lunedì 3 dicembre 2012

-Recensione libro novembre

62 commenti:

  1. RICCARDO D'ARCH.
    “LA METAMORFOSI” è un racconto del ‘900 di Franz Kafka , noto scrittore e aforista cecoslovacco;
    Die Verwandlung è la traduzione tedesca e rappresenta la prima stesura nel 1915 grazie all’editore Kurt Wolff.
    Il racconto tratta la storia di Gregor Samsa il quale si accorse di essersi trasformato in un insetto ; questo avvenimento rovinò decisamente la sua vita e soprattutto portò tensione all’interno della famiglia la quale non godeva più di una tranquillità.
    Gregor una volta divenuto un insetto veniva evitato da tutti i suoi parenti , anche dal padre e dalla madre.
    Soltanto la sorella gli era vicino portandogli il cibo e curandogli la camera in cui Gregor passava interamente le sue giornate.
    La storia finisce con la morte di Gregor ormai sfinito da questo stile di vita e soprattutto soffriva questo stato di disaggio e di isolamento da persone che, fino a quando era una persona normale , erano punti di riferimento.
    Tutto lo svolgimento dei fatti è ambientato maggiormente nella camera di Gregor e nella casa in cui Kafka lascia momenti di riflessione al lettore soffermandosi su alcune descrizioni fisiche e mobiliari che permettono di comprendere meglio il significato del racconto.
    Kafka è ritenuto uno dei più grandi rappresentanti del REALISMO MAGICO in cui fatti del tutto fantastici prendono un ruolo principale all’interno della storia e permettono la divulgazioni di alcuni temi o insegnamenti.
    Leggendo questo racconto ho avuto momenti di nostalgia , infatti la tragica trasformazione subita da Gregor rappresenta l’impossibilità di fare o esprimere qualcosa: per esempio non poter parlare con nessuno o semplicemente non poter stare in compagnia con i propri familiari porta inevitabilmente un senso di angoscia e anche paura che rovina la nostra esistenza.
    Questo momento di vita di Gregor lo ho associato alla dura vita che le persone invalide svolgono durante il giorno , soprattutto coloro che abitano nelle grandi città o anche a persone malate terminali che riescono ancora a ragionare e pensano a quanto disturbo e pensieri possono recare ai loro familiari.
    Infatti molte persone alla morte dei loro cari hanno una reazione di liberazione poiché si tolgono un pensiero e soprattutto un’angoscia che gli ha rovinato parte della loro vita e cercano di riprendersela facendo cose prima private da un evento tragico, “ stirando le giovani membra” cit METAMORFOSI .
    In conclusione consiglio vivamente questo libro a persone di alta classe sociale e POLITICI affinchè possano capire come si sentono coloro che sono in difficoltà sia fisica sia economica e che non riescono ad esprimere tali mancanze.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. l'originale è in TEDESCO!
      Disagio si scrive con una G
      in cui Kafka lascia momenti di riflessione al lettore soffermandosi su alcune descrizioni fisiche e mobiliari che permettono di comprendere meglio il significato del racconto....avresti dovuto fare un esempio di almeno uno di questi momenti che l'autore lascia al lettore...
      permettono .di approfondire alcuni temi o insegnamenti....
      perchè nostalgia ? avresti potuto spiegare meglio...anche perchè poi non parli di nostalgia ma di angoscia

      il parallelo che istitutisci tra samsa e un malato costretto al letto è calzante ma lo hai reso in modo troppo scarno, cerca di riscriverlo aumentando la descrizione della realtà di un malato chiuso in un letto...potresti cercare una testimonianza sul web è usarla come tua fonte personale per poi stabilire dei paralleli precisi con le parole di kafka...se rifai il pezzo entro 5 giorni ti valuto quella versione della recensione!!!

      Elimina
    2. “La ferita aveva tolto a Gregor –probabilmente per sempre- l’agilità dei movimenti, tanto che adesso , per attraversare la stanza , impiegava , come un vecchio invalido , parecchi minuti; quanto all’arrampicarsi sui muri non ci pensava nemmeno più…” è una cit .di Kafka che sottolinea lo stato di malessere portato a un essere (in questo caso animale) e le conseguenze che questo male ha nella vita di tutti i giorni.
      Questa ferita portata da Gregor , ma anche soltanto la sua trasformazione è stata paragonata allo stato di disagio che provano le persone malate.
      In base a una testimonianza di un rappresentante italiano delle SLA è stata fatta dichiarazione da parte di un malato , costretto a stare a letto perché impossibilitato dalla malattia.
      Bisognerebbe provare la sensazione di stare con la bocca e il naso attappato , immobili sul letto, gli occhi rivolti verso il cielo per tutto il giorno e non poter nemmeno scacciare una mosca ;
      la malattia distrugge l’essere umano , purtroppo solo la parte fisica perché la ragione è ancora vigile ed è reattiva su tutto ciò che avviene intorno a noi:
      infatti il malato di SLA ha una lucidità sconcertante , questa si può riassumere sotto il nome di “cattiveria della malattia” che ti fa vedere la tua stanza da letto come una camera di ospedale , ti fa pensare alle rinunce e a tutto ciò che non potrai più fare( anche gregor non poteva più lavorare…”darsi malato? Sarebbe stato un ripiego sgradevole e sospetto: durante cinque anni di impiego Gregor non si era mai ammalato una volta” cit.Kafka).
      Gregor infatti era un amante del lavoro e il fatto di non poterci più andare per lui fu una notizia terrificante.
      Continuando a descrivere la dura vita di un malato di SLA , possiamo descrivere l’assenza di aiuto che lo stato da a persone prigioniere del loro corpo e dei loro pensieri i quali costantemente logorano il proprio IO interiore , pensando al fastidio che possono recare ai propri familiari.
      Questi infatti, data la crisi economica e l’impossibilità dello Stato di poter finanziare cure a domicilio per queste povere anime innocenti (però giustamente può permettersi auto blu e spese extra) , sono costretti a improvvisarsi infermieri portando al povero malato anche uno scrupolo sul fatto di disturbare un parente .
      Molti familiari affranti dalle spese che prosciugano i conti bancari e soprattutto dallo STRESS che si ha nell’accudire una persona malata sperano che il loro caro muoia affinchè questo CALVARIO termini senza far soffrire la gente in modo inutile.
      Essere favorevoli alla morte di un caro non è concepibile , però come tutte le cose prima di essere giudicate devono essere provate sulla propria pelle , ma tengo a dire che una persona anche se malata terminale ha il DIRITTO di essere curata e assistita perché la VITA è IL DONO Più GRANDE CHE IL NOSTRO SIGNORE CI HA DATO e IL FATTO DI NON PRENDERSENE CURA NON è ACCETTABILE , SOPRATTUTTO STANDO NEL 2013.

      Elimina
    3. “La ferita aveva tolto a Gregor –probabilmente per sempre- l’agilità dei movimenti, tanto che adesso , per attraversare la stanza , impiegava , come un vecchio invalido , parecchi minuti; quanto all’arrampicarsi sui muri non ci pensava nemmeno più…” è una cit .di Kafka che sottolinea lo stato di malessere portato a un essere (in questo caso animale) e le conseguenze che questo male ha nella vita di tutti i giorni.
      Questa ferita portata da Gregor , ma anche soltanto la sua trasformazione è stata paragonata allo stato di disagio che provano le persone malate.
      In base a una testimonianza di un rappresentante italiano delle SLA è stata fatta dichiarazione da parte di un malato , costretto a stare a letto perché impossibilitato dalla malattia.
      Bisognerebbe provare la sensazione di stare con la bocca e il naso attappato , immobili sul letto, gli occhi rivolti verso il cielo per tutto il giorno e non poter nemmeno scacciare una mosca ;
      la malattia distrugge l’essere umano , purtroppo solo la parte fisica perché la ragione è ancora vigile ed è reattiva su tutto ciò che avviene intorno a noi:
      infatti il malato di SLA ha una lucidità sconcertante , questa si può riassumere sotto il nome di “cattiveria della malattia” che ti fa vedere la tua stanza da letto come una camera di ospedale , ti fa pensare alle rinunce e a tutto ciò che non potrai più fare( anche gregor non poteva più lavorare…”darsi malato? Sarebbe stato un ripiego sgradevole e sospetto: durante cinque anni di impiego Gregor non si era mai ammalato una volta” cit.Kafka).
      Gregor infatti era un amante del lavoro e il fatto di non poterci più andare per lui fu una notizia terrificante.
      Continuando a descrivere la dura vita di un malato di SLA , possiamo descrivere l’assenza di aiuto che lo stato da a persone prigioniere del loro corpo e dei loro pensieri i quali costantemente logorano il proprio IO interiore , pensando al fastidio che possono recare ai propri familiari.
      Questi infatti, data la crisi economica e l’impossibilità dello Stato di poter finanziare cure a domicilio per queste povere anime innocenti (però giustamente può permettersi auto blu e spese extra) , sono costretti a improvvisarsi infermieri portando al povero malato anche uno scrupolo sul fatto di disturbare un parente .
      Molti familiari affranti dalle spese che prosciugano i conti bancari e soprattutto dallo STRESS che si ha nell’accudire una persona malata sperano che il loro caro muoia affinchè questo CALVARIO termini senza far soffrire la gente in modo inutile.
      Essere favorevoli alla morte di un caro non è concepibile , però come tutte le cose prima di essere giudicate devono essere provate sulla propria pelle , ma tengo a dire che una persona anche se malata terminale ha il DIRITTO di essere curata e assistita perché la VITA è IL DONO Più GRANDE CHE IL NOSTRO SIGNORE CI HA DATO e IL FATTO DI NON PRENDERSENE CURA NON è ACCETTABILE , SOPRATTUTTO STANDO NEL 2013.

