a cui l’uomo era condannato. Ha senza dubbio un’accezione negativa, lo si nota dalle insidie che vi si trovano e dall’assenza di un sentiero che potesse condurre sulla giusta via; il tutto è sottolineato dagli aggettivi che il poeta stesso userà nel descriverla: “oscura - amara – selvaggia – aspra – forte”.
    Diversamente da ciò che accade nella Divina Commedia, lo smarrimento nella selva dell’ “Orlando Furioso” non comporta l’idea di peccato, ma la mancanza di un equilibrio dell’uomo, alle soglie dell’età moderna, di un principio ordinatore del mondo che per Dante (come del resto per tutti nel medioevo) era dato dalla volontà di Dio. Con Ariosto troviamo una selva recuperata alla laicità, non vista in maniera negativa anche se rappresenta l’intrico con cui ciascuno di noi è costretto a scontrarsi, mostra il lato benevolo della “foresta” in cui ognuno di noi va in cerca dell’appagamento dei desideri.
    Diverso sarà il discorso per Tasso, il quale si trova a vivere un periodo di grave crisi delle certezze ( vive infatti nel periodo della controriforma, che pone fine alla centralità dell’uomo, caratteristica tipica del rinascimento), il che si rispecchia nella “Gerusalemme Liberata”, in particolare nella selva, vista come luogo di inganno, ricco di insidie astutamente celate.
    Perla

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  26. La selva svolge un ruolo predominante, seppur con accezioni diverse, nelle opere di Dante, Tasso e Ariosto.
    I tre autori infatti nelle loro opere maggiori, rispettivamente La Divina Commedia, La Gerusalemme Liberata e L’Orlando Furioso, affidano ad essa allegorie e simbologie precise e funzionali alla narrazione e al messaggio da trasmettere al lettore.
    Dante fin dai primi versi dell’ inferno scrive: Nel mezzo del cammin di nostra vita /mi ritrovai per una selva oscura /ché la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/esta selva selvaggia e aspra e forte / che nel pensier rinova la paura!/
    Dunque Dante, riprendendo la simbologia religiosa e medievale, usa la selva per descrivere il peccato e lo smarrimento propri del regno dell’inferno, luogo in cui le anime dannate sono costrette a subire pene atroci per i mali commessi in vita.
    Il poeta fiorentino verrà poi ripreso da altri autori, come Tasso, che userà, come Dante, il tema del buio come simbolo della ragione perduta, la quale rappresentata dalla luce è qui assente sovrastata dalla potenza dell’Oscurità. Nella Gerusalemme Liberata la selva attrae il valoroso Rinaldo intento a raggiungere il campo di battaglia e lo “inganna” inducendolo al peccato. La differenza fondamentale che si coglie in Tasso è la forte presenza della psicologia nella narrazione grazie alla quale si può parlare di un’opera moderna, nel quale il lettore può rispecchiarsi nelle passioni, nelle fragilità nelle debolezze appartenenti da sempre al genere umano.
    Diverso è invece il ruolo della selva in Ariosto, il quale se ne serve nell’ Orlando Furioso per far trasparire l’ assenza di un principio ordinatore nel mondo, simboleggiando la dominazione del caos sull’universo.
    Infatti nel poema questa rappresenta, con i suoi mille sentieri, la costante e ossessiva ricerca dell’ oggetto del desiderio dei personaggi, i quali si troveranno però, sempre al punto di partenza, dominati da una forza incontrollabile: quella del caos.

    Sara Giancola

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  28. CORARELLI F.
    parte 1)L'ambientazione in un testo poetico ricopre un ruolo fondamentale,poiche risulta essere spesso immagine allegorica dei sentimenti dell'autore ed espressione di ció che egli vuole conferire all'azione narrativa.Tra le ambientazioni più comuni nella letteratura si evidenziano quelle a carattere naturale,dove si distinguono dei "topos" letterari come "la selva",che assume significati diversi a seconda del contesto in cui viene inserita.I tre autori posti a confronto sono Dante,ariosto e Tasso:Dante utilizza questo "topos" per aprire la cantica infernale della "divina commedia": " nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritovai per una selva oscura / che la diritta via era smarrita " . La selva in questi versi,come nell'intero canto assume il significato di smarrimento e di impedimento per la selvazza eterna,tanto che,essendo nel pieno di un medioevo autoritario e fortemente religioso,diviene sinonimo di oscurità e dubbio in contrapposizzione al fine ultimo dell'uomo tipo del medioevo,la salvezze spirituale che risiede nel paradiso.

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  29. CORARELLI F.
    parte 2)Nel rinascimento il "topos" della selva ricopre un ruolo scenico complesso,un esempio lampante lo si trova nell' "Orlando Furioso" di Ariosto.Il contesto storico è profondamente mutato ,infatti egli compone il furioso in un periodo di rinascita "dalle ceneri del medioevo" sotto ogni punto di vista,un'età in cui l'uomo si pone al centro del cosmo.In ariosto si evidenzia un acceno di crisi della concezione dell'uomo come figura centrale del cosmo,concetti che prefigurano il tramontare dell'età rinascimentale,argomenti che sono espressi nell'opera di Ariosto che cerca di mettere ordine alla realtà con la "Gerusalemme liberata".La selva del "Furioso" esprime il significato di inpedimento per l'uomo nel raggiungimento del suo scopo e del realizzamento dei suoi desideri.Con Tasso si delinea l'avvento del Manierismo,che segna il tramonto del rinascimento:Il modo di concepire l'arte muta profondamente,tanto che l'opera si arrichisce nella forma ma perde il contenuto.La diretta conseguenza è una forte crisi di certezze che si manifesta nella vita dell'artista e nella sua sua produzione letteraria. La selva della "Liberata è il riflesso del crollo delle certezze ed assume il sign. di inganno per mezzo di vane apparenze che l'uomo deve superare per conquistare la salvezza,che in Tasso è sinonimo della fede di Dio.Dal confronto sono emerse quindi le differenze significative che assumono queste ambientazioni.

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  30. La selva nell'immaginario collettivo e letterario
    Come ogni luogo che ha la tendenza di falsare la nitidezza delle sue componenti, per via di un limitato contatto con la luce( provenga essa dal sole o da una qualsiasi altra fonte luminosa), anche l'immagine di una fitta foresta è solita condurre la mente ad infiniti pensieri e simbolismi ormai parte da anni dell'immaginario collettivo; ed è proprio questo il motivo per cui la selva è spesso stata personaggio rilevante e dinamico di alcune fra le più importanti opere letterarie della storia. Tra queste "l'Inferno" di Dante , "L'Orlando Furioso" di Ludovico Ariosto e la "Gerusalemme Liberata" di Tasso. Affinché si possano ben comprendere i differenti usi che ne fanno gli autori in questione , è però essenziale inquadrare i rispettivi contesti storico-culturali nei quali essi operano. Nel primo caso il lettore è da subito assalito dall'atmosfera tetra e dalle mille difficoltà che la dettagliata ed efficace descrizione di Dante della selva oscura, in cui si ritrova nel mezzo del cammin della sua vita,permette di trasmettere con immediatezza; si giunge quindi ad un'identificazione reciproca tra chi legge, il protagonista e il suo ideatore, tutti uniti da una medesima necessità:trovare una via d'uscita che , per quanto possa essere piccola, sia almeno in grado di accendere in loro la speranza di potere ancora raggiungere la salvezza. Nel Medioevo tale spiraglio di luce non poteva che essere rappresentato dalla religione, la quale regolava e caratterizzava ogni aspetto della vita dell'uomo che, immerso nei suoi peccati, non avrebbe potuto ritrovare la felicità se non per mezzo della grazia divina. Successivamente la linea di pensiero subirà cambi radicali e la figura di Dio perderà la sua centralità per cederla all'uomo stesso; scrittori come Ariosto si trovano quindi a raccontare le loro storie senza che vi sia un Dio ordinatore ad unificarle ed equilibrarle nella giusta maniera: la sua selva risulterà infetti emblema del caos e della mutevolezza umana , in cui fatti, caratteri e azioni si intrecciano e susseguono senza che sia possibile rendersene conto. Pian piano però, la figura di Dio ritorna prepotente, si inizia a pensare che il pessimismo di fondo , caratteristico dell'età Rinascimentale, molto probabilmente aveva avuto le sue ragion d'essere; nonostante si siano raccolte le prove che Dio e l'uomo non hanno niente a che vedere tra loro, si sente l'esigenza di riacquistare la fede e quindi di riprovare un comune senso di unità. Le capacità dell'uomo si sono rivelate fallaci e questo ulteriore crollo delle certezze risveglia il bisogno di un elemento che sia in grado di ristabilire l'ordine. Ed ecco che troviamo L'illustre Torquato Tasso, poeta del dissidio interiore per eccellenza. Egli passò la sua vita alla ricerca di protezione, stabilità ed unità in ogni luogo possibile, proprio come i suoi personaggi corrono scappano, piangono e si rifugiano nella selva con la speranza di trovare le risposte che non riuscivano a trovare altrove e che in parte, come l'autore, non saranno mai in grado di trovare.