      Elimina
  2. "MESSAGGIO PER UN'AQUILA CHE SI CREDE UN POLLO" di Anthony De Mello.
    Parte 1
    Anthony De Mello è conosciuto in tutto il mondo come il maestro del pensiero positivo. Ha dedicato gran parte della propria vita tenendo corsi e conferenze, ai quali hanno preso parte persone di ceto, etnie e religioni diverse, tanto universali e profondi sono i temi che tratta. Ciò che lo caratterizza principalmente, tuttavia, non è l'insieme degli argomenti di cui discute, ma il modo in cui gli riesce naturale farlo: accompagnato da un umorismo coinvolgente e contagioso. Quest'ultimo, infatti, influenza persino il titolo di in uno dei libri che – non ho alcun dubbio nel dirlo – è uno dei più belli che abbia mai letto: “Messaggio per un'aquila che si crede un pollo” (1990). Non bisogna lasciarsi ingannare dall'aspetto ridicolo del titolo perché, pian piano che il lettore procede nella lettura, si rende conto di quando nobili, profondi e universali siano gli argomenti di cui parla. Il titolo del libro allude infatti ad una storia – espediente che lo scrittore utilizza continuamente per indurre il lettore a capire, insieme ad aneddoti e test –, che De Mello narrò in un più di una conferenza quando gli veniva chiesta qualche parola riguardo la natura del suo lavoro, che non è soltanto comica e al contempo triste e umiliante, ma sopratutto educativa. “Un uomo trovò un uovo d'aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L'uovo si schiuse contemporaneamente a quelle della covata, e l'aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per tutta la vita fece quello che facevano i polli del cortile, frugava il terreno in cerca di vermi e insetti e schiamazzava. Un giorno vide sopra di sé uno splendido uccello che planava, maestoso ed elegante. Chi è quello, chiese. È l'aquila, il re degli uccelli, rispose il vicino, appartiene al cielo; noi invece apparteniamo alla terra, perché siamo polli. E così l'aquila visse e morì come un pollo, perché pensava di essere tale”. E' affascinante pensare che agli occhi di De Mello, tutti quanti noi siamo delle “aquile reali”, inconsapevoli delle vette a cui potremmo innalzarci. Ed è proprio questa piccola storia a evidenziare la statura di quest'uomo, la genuinità del suo amore, che riesce a mantenere pur dicendoci la verità. In fondo il suo compito non è altro che quello di fare aprire gli occhi alle persone, al fine di far comprendere loro che ognuno di noi è una potenziale aquila reale, basta solo volerlo per diventarlo davvero.
    Interessantissima è la sua concezione di fondo, secondo la quale “la maggior parte delle persone, pur non sapendolo, sono addormentate. Sono nate dormendo, vivono dormendo e muoiono dormendo, senza mai svegliarsi. Non arrivano a comprendere la bellezza e lo splendore di quella cosa che chiamiamo esistenza umana”. Al che, leggendo a primo impatto un'affermazione del genere, che potrebbe quasi sembrare una sentenza, è chiaro come questo mi porti a prendere una presa di posizione: “Chi è quest'uomo per permettersi di dire che sono addormentata e che non arrivo a comprendere le bellezze del mondo che mi circonda?”. Ed ecco che, non appena questo pensiero sfiora la mia mente, zac, De Mello mi fornisce una risposta che mi lascia senza parole; che intrappola i miei pregiudizi e le mie considerazioni precedenti. “Le persone non vogliono realmente essere curate, non vogliono svegliarsi. Quel che cercano è un sollievo; una cura sarebbe troppo dolorosa. Svegliarsi è spiacevole, di fatto siete praticamente tutti addormentati”. E per tentare di alleggerire il peso di tali affermazioni, vi inserisce una delle sue storielle, in questo caso al fine di sbatterci in faccia che, effettivamente, siamo davvero “addormentati”:

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ha dedicato gran parte della propria vita ALLA REALIZZAZIONE DI CORSI...

      riesce a mantenere PRORPIO NEL DIRE la verità

      storielle, IN MODO TALE CHE IL LETTORE ALLA FINE CI SBATTA LA FACCIA: IN QUESTO CASO effettivamente, siamo davvero “addormentati”:

      Elimina
  3. PARTE 2
    E per tentare di alleggerire il peso di tali affermazioni, vi inserisce una delle sue storielle, in questo caso al fine di sbatterci in faccia che, effettivamente, siamo davvero “addormentati”: “L'anno scorso, alla televisione spagnola, ho sentito una storiella su un tizio che bussa alla porta di suo figlio. Jaime, dice, svegliati! Jaime risponde, non voglio alzarmi papà!, Alzati che devi andare a scuola, Ma io non voglio andare a scuola: prima di tutto è una noia, secondo, i ragazzi mi prendono in giro, terzo, io odio la scuola. E il padre dice: Adesso ti dirò io tre ragioni per cui devi andare a scuola: primo, perchè è tuo dovere, secondo, perché hai quarantacinque anni, e terzo, perché sei il preside”. Eccomi senza parole, sta tutto nel sorriso sorpreso e sconfitto dipinto sulla mia faccia.
    Così continuo nella lettura, e non posso fare a meno di ricadere nella sua trappola quando lancia un'altra delle sue “osservazioni”: “Credete forse che la gente vi aiuti? Non è così. Credete che la gente vi sostenga? Non è così”. Ed ecco che, dopo aver sentito bollire la rabbia e aver letto successivamente la sua spiegazione, mi sciolgo come un cubetto di ghiaccio. E mi chiedo come sia possibile che mi abbia lasciato, ancora una volta, senza parole: “Nel corso di una terapia di gruppo che stavo guidando, una donna, responsabile di un istituto, mi disse che non si sentiva sostenuta dalla sua direttrice, perché non si recava mai al suo istituto e non le rivolgeva mai nessuna parola di apprezzamento. Io le dissi, Va bene Mary, facciamo un esercizietto: io ti dico, facendo finta di essere la direttrice, che la ragione per cui non vengo mai da te è il fatto che il tuo è l'unico istituto della provincia che funzioni a dovere. Ora come ti senti? Benissimo, mi disse. Bene, adesso ti spiacerebbe uscire dalla stanza? Fa parte dell'esercizio. La donna uscì. Mentre era fuori, dissi agli altri componenti del gruppo che ero ancora la direttrice: Mary è la peggiore responsabile di istituto che abbia mai incontrato, il vero motivo per cui non vado al suo istituto è che non sopporto di vedere quel che combina. Ma se dico la verità l'unico effetto sarà che quelle povere alunne soffriranno ancor di più. Poi feci rientrare Mary e le chiesi se si sentisse ancora benissimo. Certo! rispose lei. Povera Mary...”. Insomma qual è la conclusione? Che nella maggior parte dei casi siamo noi a costruire nella nostra mente quel che sentiamo e pensiamo, compresa la convinzione di essere aiutati da altre persone.
    Andare avanti nella lettura è sempre più costruttivo e interessante, il lettore si sente quasi partecipe ad una gara, in cui ogni volta si promette di non cascare nella trappola di De Mello: “Manterrò la mia idea” si promette; che viene poi, come al solito, quasi completamente smantellata.
    Stesso discorso quando l'autore parla di temi molto più universali che, nonostante siano sentiti e ripetuti continuamente, sono ora colorati da una nuova luce. Ad esempio l'amore: “Pensate forse di aiutare le persone perché ne siete innamorate? Ebbene, non si è mai innamorati di qualcuno. Si è soltanto innamorati dell'idea che ci si è fatti di una data persona, un'idea preconcetta e dettata dalla speranza. Non è così che ci si disamora? È la vostra idea che è cambiata. Ma visto che l'unica cosa di cui ci si fidava era il proprio giudizio riguardo quella persona, quando cambiamo idea, addossiamo la responsabilità proprio a quella persona, semplicemente perché a nessuno piace ammettere che il proprio giudizio era sbagliato”. Non sono incredibili tutti questi ragionamenti logici che inducono il lettore a pensarla come lui? O la semplicità delle sue parole con cui articola discorsi eccezionali e al contempo estremamente affascinanti? Le sue teorie sono un mix di umorismo, sentimento, riflessione e semplicità, che rimangono tali anche in presenza di argomenti più complessi: si consideri la felicità.

    RispondiElimina
  4. PARTE 3
    “Voi non volete essere felici. Credetemi, è tutta colpa vostra. Che ne dite di sottoporvi a un piccolo test? Pensate a qualcuno a cui siete vicini, qualcuno che vi è prezioso, e provate a dire a quella persona nella vostra mente: Preferisco la felicità a te”. Chiudo gli occhi, immagino la scena, e qual è il risultato? Mi sento irrimediabilmente egoista, non volevo nemmeno dirla una cosa simile! Ed ecco che... “Quanti di voi si sono sentiti egoisti, pronunciando questa frase? Molti a quanto pare. Ma pensate un attimo a chi è veramente egoista. Immaginatevi qualcuno che venga a dire a voi: Come hai potuto essere tanto egoista da anteporre la tua felicità a me?. Non vi verrebbe forse da rispondere: Scusa tanto, ma come puoi tu essere tanto egoista da pretendere che anteponga te alla mia felicità?”. Discorsi logici, semplici, quasi matematici, che scaturiscono dalla mente di un uomo esattamente come noi, ma che ha trovato un altra via da percorrere e ci invita a prender parte ai suoi ragionamenti. Il punto, però, è che avventurando il lettore in questo groviglio di pensieri, De Mello lo sottopone ad una vera e propria pressione psicologica, che in un primo momento sembra spiacevole, ma che poi si tramuta in un sentimento di amara ed eccitante sorpresa.
    Giudico Anthony De Mello uno degli scrittori non solo più interessanti ma anche più eccezionalmente capaci di toccare l'animo del lettore, coglierlo di sorpresa e lasciarlo senza parole. E, in particolar modo, di metterlo in crisi. Perchè, a seguito delle sue “sentenze”, dopo un primo momento di rabbia, l'attimo dell'amara sorpresa successiva alla lettura delle sue spiegazioni e dei suoi test e la presa di coscienza che quello che sta dicendo POTREBBE ESSERE VERO... ecco che ci spaventiamo della realtà, della novità, del cambiamento, e facciamo un passo indietro per tornare nella nostra tana, nel nostro piccolo rifugio di illusioni e pregiudizi. E questo perché? Perché forse non vogliamo svegliarci per davvero.

    Camilla Massari

    RispondiElimina
    Risposte
    1. trovato un altra via UN' ALTRA


      BRAVA!!!

      MI PIACEREBBE CHE TI CIMENTASSI CON UN CLASSICISSIMO DELL'OTTOCENTO...ANNA KARENINA...CHE DICI??? LETTURA PER MARZO APRILE...VALE DOPPIO ;)

      Elimina
  5. “L’occhio del lupo” di Daniel Pennac


    Pennac è un rinomato autore per adulti e proprio per questo il suo timbro e la sua vena letteraria si fanno sempre riconoscere. Fu però lo stesso autore a rendersi conto di aver scritto forse il miglior prodotto della sua fantasia calandosi nei personaggi di un libro per ragazzi.

    Tutto cominciò con uno sguardo. Uno sguardo diverso dagli altri che, in un modo o nell’altro, costringe a guardare. E’ lo sguardo tra un piccolo bambino africano ed un lupo guercio proveniente dall’ Alaska che non necessita di un fiume di parole per descrivere ricordi e sentimenti provati dai due protagonisti durante la loro vita. E’ appunto uno scambio di emozioni che permette di unire due diverse esperienze, distanti e connesse al tempo stesso, scaturite da due ambiti: il lupo, saggio e silenzioso, con il compito di controllare la sua piccola famiglia una volta scomparso il padre a causa dei bracconieri, si ritrova ad essere merce di scambio ed infine calato nelle tenebre delle quattro mura di una recinto zoologico; ed un piccolo bimbo africano che, anch’egli in seguito a mercificazioni, tramite la potenza della parola riesce ad incantare bestie e uomini tutti. “Ed eccoli là che si fissano, occhio nell’occhio, nel giardino zoologico deserto e silenzioso, con un tempo infinito davanti a loro.”

    Non è tanto la trama e l’intreccio narrativo stesso a rendere “L’occhio del lupo” il più celebre dei romanzi di Pennac. Sicuramente. E’ il suo modo di descrivere una serie di concatenazioni narrative, la passione con cui trasmette al lettore la potenzialità della parola nei racconti di Africa, le emozioni del freddo Lupo Azzurro nella sua travagliata esistenza, che rendono unico ed inimitabile questo romanzo. E’ il modo con cui si descrive l’occhio del lupo fondersi con l’occhio del ragazzo e dare vita ad una sorta di apprensione immediata di due esistenze. “La pupilla può ben ingrandire, invadere l’intero occhio, bruciare come un vero incendio, il ragazzo non distoglie lo sguardo. E quando tutto è diventato nero, completamente nero, lui scopre quello che finora nessuno aveva scoperto nell’occhio del lupo: la pupilla è viva.”

    Efficace è in tal senso il linguaggio molto semplice e diretto che porta il lettore dritto al senso del messaggio dell’autore: ansia, solitudine e tristezza nel capitolo di Lupo Azzurro e preoccupazione e disagio nel racconto di Africa. Spesso tali sentimenti possono essere non considerati oppure delle volte totalmente esclusi, in quanto al giorno d’oggi non sono soliti presentarsi nell’esperienza di un ragazzo comune. Leggendo le semplici pagine di Pennac un lettore può fermarsi e ragionare: può tutto ciò avvenire da un semplice sguardo? E’ mai possibile che due “esseri” cosi diversi racchiudano esperienze tanto comuni? Le domande sono proprio queste poichè il tema principale che viene sviluppato nel corso del romanzo è proprio la capacità di ritrovarsi nelle situazioni altrui. Sarebbe troppo facile etichettare la tematica del libro di Pennac ad amicizia perché questo va ben oltre: dietro l’amicizia che nascerà alla fine del racconto tra i due – secondo la mia umile opinione nasce nel momento stesso in cui Africa chiude l’occhio per non far provare disagio a Lupo Azzurro “Allora il ragazzo fa una cosa curiosa, che calma il lupo, lo mette a suo agio. Il ragazzo chiude un occhio.”- si cela il continuo rapporto dei personaggi stessi che divengono in tal senso, uno compimento dell’altro.

    E’ un libro più che altro emozionante. Non colpisce la mente del lettore, ma la sua personale esperienza: è quindi capace di far provare semplici cose che toccano le corde degli animi più raffinati perché non si può leggerlo nel suo significato più esterno, bensì è necessario carpirne il significante.

    Kristian Galanti :)





    RispondiElimina
    Risposte
    1. E’ lo sguardo tra un piccolo bambino africano ed un lupo guercio proveniente dall’ Alaska che non necessita...lo sguardo non necessita?? poco chiaro

      bimbo africano che, anch’egli in seguito a mercificazioni, cosa provovcano??? manca una spiegazione

      magari un riferimento ad emozioni legate a tuoi sguardi o a que lli di qualcun altro per spiegare in che modo per te questa descrizione risulti così vera e vivida!
      non si può leggerlo nel suo significato più esterno, bensì è necessario carpirne il significante...forse il contrario...non ci si può fermare al significante ma attraverso questo si deve arrivare al profondo, istintivo e toccante significato???

      Elimina
    2. ansia, solitudine e tristezza nel capitolo di Lupo Azzurro e preoccupazione e disagio nel racconto di Africa. Spesso tali sentimenti possono essere non considerati oppure delle volte totalmente esclusi, in quanto al giorno d’oggi non sono soliti presentarsi nell’esperienza di un ragazzo comune....SEI SICURO??? NON TI è MAI ACCADUTO DI CONFRONTARTI CON QUESTE EMOZIONI???

      Sarebbe troppo facile etichettare la tematica del libro di Pennac ad amicizia perché questo va ben oltre: dietro l’amicizia che nascerà alla fine del racconto tra i due –....FACILE RIDURRE....MA ALLORA COSA STA DIETRO ALL'AMICIZIA??? NON LO SPIEGHI

      E’ un libro più che altro emozionante. Non SOLO colpisce la mente del lettore, ma la sua personale esperienza...PERCHè HA COLPITO LA TUA??