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  31. Silvia Venturini
    In un'opera l'ambiente in cui si svolgono le azioni sono di fondamentale importanza in quanto oltre a contribuire alla descrizione delle emozioni e degli stati d'animo dei personaggi, molto spesso rispecchia anche quello dell'autore stesso, che a sua volta è influenzato dalla società e dal periodo storico in cui si trova a vivere.
    Un'ambiente che nella letteratura italiana è considerato un vero e proprio topos letterario è la selva; luogo molto spesso considerato angusto, pauroso e fuorviante lo ritroviamo nelle opere di tre poeti di epoche consecutive ma decisamente differenti dal punto di vista storico, politico e sociale, questi autori sono: Dante, Ariosto e Tasso.
    Dante vive nel Medioevo, e nella sua selva emerge con chiarezza lo stretto rapporto con la religione, elemento fondamentale in questo periodo caratterizzato dallo stato di supremazia di Dio nel cosmo. Il poeta fiorentino inizia la sua opera, viaggio verso Dio simbolo di eterna salvezza, con lo smarrimento e la perdita della "diritta via" del protagonista, Dante stesso; egli nel difficile percorso verrà aiutato da Virgilio che rappresenta la ragione perduta da Dante e più in generale dalla società di quel tempo.
    Nella "Divina Commedia" la selva assume una connotazione decisamente negativa infatti viene descritta dagli aggettivi "amara" "selvaggia" "aspra" e "forte". Può essere messo in evidenza un parallelismo tra la selva dantesca e la vita stessa ricca di imprevisti e di personaggi che possono ulteriormente allontanarci dalla "diretta via", nella commedia questi imprevisti sono rappresentati dalle tre fiere che il protagonista perduto e impaurito si trova ad affrontare.
    Successivamente nella letteratura italiana si ritrova il topos della selva nella famosa opera di Ariosto, l'Orlando Furioso.
    Ariosto a differenza di Dante vive in un'epoca in cui la figura dell'uomo è centrale nella visione del mondo e non vi è più la presenza di un "Dio ordinatore" della realtà degli uomini; per questo motivo questo è un periodo caratterizzato da instabilità e incertezze incrementate dalla costante presenza della fortuna, intesa come la casualità propria di ogni evento.
    Ariosto comprendendo e accettando momentaneamente questa situazione instabile della sua società, resa evidente nell'opera dalla presenza di una selva in cui i personaggi sono spinti da desideri e aspirazioni differenti, che possono essere la ricerca della donna amata o la ricerca di uno scontro aperto con il nemico. Attraverso l'agire dei personaggi Ariosto tenta di riordinare e riportare la realtà ad un'armonia che ormai è andata perduta sia nella società reale del tempo sia nell'opera da lui composta.

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  32. Tasso invece, è colui che vivendo nell'età manieristica, nelle sue opere conferisce maggiore rilevanza alla forma del proprio testo piuttosto che al contenuto; egli aumentando il decorativismo e ponendo maggiore attenzione alla lingua e allo stile tenta di nascondere la crisi di certezze propria del Manierismo.
    Nella "Gerusalemme Liberata" la selva rappresenta principalmente l'inganno in cui i personaggi vengono attratti; questa è paragonabile a quella dantesca in quanto anch'essa è simbolo della perdizione, degli errori e delle vane apparenze che i personaggi riusciranno ad eliminare solo dopo essersi confrontati e dopo aver superato le loro paure più grandi, le loro passioni e i loro amori.
    è evidente come il topos della selva sia utilizzato in modo differente da questi tre autori e come la sua descrizione sia funzionale e rappresentativa degli stati d'animo dei personaggi e dell'autore stesso; ciò è dovuto principalmente alle caratteristiche del periodo storico in cui i poeti vivono. Si parte pertanto da Dante con la sua concezione profondamente religiosa, quindi la figura dominante di Dio; successivamente con Ariosto vi è lo spostamento dell'attenzione sull'uomo che tenta di occupare il posto precedentemente occupato dal "Dio ordinatore", per passare in fine con Tasso e il suo periodo manierista ad una nuova crisi delle certezze rinascimentali.