      Elimina
  6. Relazione del romanzo di George Orwell “ La fattoria degli animali”
    La fattoria degli animali è uno dei romanzi più famosi dello scrittore e giornalista inglese George Orwell, scritto nel 1943 e pubblicato solo nel 1945.
    L’opera, considerata sia satirica che distopica, è un’allegoria del totalitarismo sovietico del periodo della dittatura stalinista, nonché una parodia di tutto quello che rappresenta il pensiero marxista, e quindi del comunismo in generale.
    La trama è ambientata in una fattoria nel paesino di Willingdon, ove gli animali sono sfruttati e maltrattati dal padrone della fattoria al quale si ribelleranno.
    La scelta di fare un romanzo satirico con protagonisti gli animali è ripresa da Orwell dal modello delle favole di Esopo e Fedro, e come ogni favola che si rispetti termina con una morale.
    Mentre nelle favole gli animali rappresentano i vizi e le virtù dell’uomo, nel romanzo di Orwell rappresentano ognuno un personaggio o un evento storico legato alla Russia comunista.
    La “fattoria padronale” nella quale vivono in pessime condizioni gli animali, appartiene al signor Jones, uomo brutale che si ubriaca spesso. Il più saggio fra tutti gli animali è il “Vecchio Maggiore” , un anziano verro che predica un sogno di libertà dove gli animali vivono secondo il loro libero arbitrio e indipendentemente dall’uomo, il quale, dopo aver comunicato a tutti il suo sogno, invita gli animali a ribellarsi per la libertà. L’occasione tanto agognata di rendersi indipendenti si presenta quando il fattore, ubriaco, si dimentica di dare la quotidiana razione di cibo al bestiame. Quella stessa notte gli animali insorgono e rompono i recinti e si scagliano contro gli uomini che lavoravano nella fattoria cacciandoli.
    Da allora la fattoria viene rinominata “ La fattoria degli animali” dove al capo si mettono i due animali più potenti, i due maiali Napoleon e Palla di Neve.
    Entrambe le bestie avevano sposato in pieno l’ideale del Vecchio Maggiore, tuttavia col passare del tempo si forma una nuova classe dirigente formata dai maiali, gli stessi che avevano incitato gli altri animali alla rivolta, che a causa del loro egoismo e cupidigia impongono un nuovo regime dittatoriale, che ben prestà risulterà peggiore del precedente.
    Tra i due maiali alla fine, il più potente risulta Napoleon che fa cacciare Palla di Neve, facendolo passare a tutti gli animali per traditore.
    Per far si che nessuno degli animali potesse in qualche modo andare contro il dittatore, viene formata la propaganda, attuata da Clarinetto, un altro maiale, che facendo leva sul sentimento anti-umano degli animali e di un fantomatico ritorno del fattore, riesce a controllare le menti delle bestie spingendoli ad accettare la politica despotica di Napoleon.


    RispondiElimina
  7. Parte 2

    Quando poi alla fine Napoelon cambia i sette comandamenti con uno solo ( "Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri") e si alza sulle due zampe posteriori insieme a tutti i maiali, assumendo così una forma antropomorfa, si capisce che si è ritornati allo stato di partenza dove vi è un animale superiore che comanda a bacchetta tutti li altri e impone i propri principi.
    La fattoria diventa quindi un posto ancor più terribile della vecchia fattoria padronale, dove coloro che si erano proclamati liberatori sono diventati i nuovi oppressori.
    La morale del romanzo quindi è che nessun uomo, per quanto possa essere un amante della libertà, potrà mai debellare la brama di potere; e quindi per quanto possa essere straordinario l’ideale Marxista, resterà sempre e solo un ideale e mai una realtà, perché impossibile da mettere in atto.
    Come detto in tutto il romanzo è presente un’allegoria del periodo sovietico che va dalla rivoluzione del 1917, conclusasi con la cacciata dello zar Nicola alias il signor Jones, fino all’ascesa al poter di Stalin, alias Napoleon. Gli altri due maiali, ossia Palla di Neve e il Vecchio Maggiore, potrebbero invece rappresentare il primo Trotsky e il secondo, che aveva diffuso in tutta la fattoria il suo sogno, lo stesso Marx.
    Il libro, purtroppo, mi ha trasmesso la tragicità del mondo in cui viviamo, ove non saremo mai pienamente liberi, ma continuamente governati da un’autorità più potente; secondo me dunque Orwell oltre a fare un critica comunismo vuole criticare l’intera umanità, in quanto incapace di privarsi di quel desiderio di potere.
    In conclusione, consiglio questo libro perché è molto veloce e facile da leggere perché viene usato dall’autore un lessico abbastanza semplice, anche se è denso di significati sottintesi i quali non sono semplici da cogliere.

    Valerio B.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. iL TUO LAVORO è ANCORA MOLTO SPROPORZIONATO TRA IL RIASSUNTO..IL COMMENTO RICAVATO DA FONTI SPECIALIZZATE E IL TUO COMMENTO...QUEST'ULTIMO è LIMITATO ALLE ULTIME RIGHE...TROPPO GENERICO....AVRESTIPOTUTO DIRE CHE NONOSTANTE IL LIBRO SIA STATO SCRITTO IN RIFERIMENTO AL COMUNISMO, è POSSIBILE TROVARVI UN MESSAGGIO METASTORICO...UNA RIFLESSIONE SULLA NATURA UMANA DOMINATA DAL DESIDERIO DI POTERE E DA UNO SFRENATO EGOISMO, ALLORA AVRESTI POTUTO DIRE IN CHE MODO GIUDICHI QUESTA VISIONE DEL MONDO....INSOMMA DIRE VERAMENTE LA TUA!!!!

      Elimina
  8. ANDREA CARDARELLI
    “La passione secondo Thérèse”
    Daniel Pennac è l’autore di questo libro, che fa parte della serie di romanzi di straordinario successo centrati sulla figura di Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, e della sua colorita famiglia. La protagonista della storia è Thérèse; lei si innamora di un consigliere referendario di primo livello alla Corte dei Conti chiamato Marie-Colbert de Roberval. Suo fratello Benjamin però è convinto che sia un pessimo legame e ha un certo presentimento che non tarderà a realizzarsi. Così Marie-Colbert rivela alla famiglia della ragazza di essere deciso a vegliare sui destini della nazione, sfruttando la sua posizione e facendosi consigliare dalle predizioni di Thérèse. Intimamente invece, l'uomo è interessato soprattutto al talento da "capro espiatorio" di Benjamin ed alle capacità divinatorie di Thérèse, che vuole sfruttare per scopi strettamente personali. L'uomo però non sa che l'arte di Thérèse è destinata a scomparire proprio nel momento in cui la ragazza consumerà il suo primo rapporto carnale. Il matrimonio viene comunque celebrato ma termina dopo pochi giorni, quando Marie-Colbert si accorge di non poter più utilizzare le doti di Thérèse. Indignata, la ragazza ritorna in famiglia ma, poco dopo, la polizia si presenta a casa della ragazza dicendo che Marie-Colbert è morto. L'uomo è stato fatto cadere dal primo piano della sua casa ed i poliziotti ritengono Thérèse l'unica sospettata.
    La trama è avvicente e ricca di colpi di scena, la scrittura ha uno stile fresco, divertente, diretto e mantiene sempre viva l'attenzione del lettore. Di questo libro la cosa che mi ha colpito in particolare è la capacità di Pennac di incastrare nello svolgimento della storia diversi temi di grande interesse, quali le differenze fra diversi strati sociali, la cultura dei popoli immigrati in Francia, l'omosessualità e la politica. Il tutto però non assume mai toni gravi ma è descritto sempre con ironia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. diversi temi di grande interesse, quali le differenze fra diversi strati sociali, la cultura dei popoli immigrati in Francia, l'omosessualità e la politica.... COME NE PARLA...FAI QUALCHE RIFERIMENTO...CERTO DAL RIASSUNTO TUTTO CIò NON EMERGE...TROVA FRASI PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVE NEL ROMANZO E SPIEGA PERCHè TI COLPISCONO...LESSICO??? SINTASSI??? IMMAGINI SCULTOREE...CERCA DI ESSERE SPECIFICO