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  33. La selva suscita un particolare fascino nell’immaginario collettivo: da tempo immemore tende ad essere associata ad un luogo mistico, di perdizione delle anime pie o, ancora, ad uno spazio abitato da creature fantastiche nel quale si manifestano le forze magiche. Essa si caratterizza per essere priva di luce (segno della presenza divina) ed intricata, così da rendere ardua la sua attraversata.
    Quest’immagine della selva è così ben radicata in noi che si mostra come l’eredità diretta dell’attività secolare dei più svariati autori; costoro si sono soffermati su questo singolare luogo ed ognuno di loro ne ha delineato un profilo diverso, consono alla rispettive soggettività, figlio della propria epoca e funzionale alla propria opera letteraria. Un caso particolare è rappresentato da Tasso: egli infatti, come vedremo meglio in seguito, presenta la selva come un luogo atto a rifugio dell’anima che non si sente realizzata nel proprio tempo.
    Comprendiamo quindi come, a seconda dei diversi autori, la selva abbracci un campo semantico differente in qualità di soggetto, oggetto, elemento narrativo. A mio avviso infatti, relegare la selva al mero ruolo di scenario, mi sembra alquanto riduttivo.
    Soffermiamoci ora in particolare al ruolo della selva in tre gloriosi autori e nelle loro più celebri opere: la selva per il religioso Dante, descritta nella Divina Commedia, per l’aspirante razionale Ariosto nel suo “Orlando Furioso” ed infine per il passionale Tasso nella sua Gerusalemme Liberata.
    Il primo descrive la selva associandogli aggettivi come “selvaggia”, “amara”, “aspra”e sottolineandone la connotazione negativa: un luogo infatti nel quale imperversa il peccato e dove si trovano le anime erranti che hanno perso la fede.
    Infatti, sulla base dell’impianto religioso che Dante dà a tutta la sua opera, egli presenta la selva come un luogo di smarrimento, irto di ostacoli, nel quale vaga la sua anima che ha perso “la retta via”. È importante come per l’autore la selva sia un luogo di passaggio e non una condizione definitiva: l’uomo, se credente e quindi supportato dalla forza della fede, può elevarsi e possiede im sé le capacità per compiere questo salto. La sua immagine della selva, quella che egli si presta attentamente a descrivere, è interamente legata al trascendentale, concepita nell’ottica della missione profetica che egli si appresta a compiere e nel ruolo di legislatore della religione del quale si sente investito “nei confronti dell’Italia, della Chiesa ed in fondo di tutta l’umanità” ( da discorso sul testo della Commedia di Dante, in Studi su Dante).
    Questo luogo si eleva dalla sola dimensione temporale arrivando piuttosto a descrivere una condizione universale di perdizione dell’animo umano: lo stato d’animo che Dante vive all’inizio dell’opera non è quindi il suo personale dramma ma, piuttosto, profila con arguzia il dramma di tutti “e nel passato e nel presente e nell’avvenire dè tempi”.
    Nel medesimo tempo questa difficile condizione in cui vaga il suo animo, così come quello di tutti coloro che hanno perso la fede, si prefigura come immortale cioè viene sempre presentata nella prospettiva dell’eterno: Dante non fa altro che adottare come oggetto l’eternità, ma ci infila dentro il mondo dell’agire. Per Dante la realtà terrena e ultra terrena sono solo una continuazione l’una dell’altra in un contesto universale di tensione verso l’assoluto.