      Elimina
  9. Andrea Renzetti
    RECENSIONE “AMORI SENZA AMORE” di Luigi Pirandello
    “Amori senza amore” è una raccolta di tre novelle di Luigi Pirandello. Le tre novelle, come suggerisce il titolo della raccolta, sono incentrate sul tema della drammaticità dell’amore, poiché uomini e donne si innamorano senza però vedere realizzati i propri sogni. Infatti, come viene descritto di consueto nella poetica pirandelliana, l’amore non si compie a causa di motivi d’interesse e convenzioni sociali ma anche semplicemente a causa dell’incertezza e del dubbio intrinseco nella realtà umana. Nel momento in cui il personaggio deve rivelare il suo amore, e svelare la sua vera faccia, subito nascono delle problematiche che non sono sempre reali, ma spesso frutto della sua mente. In questo modo emerge la complessità della realtà umana, del dubbio e dell’espressione dell’io: è l’uomo che a causa della sua incertezza rende difficile ciò che realtà sarebbe facile se si mostrasse semplicemente per ciò che è. I personaggi di queste tre novelle incarnano dunque la drammaticità dell’amore e sono destinati a rassegnarsi ad una vita bassa di ipocrisie e silenzi. Nella prima novella il protagonista del racconto è l’ingegner Giulio Accursi “ un bel giovine: trentatré anni, facoltoso, elegante, non privo di spirito santo” che possedeva una casa a due piani della quale affittava il primo con annesso il terrazzo. L’uomo viveva insieme alla madre, rimasta paralizzata ormai da tempo, e “s’innamorava costantemente delle sue inquiline”; quella volta si era innamorato di Agata, già promessa sposa ad un altro uomo, e l’ingegnere passava buona parte del suo tempo ad osservare la ragazza sul terrazzo, che annaffiava i fiori o che semplicemente usciva per delle faccende domestiche. La donna si era però ammalata, e l’uomo che l’aveva promessa in sposa un giorno l’aveva misteriosamente lasciata; ciò colpì molto l’ingegnere, che non vedeva la ragazza ormai da molto tempo, e si interrogava sulle sue condizioni di salute ma soprattutto sul motivo che avesse spinto l’uomo a lasciarla. L’uomo “non sapeva definire bene la causa di quella tristezza; ma nessuna cosa al mondo avrebbe potuto consolarlo, se egli finalmente non usciva da quello stato di indecisione”; decise dunque di provare a mostrare il suo interesse per la ragazza che ormai era guarita e tornata a casa, ma ancora non dimenticava l’uomo che l’aveva lasciata. Giulio chiese dunque la mano della ragazza alla sorella, Erminia, che avrebbe riferito le parole alla madre e ad Agata, che nonostante soffrisse ancora per il precedente abbandono, accettò. Egli aveva dunque raggiunto e portato a compimento il suo amore con il matrimonio, ma proprio in quel momento la malinconia e la tristezza che lo avevano da poco lasciato lo investirono nuovamente, tanto che tuttò ciò che aveva conquistato gli risultò un momento dopo vano. Questa novella è quella che mi ha colpito di più perché è emblema dell’uomo che non realizza i propri sogni e i propri progetti sentimentali poichè è prigioniero della propria mente e della propria natura; se l’uomo non riesce a svelarsi e a togliersi la maschera è destinato a rassegnarsi a una vita di ipocrisie silenzi e finzioni. Il tipo di linguaggio e le situazioni riportate, situazioni che appartengono alla vita di tutti i giorni, fanno si che il lettore si immedesimi nel personaggio e si ponga sullo stesso piano della novella. Pirandello è infatti maestro nel descrivere queste vicende poiché riesce con estrema abilità ad entrare nella psicologia del personaggio e ad analizzarlo nelle sue parti più profonde.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. vita FATTA di ipocrisie

      ad entrare nella psicologia del personaggio e ad analizzarlo nelle sue parti più profonde....FAI QUALCHE RIFERIMENTO AL TESTO!! TROPPO LUNGO IL RIASSUNTO E POCO SENTITO IL COMMENTO

      ATTENTO ALL'USO DEI VERBI...HAI USATO IN MISURA ECCESSIVA L'IMPERFETTO INDICATIVO...LA LETTURA NON è SCORREVOLE E IN ALCUNI CASI VI SONO ERRORI DI CONSECUTIO.

      Elimina
    2. Ho riletto il testo...intanto ci sono gli errori nell'uso dei verbi...in un testo scritto a casa ovviamente influiscono abbastanza ... e poi il lavoro prevede la discussione dei punti che ti hanno coinvolto emotivamente di più...e questo nel tuo testo non c'è!!!!

      Elimina
  10. Il libro “Poesie Varie” è una raccolta di poesie di Giovanni Pascoli,poeta vissuto a cavallo tra l' '800 e il '900,uno dei più grandi poeti italiani;la raccolta di queste poesie è curato dalla sorella di Giovanni,Maria Pascoli,in quanto la pubblicazione di tale raccolta è postuma:questo raggruppamento non segue un ordine ben preciso scelto dall'autore ma il loro ordine è “dettato dal cuore” della sorella,come lei stessa dichiara nella prefazione alla prima edizione,inoltre ognuno può dare un ordine alle poesie in base a ciò che queste rime sussurrano al cuore del lettore.

    La poesia che ispira di più,che mi ha fatto emozionare più delle altre e che ,inoltre, mi rappresenta,e rappresenta bene l'essere umano quando è innamorato è la poesia Jago :non vuole vedere,o non riesce a vedere, i difetti o il vero carattere che si nasconde dietro la maschera che noi gli abbiamo dato.

    Dicea Jago:«Oh!tu non sai
    qual rea mente ella nasconda,
    il suo cuor che vedrà mai?»
    Io risposi:« È così bionda!»

    «se de' neri occhi t'innonda,
    de' suoi magici occhi,guai.
    Ell'è perfida come onda».
    «Così bianca!» io sussurrai.

    «Quella sua mite favella
    è sottile, è forte trama».
    Io gemetti:«È così bella!»

    «Sciogli a tempo il triste incanto
    ch'ella,stolto,non t'ama».
    «Ma io l'amo,io l'amo tanto!»

    In questa poesia Jago può essere considerato la coscienza,che ognuno di noi ha,in contrasto con l' IO del poeta innamorato di una donna e non riesce a vedere la sua vera natura,come detto in precedenza;volendo personificare Jago e l' IO del poeta potremmo considerare Jago come la mente e il poeta come il cuore,inteso come centro delle emozioni:la mente,Jago, cerca di far ragionare il cuore,il poeta,cercando di fargli vedere come sia in realtà la persona amata.
    V. Sangiovanni

    RispondiElimina
    Risposte
    1. OK COMMENTARE UN TESTO DI POESIE...MA DOVRESTI INDIVIDUARE, SEPPUR BREVEMENTE, IL FILO ROSSO CHE SECONDO TE LEGA I COMPONIMENTI. POI, MAGARI FAR RIFERIMENTO A QUALCHE COMPONIMENTO IN PIù INVECE CHE RISCRIVERE UN INTERO TESTO !!! SPIEGA QUALI SCELTE STILISTICHE TI HANNO EMOZIONATO DI PIù...SUONI...IMMAGINI..PAROLE..

      Elimina
  11. ALESSANDRO BARICCO-NOVECENTO

    NOVECENTO é uno dei romanzi piu' celebri di Alessandro Baricco,noto autore del 1900.
    Il romanza tratta la storia di un ragazzo di nome Danny Boodman T.D lemon Novecento che fu abbandonato sulla nave Virgian appena nato e visse tutta la sua esistenza su quel battello che faceva la spola tra America ed Europa durante la guerra.
    Novecento non avendo mai messo piede fuori dalla nave non conosceva il mondo per esperienza diretta bensì perché ne aveva sentito parlare dai numerosi passeggieri che viaggiavano sul Virginian " Il mondo magari,non lo aveva visto mai.ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave:ed erano ventisette anni che lui, su quella nave,lo spiava.E gli rubava l'anima ".
    L'esperienza di vita del protagonista di questa storia é in qualche maniera la metafora dell'esistenza umana,infatti Novecento decide di sua spontanea volonta' di rimanere per tutta la vita su quella nave,negandosi l'opportunita' di allargare i propri orizzonti e fare nuove esperienze poiche' ha paura che queste siano piu' forti della sua vita stessa " io ho imparato così.La terra,quella é una nave troppo grande per me.E' un viaggio troppo lungo.E' una donna troppo bella.E' un profumo troppo forte.E' una musica che non so suonare.Perdonatemi.Ma io non scendero'.Lasciatmi tornare indietro ".
    Il romanzo lascia al lettore lo spazio immaginario per riflettere sulla breve esistenza umana che va vissuta in ogni sua parte e sfruttando ogni momento,prendendosi delle volte anche dei rischi se servono per allargare i propri orizzonti ,quindi in maniera contrapposta al comportamento del protagonista,che vuole vivere la sua vera vita fuori da quella nave ma non ha il coraggio di buttare quella vecchia seppure non lo completa come uomo " Quando ti svegli un mattino e non la ami piu'.Quando apri il giornale e leggi é scoppiata la guerra.Quando vedi un treno e pensi devo andarmene da qui.Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio ".
    L'ultima frase della citazione esprime in poche parole il significato che ho attribuito al romanzo...rendere la propria vita libera da ogni pregiudizio e capace di essere sempre aperta ad ogni cambiamento se volto a migliorare la propria persona,così se un giorno guardadosi allo specchio ci vediamo vecchi,possiamo per lo meno pensare che abbiamo vissuto a pieno la nostra vita a differenza di Novecento che scegliendo di passare tutti i suoi giorni su quella nave ha deciso di vivere la sua in un ambinte chiuso,tracorrendola nella voce dei numerosi passeggieri che gli raccontavano le loro storie " Io sono nato su questa nave.E qui il mondo passava,ma a duemila persone per volta.E di desideri ce n'erano anche qui,ma non più di quelli che ci potevano stare tra una poppa e una prua ".

    CORARELLI FEDERICO

    RispondiElimina
    Risposte
    1. autore del 1900..O SCRIVI DEL '900 O DEL xx SECOLO

      ci VEDREMO vecchi,POTREMMO per lo meno pensare

      NEL LEGGERE DI NOVECENTO, CHE SENTIMENTI TI DOMINAVANO??? ANGOSCIA..CURIOSITà...DISAPPUNTO..VISTO IL TUO COMMENTO SAREBBE STATO INTERESSANTE SCOPRIRE COSA HAI PROVATO NEL LEGGERE.

      Elimina
  12. UNO, NESSUNO E CENTOMILA di LUIGI PIRANDELLO

    Uno, nessuno e centomila è uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello, definito dallo stesso autore come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”.
    Il protagonista del racconto è una persona comune, Vitangelo Moscarda; un giorno, all'osservazione da parte della moglie che il suo naso è leggermente storto, inizia ad avere una crisi di identità, a rendersi conto che le persone intorno a lui hanno un'immagine completamente diversa dalla sua della sua persona: inizia dunque un percorso di ricerca della sua vera personalità, trovandosi alle prese con centomila estranei, secondo la realtà che gli altri gli danno, ciascuno a suo modo. Nello sfuggire alle proprie centomila realtà, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, comprende che non è possibile distruggere le diverse immagini, a lui estranee, che gli altri hanno di lui, ma è possibile solo farle impazzire.
    Il romanzo si chiude con il rifiuto totale della persona da parte del protagonista, con la stessa frantumazione dell’io; non resterà dunque che accettarsi come “nessuno”, smarrendo ogni identità e disperdendosi nel mare dell’essere.
    Il protagonista Vitangelo Moscarda può essere considerato come uno dei personaggi più complessi del mondo pirandelliano.
    Dal punto di vista formale e stilistico, si può notare il forte impiego del monologo, che molto spesso si rivolge al lettore ponendogli interrogativi e problemi in modo da coinvolgerlo direttamente nella vicenda, invitandolo alla riflessione e alla meditazione sul testo.
    Pirandello rappresenta un mondo in cui l’uomo non trova soddisfacenti relazioni con la società, in cui soffre la crisi della solitudine, dell’estraneità, dell’incomprensione e non c’è dubbio che questa crisi dell’uomo, che isola l’animo e lo disperde in un’esistenza oscura, ansiosa e incerta, è reale e presente anche ai giorni nostri. Lo scrittore siciliano raffigura le delusioni, le emozioni nascoste, i conflitti della coscienza attraverso il “subconscio”, caratteristiche della vita che viviamo, in parte inconsciamente, ogni giorno.
    Non vi è mai capitato di pensare << lo farete sicuramente, perché mi sono trovato a farlo anch’io, se leggete, “Uno, nessuno e centomila” >> che la nostra personalità non è che l’insieme delle personalità che gli altri ci attribuiscono? Siamo davvero noi stessi, cioè quelli che crediamo di essere, al di fuori dell’immagine che gli altri impongono al nostro aspetto e della “maschera” che siamo costretti a portare e che è sempre diversa a seconda di chi ci giudica? Il nostro corpo, il nostro volto, le nostre espressioni, la nostra immagine sono veramente nostri o di qualunque altro in grado di dargli una realtà a modo suo? Non avete mai avuto il desiderio di guardarvi allo specchio per potervi vedere vivere? Siamo davvero estranei a noi stessi?
    Sono tuttavia tematiche che possono apparire complesse ma che non risultano particolarmente difficili: siamo noi che a volte, presi dalla fugacità della vita, dai problemi di tutti i giorni, ci lasciamo vivere senza pensare.
    L’elemento di grande spicco dell’opera è soprattutto la scelta della voce narrante: non più lo scrittore come osservatore esterno, ma lo stesso protagonista, che racconta la sua vicenda, espone i suoi pensieri, i suoi ragionamenti, le sue riflessioni sulla vita e su se stesso.
    Da un punto di vista personale la lettura ha riscoperto in me alcuni aspetti del mia personalità che credevo di non avere, suscitando in me il desiderio di poter vedermi vivere, come dice sempre l’autore, e invitandomi alla riflessione costante riguardo il mio comportamento e i miei modi di fare, ma soprattutto alla ricerca di quelle personalità che gli altri hanno di me, cercando di scoprire se esistono realmente “centomila” estranei del mio essere o se l’unico estraneo al mio corpo sono unicamente io.
    Buona lettura…

    Alessio Vergari

    RispondiElimina
  13. Richard Bach - "Il gabbiano Jonathan Livingston"

    “Il gabbiano Jonathan Livingston” è un breve romanzo dello scrittore Richard Bach in cui il protagonista è appunto un gabbiano che diversamente da tutti gli altri suoi simili non pensa soltanto a procurarsi il cibo ma desidera imparare l’arte del volo per scoprirne tutti i segreti e raggiungere la perfezione. Questa sua grande passione viene malvista dai suoi amici e dalla sua famiglia che lo escludono fino a fargli raggiungere l’esilio. Dopo vari accadimenti e dopo aver imparato a volare in modo impeccabile, Jonathan capisce che ciò per cui aveva tanto lottato é la strada da continuare ad inseguire.
    Bach in questo piccolo capolavoro spiega quanto sia importante vivere pienamente le proprie passioni anche quando non vengono condivise e ci mostra il sentimento di libertà che è presente in ognuno di noi e per il quale bisogna lottare con tutte le proprie forze. Jonathan rappresenta chi non vuole seguire la massa ma aspira ad un ideale diverso ed è il simbolo di chi ha il coraggio di seguire la propria legge interiore. Il senso di libertà,la voglia di lottare per ottenere ciò in cui si crede senza paura dei giudizi altrui è il messaggio centrale del racconto. A mio parere ciò è molto importante poiché senza passioni e la libera scelta nelle proprie azioni non potremmo comprendere ne vivere pienamente la vita fatta di infinite possibilità e ostacoli.

    Alessio P.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ne vivere CON L'ACCENTO è UNA NEGAZIONE!

      FAI RIFERIMENTI SPECIFICI AL TESTO..SCRIVI DELLE IMMAGINI CHE TI HANNO DATO L'IMPRESSIONE DI VOLARE (PENSO AL TEMA DEL LIBRO..CE NE SONO DI PUNTI IN CUI IL VOLO TI RAPISCE!!!)

      Elimina
  14. “Chi è Siddharta? E’ uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita”. È difficile spiegare il “rapporto” - se cosi si può dire - che ho avuto con questo libro fin dalla prime pagine di lettura. Ha rappresentato una gabbia dalla cui non riuscivo a scappare, che si faceva più forte piano piano che la lettura avanzava, fluida e piena di riflessioni. La mia è stata una prigione piacevole dalla quale alla fine non volevo fuggire, l’autore attraverso le pagine ingiallite del libro in un modo quasi magico interagiva direttamente con me, rifletteva le mie paure, le mie illusione e i miliardi di dubbi che ogni giorno mi pervadono la mente.
    Il romanzo è ambientato nell’ India del VI a.C , un paese “eterno e magico”; l’autore abbandona il vuoto formalismo di una semplice narrazione legata a connotati storici ben precisi, lascia che il lettore si perda nel testo alla ricerca della verità di se stesso, proprio come fa Siddharta che vive ogni esperienza come un banco di prova, un confronto con il proprio “io” da cui trarre degli insegnamenti, passa da esperienza in esperienza, dalla meditazione alla vita lussuriosa, egli NON si ferma mai, non considera mai finito il suo viaggio, la voglia di cercare la risposta a tutti i suoi dubbi è piu forte del passare del tempo. Egli considera tutto ciò meraviglioso. “Meraviglioso! Ora , che non so piu giovane, che le forze mi abbandonano, che i miei capelli son già mezzo grigi, ora ricomincio da capo, dall’infanzia!” Questo è il suo modo, filosofeggiando, di interpretare la vita un’ infinità serie di domande volte a trovare la propria personalità, volte a trovare il proprio ruolo all’interno del mondo. Hesse nel raccontare questa metafora in fondo ci vuole dire che è necessario conoscere tutto ciò che ci circonda, non bisogno affidarsi al semplice accadere degli eventi in modo naturale (caso) bensì tutto deve avvenire solo per mezzo della conoscenza, del dubbio, che deve essere una costante dell’esperienza, tutti questi elementi possono solo giovare alla vita dell’uomo, dandogli la certezza di avere vissuto, o almeno l’allusione di questo.
    L’autore “naviga” nella mente umana, entra e ruba i pensieri più profondi dell’uomo, le insicurezze nascoste, e i desideri più vaghi.
    L’incessante voglia di leggere e scoprire ciò che sarebbe capitato a quell’uomo tanto saggio quanto strano, mi ha spinto a cercare in me le medesime situazioni vissute dal protagonista. “Tu sei la prima donna a cui Siddharta non abbassa gli occhi” , con questa magiche parole descrive il suo primo amore, fatto di gioia e sofferenza . L’abbandono alle passioni, il peccato, che sin dal principio rispecchiano l’uomo. “il mondo l’aveva assorbito, il piacere, l’avidità, e infine quel peccato ch’egli aveva sempre disprezzato e deriso come il piu stolto di tutti: l’avarizia.” Per una subdola e alquanto strana motivazione anche il suo cuore aveva smesso d’essere un samana.
    E alla fine quel tutto che caratterizza la vita, la ruota delle allusioni, il bagaglio delle esperienze, rifluiranno allo stesso modo nel tranquillo e benigno sorriso di Siddharta.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. un’ infinitA serie

      BRAVO... SOPRATTUTTO NELLA PRIMA PARTE, MOLTO SUGGESTIVO L'INCIPIT...