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  34. Così alla fine la selva risulta uno dei tanti escamotage che l’autore utilizza per descrivere una condizione intrinseca all’animo umano ma, ancora prima, oggetto dell’agire eterno.
    Vissuto in un epoca in cui si condannavano senza indugio i peccatori e si aspirava alla salvezza eterna, con la selva l’autore fiorentino esprime il cammino che lui medesimo ha intrapreso per allontanarsi dalla condanna eterna del suo animo al basso inferno, fino a raggiungere il luminoso Eden paradisiaco.
    Riassumendo, Dante ha concepito la selva sulla base del suo credo e questo luogo si è contraddistinto nella sua opera maggiore per la mancanza di luce e quindi di Dio.
    Soffermiamoci ora, con un salto di circa duecento anni sulla selva di Ariosto. Quest’ultimo visse in pieno Rinascimento, un periodo quindi completamente diverso da quello dantesco e la sua opera, come logico che sia, risente di tale salto temporale.
    Infatti, vissuto nella prima metà del cinquecento, ha concepito la sua maggiore opera in un’ottica laica in cui solo il caso domina le azioni dei singoli. Ariosto crede ancora di poter tenere le redini delle azioni, delle gesta dei personaggi, ne è ancora profondamente convinto e pertanto tenta di dare un impianto razionale al suo poema. Consapevole dei rovesci della fortuna, che inserisce manifestamente più volte nell’opera, tenta di porre un filtro tra lui e l’irrazionalità del mondo.
    Da questo punto di vista, emerge una netta differenza tra Ariosto ed i passati poemi epici cavallereschi ed, ancor prima, una sostanziale differenza che lo contraddistingue da Dante.
    Così nell’Orlando Furioso sarà la casualità a dominare gli eventi e nulla apparirà finalizzato: un atteggiamento volto a mostrare tutta la sfiducia nelle possibilità dell’uomo che si ritrova in Ariosto.
    Ritornando all’analisi delle diverse selve, quella ariostesca si contraddistingue per essere luogo di incessante ricerca della verità come lo sarà, in una forma ancora più evidente e marcata, il castello di Atlante.
    Ciò, però, non è altro che un’illusione alla quale i personaggi si concedono: l’illusione di raggiungere una verità tanto desiderata che fa parte dell’universo incompleto che Ariosto si appresta a descrivere.
    L’opera, ed in particolare l’episodio della selva, mostra come, alle soglie dell’età moderna, manchi all’uomo la figura di un Dio ordinatore del mondo e delle cose: si va man mano perdendo le certezze e tanto quanto si sente il bisogno di averne altre, non se ne riescono a trovare di nuove. E’come se Ariosto, l’autore, si ponesse in veste di entità divina in grado di colmare la mancanza di equilibrio.
    L’errore vero in cui vagano i personaggi è quello di correre altrove cercando la felicità fuori e non dentro di sé. Questa intimità che non è presente in Ariosto, emerge e sarà il soggetto del lirismo di Tasso, tutto permeato sulla soggettività dei suoi personaggi e non più sulle folli gesta come in Ariosto.
    Infatti, l’atteggiamento di Angelica è del tutto innovativo. Ella non si pone a riflettere solitaria e ferma come si potrebbe presumere, né come in Dante, è tanto meno corrugata dal suo stato di perdizione o risulta essere dilaniata al dissidio interiore: lei è fiera, sprezzante del pericolo, solitaria e convinta. La sua azione è però come un vagabondare senza meta, un movimento circolare, tanto vano quanto infinito: è l’azione, è il movimento che domina tutta la composizione di Ariosto, al contrario dell’intimità risvegliata di Tasso. A differenza del Tasso vi è invece una ricerca costante che non porta però ad una realizzazione concreta: il poema è tutto un gioco di vane illusioni e la narrazione, procedendo a zig-zag, non fa altro che accentuare queste speranze destinate a non trovare compimento.