      Elimina
  15. Riccardo D'Angelo

    Erri de Luca, nel suo breve romanzo “Il peso della farfalla”, costruisce una storia piena di metafore, similitudini e analogie fra i personaggi-un cacciatore ed il re dei camosci - i quali amano la solitudine e vedono l'uno nell'altro un comportamento animalesco:
    Scenografia della vicenda è la montagna, in cui un camoscio è riuscito ad avere il primato di re della mandria, e un cacciatore, il quale, allontanatosi dalla vita quotidiana, trascorre la sua esistenza uccidendo animali e vendendo il loro corpo.

    Impressionanti sono le descrizioni naturali che De Luca fa nel romanzo, come quando nel descrivere la scalata dei camosci sulle montagne, paragonando i loro balzi a note musicali, il lettore immagina tale scena davanti a se, come se fosse uno spettatore : “Gli occhi del camoscio sono le quattro dita del violinista. Vanno alla cieca e non sbagliano millimetro. Schizzano su strapiombi, giocolieri in salita, acrobati in discesa, sono artisti da circo per la platea delle montagne. Gli zoccoli del camoscio appigliano l'aria. Il callo a cuscinetto fa da silenziatore quando vuole, se no l'unghia divida in due e' nacchera di flamenco. Gli zoccoli del camoscio sono quattro assi in tasca a un baro. Con loro la gravità e' una variante al tema, non una legge”. Affascinante è anche la descrizione della forza del re dei camosci e il modo in cui viene descritto la reazione degli altri animali durante il temporale: “Al re piaceva quando la montagna se ne stava in un abbraccio stretto al temporale e il vento. L'aquila non vola e l'uomo non sale. La tempesta cancella le tracce dei camosci, porta via il loro odore, invergina la terra. Il re stava all'aperto fino all'ultimo scroscio. Se il fulmine appiccava incendio al bosco, scendeva incontro. Prima di bruciare alcuni alberi fanno schizzare al vento i loro semi per l'ultima consegna di fertilità. Andava a quelli, incrociando in discesa i caprioli e i cervi che salivano alla cieca, scivolando intimoriti sulle rocce zuppe”

    RispondiElimina
  16. Parte 2

    Anche la descrizione dei personaggi colpisce ed emoziona il lettore, in particolare quella del cacciatore. Quest'ultimo è dipinto dalla tradizione come l'antogonista delle storie, il quale cerca a tutti i costi di ostacolare il suo nemico pur di portare a termine la proprio volontà. Il cacciatore di De Luca, è si' cattivo, ma l'autore non si limita alla descrizione classica, concedendo al personaggio dei princìpi, i quali sono nati a causa di alcuni errori commessi in precedenza, poiche' “non si ripara nulla dopo il danno, si può solo rinunciare a rifarlo”. Tale personaggio, infatti, aveva conosciuto il rapporto affettuoso che c'è tra gli stambecchi: “aveva smesso di cacciare stambecchi. Aveva sparato a un esemplare nella nebbia senza accorgersi che era femmina e senza vedere il piccolo vicino. La bestia colpita sul ripido aveva cercato di tenersi aggrappata alla roccia, poi era caduta, un salto in giu' di buoni venti metri. Il piccolo senza incertezza era saltato nel vuoto dietro la madre. Quando l'uomo raggiunge l'animale ucciso il piccolo era li' con gli occhi grandi desolati”. Ciò accomuna entrambi i personaggi, poiché non attaccano il prossimo per il piacere di farlo, dal momento che l'uomo e' portato ad uccidere per guadagnarsi da vivere, l'animale per diventare il capo del gruppo. Ed è proprio qui che si manifesta l'aspetto animalesco che accomuna i due personaggi

    La tematica che, pero', maggiormente emerge dal romanzo è la fugacità del tempo. Entrambi i personaggi, come detto, si allontano dalla vita quotidiana, l'uomo perchè deciso ad uccidere il “re dei camosci”, l'animale perchè diverso dai suoi fratelli. Quest'ultimo, infatti, avendo visto la madre e la sorella morire, ha un animo molto piu' forte dei suoi compagni. Il cacciatore, invece, per molti anni, vive nella tranquillità della propria vita, dal momento che da tempo ogni giorno era simile agli altri e la solita monotonia affliggeva le sue giornate. Passavano le stagioni, gli inverni si facevano sempre più rigidi, il cacciatore, pero', pur essendo diventato vecchio, aveva ancora la forza di un giovane, spinto dalla voglia di uccidere l'animale. E ciò testimonia quanto la volontà e la convinzione umana combattano perfino il tempo che passa

    RispondiElimina
  17. Parte 3

    Un tema di grande impatto emotivo sta nel duello che nasce tra la bestia e l’uomo, tra l’istinto e la ragione. Proprio quest'ultima permette all'uomo “di prevedere il futuro, ma non il presente” a differenza degli animali. Essi, infatti, pur non rendendosi conto del trascorrere del tempo, sono in grado di capire il presente, gestendo le loro azioni attraverso l'istinto.
    Significativo è anche il titolo del libro poichè “Il peso della farfalla” sembra una contraddizione. Tale animale, attraverso la sua leggerezza e i suoi silenzi, evoca immagini di tranquillità e di tenerezza. Eppure la farfalla di De Luca, che svolazza intorno all’uomo e finisce sempre per posarsi sul corno del camoscio, trascina con se il peso e i molteplici significati dell’esistenza: l'animale è ormai giunto alla fine del suo regno, l’anziano bracconiere è alla ricerca del suo ultimo trofeo. Sta tutto qui il significato denso della storia, semplice e concreta, dove le regole degli uomini e i loro affanni sono spazzati via dal tempo, il quale trascorrendo, cancella parti di noi stessi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. duello che SI SVOLGE tra la bestia

      Un tema di grande impatto emotivo sta nel duello che nasce tra la bestia e l’uomo, tra l’istinto e la ragione. Proprio quest'ultima permette all'uomo “di prevedere il futuro, ma non il presente” a differenza degli animali. Essi, infatti, pur non rendendosi conto del trascorrere del tempo, sono in grado di capire il presente, gestendo le loro azioni attraverso l'istinto...MI SEMBRA CHE QUESTO PUNTO SIA COMPLETAMENTO DEL PRECEDENTE...AVRESTI POTUTO COLLEGARE LA VOLGIA DEL VECCHIO DI ESSERE GIOVANE....PER LOTTARE CONTRO IL FUTURO CHE INESORABILE AVANZA E LA FORZA CHE VIENE AGLI ANIMALI DI VIVERE IL PRESENTE ...PER L'UOMO CIò NON AVVIENE (COSì HO CAPITO DA CIò CHE HAI SCRITTO)