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  35. Angelica è una donna profondamente cosciente del suo ruolo, sfugge dai suoi pretendenti, non si lascia dilaniare dalla schiavitù dell’amore come vedremo invece nell’Erminia dantesca.
    Sfuggente non si prostra ai piedi di nessun uomo e si concede solo ad uno (Medoro).
    Da un certo punto di vista, può essere intesa come lo stesso Ariosto: come lui è cosciente della propria intellettualità e non vuole dipendere da altri, (Ariosto in particolare è critico nei confronti dei duchi d’Este) così ella è consapevole della sua forza, della sua bellezza, del fascino che ha saputo ben esercitare ammaliando Rinaldo, Orlando e lo stesso Ferraù, ai quali però non vuole sottostare.
    Vediamo ora come la selva descritta nella Gerusalemme Liberata dal Tasso, si distingue dalle altre due per il fascino che questo luogo esercita su coloro che vi giungono: non è un luogo di tormento né tantomeno di perdizione, ma piuttosto un locus amoenus che si distingue per la bellezza della flora lussureggiante e per il paesaggio armonioso. È piena di ruscelli, di grotte, si presenta proprio come un luogo dove trovar ristoro: tale descrizione del topos, del locus amoenus risulta essere il primo della tradizione bucolica.
    Coloro che vi passano, al contrario del poema ariostesco e dantesco, si trovano a vivere il loro dissidio interiore e la selva, a cui più volte i maggiori critici hanno attribuito l’aggettivo incantata, risulta un escamotage ordito dall’autore per dare suoi personaggi una condizione di realtà parallela in cui rifugiarsi e realizzarsi.
    La selva di Dante eleva l’animo umano, è un luogo tanto triste ed impervio quanto poi alla fine si rivela salvifico, un luogo nel quale l’uomo può riscattarsi fino a raggiungere la vista di Dio. L’uomo che ha perso la retta via (la via di Dio) con la sola fede può giungere a quest’ultimo. Dall’altra parte, la selva ariostesca non salva l’uomo dall’impossibilità di realizzare i suoi. È proprio questo che cambia: da una parte con Dante si ha fiducia nella ragione umana, in Ariosto questa fiducia si perde e si rappresentano le poche capacità dell’essere di salvarsi.
    Per comprendere invece Tasso bisogna applicare un ragionamento diverso; la sua selva si distingue dalle altre due analizzate per essere bella e, nella sua bellezza, risulta fatale: è come se l’autore creasse una sorta di dimensione parallela, la sola in cui i suoi personaggi riescono a dare compimento alle proprie gesta.
    Tasso vive in un periodo a lui non consono, in un epoca a cui egli si sente non appartenere. Tutto il disagio e la sofferenza che ne deriva,si riflette sulle sue opere: come Don Quijote, sarà più semplice per i suoi personaggi crearsi una realtà in cui rifugiarsi piuttosto che vivere quella effettiva. In quest’ottica bisogna interpretare l’opera di Tasso così come, in particolare, l’episodio della Selva in analisi.
    Notiamo come la protagonista della fuga nella selva è questa volta Erminia, innamorata follemente di Tancredi, impaurita di ciò che potrebbe succederle, è sola, accompagnata unicamente dalle sue lacrime, da suoi pianti, dai suoi flebili sospiri (elementi che ricorrono nella Gerusalemme Liberata quando si tratta dell’infingevole donna). In questo passo emerge tutto il lirismo tassiano che egli comprenderà non essere consono ad un poema epico e che quindi eliminerà nella Gerusalemme Conquistata. Non nasconde però l’affezione che per lui rappresenta questa scena e quanto per lui sia bella ed essenziale.

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  36. Tasso colloca Erminia in una sorta di sogno bucolico: al tramonto, disperata fugge dai cavalieri cristiani sul suo cavallo che sembra guidarla, è impaurita, non padrona di sé e tanto meno dell’animale “Intanto Erminia infra l’ombrose piante/ d’antica selva dal cavallo è scorta, né più governa il fren la man tremante,/ e mezza quasi par tra viva e morta.” (Gerusalemme Liberata, canto VIII, ott. 1) e poi si sveglierà nella selva alle prime luci del mattino, luci che le permetteranno di ammirare lo splendore a lei circostante. “ Non si destò fin che garrir gli augelli/ non si sentì lieti e salutar gli albori,/ e mormorar il fiume e gi arboscelli,/ e con l’onda schezar l’aura e co i fiori./ Apre i languidi lumi e guarda quelli/ alberghi solitari dè pastori,/ e parle voce udir tra l’acqua e i rami/ ch’a i sospiri ed al pianto la richiami.” (Gerusalemme Liberata, canto VIII, ott.5).
    È come se la fuga di Erminia rappresentasse la fuga del poeta stesso dai doveri a cui egli doveva adempiere nella realizzazione di quest’opera che si poneva come un poema epico cavalleresco, ma nel quale egli non riusciva a non far emergere la sua passionale soggettività, il suo travolgente lirismo.

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  37. Titolo: La selva per tre immensi autori: Dante, Ariosto e Tasso. Oggetto di fede, ambientazione impervia o soggetto lirico?!

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