      Elimina
  18. “La Fattoria degli Animali”, George Orwell

    Il romanzo satirico di George Orwell “La Fattoria degli animali” sebbene concluso già nel 1943, fu pubblicato solo nell’ agosto del 1945 dalla nota casa editrice Mondatori. Il romanzo in questione suscitò infatti non poco scalpore in quanto,
    sotto ad un apparente sogno utopico di alcuni animali di una fattoria si celava un sottile e pungente riferimento al totalitarismo sovietico del periodo staliniano. L’autore, seppur con un linguaggio semplice e poco elaborato, riesce a delineare nel romanzo lo scenario del totalitarismo staliniano grazie all’utilizzo di acuti parallelismi che associano ad ogni animale della fattoria un personaggio della realtà storica. Per esempio il personaggio del Vecchio Maggiore, il quale per primo fece riflettere gli animali sulla propria condizione di sfruttamento e maltrattamento da parte dell’uomo, è rintracciabile nella figura di Karl Marx; entrambi infatti guidarono, “filosoficamente parlando” la rivoluzione contro le ingiustizie, una lotta dura per riacquisire diritti e dignità.
    Orwell inizia così raccontando di una fattoria nella quale gli animali venivano maltrattati e sfruttati dal loro padrone James, il quale creò un clima di profondo malcontento tanto da far insorgere una ribellione che portò gli animali a cacciare il proprio comandante e ad erigere un proprio governo fondato su due massime fondamentali: la prima secondo la quale ”Tutto ciò che ha quattro gambe o ali è buono, tutto ciò che ha due gambe è cattivo” e l’altra, che enunciava un vero e proprio credo : “ tutti gli animali sono eguali”.
    Tra tutti spiccarono per maggiore intelligenza due figure: Napoleon e Palla Di Neve, entrambi due maiali,ma dal pensiero perennemente divergente; i due si differenziavano maggiormente per quanto riguarda lo spirito leale e sincero di uno e lo spirito scaltro e furbo dell’altro.Fu proprio grazie alla vittoria di quest’ ultimo, Napoleon, che l’autore riesce a spiegare come spesso al potere non salgano le persone “più giuste” ma le più prepotenti, che come avviene nel racconto sono pronte anche ad uccidere purché il proprio pensiero non sia contrastato.
    Ho trovato questo romanzo molto interessante, in quanto al contrario di molti altri libri che trattano temi politici,riesce a coinvolgere il lettore non solo dal punto di vista razionale e della mente ma riesce ad entrare nel cuore e nell’animo di esso. Infatti grazie alla presenza di sottili allegorie e toccanti riflessioni dei protagonisti l’autore riesce a comunicare delusioni, gioie, speranze e dolori di questi.
    Un passo in particolare mi ha colpito per la forte delusione che Berta, simpatica e generosa cavalla, esprime in una sua riflessione personale dopo aver visto il massacro che i maiali avevano eseguito a discapito di chi provò in qualche modo ad evidenziare i disagi che si stavano creando in quella nuova società che avrebbe dovuto invece, segnare un miglioramento nelle loro vite prive di libertà e dignità.
    “ Se avesse potuto esprimere il suo pensiero, avrebbe detto che non era questo ciò a cui miravano quando, un anno prima, si erano posti all’ opera per la distruzione della razza umana. Non a quelle scene di terrore e di morte avevano mirato in quella notte in cui il Vecchio Maggiore li aveva per la prima volta incitati alla rivoluzione. Se mai Berta aveva avuto un’ immagine del futuro, questa era stata di una società di animali liberati dalla fame e dalla frusta, tutti uguali, ognuno lavorando secondo la propria capacità, il forte proteggendo il debole…”
    Condivido pienamente la delusione, l’amarezza e anche il senso di impotenza che prova Berta nel vedere tutto ciò in cui credeva profondamente,“crollare” davanti i suoi occhi.
    “ Le creature di fuori guardavano dal maiale all’ uomo, dall’ uomo al maiale e ancora dal maiale all’ uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due.”
    Conclude così Orwell sottolineando ironicamente come davanti al potere non esistono ideali, non esistono valori, ma soltanto l’avidità di accrescere lo stesso.

    Sara Giancola

    RispondiElimina
    Risposte
    1. MA TU COME TI PONI DIFRONTE A TANTA DISILLUSIONE??? SU UN TESTO POLITICO DOVRESTI DIRE CHE PENSI..LA SFIDUCIA DI ORWELL è ANCHE LA TUA???

      Elimina
  19. "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello

    Parte 1)

    Ho dedicato il mese appena trascorso alla lettura del romanzo novecentesco “Uno, nessuno e centomila” dell’autore agrigentino Luigi Pirandello.
    Di quest’ultimo avevo letto solo qualche novella che per giunta era risultata ai miei occhi di poco spessore “le solite storielle con fine moralizzante”, credevo.
    Poi mi sono immersa tutta d’un fiato in questo testo e ne sono uscita diversa: forse non con le idee più chiare, ma con una visione più ampia dell’entità umana, dello spessore psicologico di un personaggio sull’orlo della pazzia, di un autore che ha tentato di spiegare in poco meno di 200 pagine la complessità dell’essere umano.
    Mentirei quindi affermando di esserne uscita incolume e pertanto immutata; ma d’altronde credo che sia questo il bello di un libro: comprendere nuovi modi di guardare il mondo o semplicemente migliorare quello che già si utilizza.
    Già prima non riuscivo a fermarmi ad una singola interpretazione, non contemplavo un individuo nella sua unilateralità, mi appariva irrisorio e non me ne sapevo accontentare; ora continuo a farlo, ma con cognizione di causa, come dopo aver affrontato una ricerca, come se mi fossi documentata.
    Mi gira ancora un po’ la testa a ripensare a tutte quelle riflessioni a catena, a quegli intensi flussi di coscienza densi di pathos, a quelle pagine colme di pazzia e genio.
    Ma nella pazzia ho trovato l’arte, nel genio l’aspirazione (da intendere come una sorta di eros platonico).
    L’autore si è mostrato ai miei occhi oltre che nelle vesti di scrittore anche in quelle di superbo psicologo, elucubrando sull’essere.
    Ha tracciato un profilo preciso quanto drammatico del personaggio principale, si è interrogato sulla condizione umana rendendo universale un problema che al principio si presentava come intrinseco al singolo personaggio.
    Infatti in quest’evoluzione l’autore è come se riprendesse il metodo cartesiano alla base dell’individuazione del dubbio iperbolico: così come fece il grande filosofo del ‘600 estende man mano il campo d’azione del suo relativismo fino a renderlo iperbolico: “ci sono io, ci siete voi, purtroppo” e tutti siamo soggetti alla scomposizione delle personalità così come alla variabilità degli stati psicologici.
    D’altronde vaghiamo errabondi in questo mare di incertezze, presentiamo un modello di uomo che se dovessimo ricreare sarebbe diverso ogni volta, ondeggiamo e tentiamo di guardarci da diversi punti di vista che ci destabilizzano.
    Già Montaigne affermava nel ‘500 che agli uomini non sono dati punti di riferimento e sperimentava così le vertigini del dubbio.

    RispondiElimina
  20. Parte 2)

    Nei Saggi scrive “Io do alla mia anima ora un aspetto ora un altro, secondo da che parte la volgo. Se parlo di me in vario modo è perché mi guardo in vario modo. Tutti i contrari si ritrovano in me per qualche verso e maniera…Non posso dir niente di me, assolutamente, semplicemente, e solidamente, senza confusione e mescolanza, né in una sola parola, Distinguo è l’articolo più universale della mia logica”.
    Inoltre egli afferma che soltanto dopo la morte un individuo può delineare un profilo credibile, concetto che ritroviamo in questo romanzo quando il protagonista si rivolge alla giovane Anna Rosa: “Lei non può conoscersi che atteggiata: statua: non viva. Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire. Lei sta tanto a mirarsi in codesto specchio in tutti gli specchi, perché non vive; non sa, non può o non vuole vivere. Vuole troppo conoscersi, e non vive”
    Pirandello chiude la sua opera con una magnifica riflessione proprio su questo tema: “ Pensare alla morte, pregare. C’è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane, Io non l’ho più questo bisogno; perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori”.
    Questo romanzo si pone alla fine, verso lo sgretolamento del mondo romantico e delle sue ultime parti: Pirandello tenta la via del realismo già intrapresa da Verga, la sua arte si contraddistingue per l’audacia spiccata che emerge e denota un autore che sa osare nella maniera giusta, che è in grado di colpire il lettore.
    Emergono in lui l’umanità ed l’attenzione con la quale vige sui suoi personaggi: li segue dall’inizio alla fine del romanzo, curandone il percorso, non tralasciando nessun dettaglio perché cosciente di come questi rappresentino le insostituibili marionette del suo teatrino.
    Non accenna ad una massa indistinta, ad una folla o ad un groviglio di personaggi: cura l’unicità e l’essenza dei singoli e la frammentarietà di ognuno perché “tutt’e cinque si volteranno se chiamate: “ Moscarda”.
    Pirandello comprende quanti io coabitano in noi, quante sfaccettature possiede il nostro animo, quante prospettive diverse si possono sperimentare nell’osservazione di un soggetto: l’autore rimane meravigliato di ciò ed esprime tale stupore tramite le parole del suo personaggio principale.
    L’escamotage che da inizio alla narrazione è la leggera pendenza verso destra del naso di Moscarda, rivelatagli dalla moglie.
    E da qui una serie di riflessioni concatenate portano alla presa di coscienza dell’impossibilità di conoscersi a pieno e di conoscere a pieno: Vitangelo sostiene che “La vita si muove di continuo, e non può mai veramente vedere se stessa…Mai, come posso vederla io. Ma io vedo un’immagine di lei che è mia soltanto; non è certo la sua. Lei la sua, viva avrà forse potuta intravederla in qualche fotografia istantanea che le avranno fatta…Avrà fors’anche stentato a riconoscersi, lì scomposta, in movimento” ed ancora “Vedere le cose con occhi che non potevano sapere come gli altri occhi intanto ti vedevano” sprofondando nella realtà della solitudine dell’animo tuo a cui sei confinato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questo romanzo si pone DOPO LO sgretolamento del mondo romantico : Pirandello tenta E POI MODIFICA E SUPERA la via del realismo già intrapresa da Verga, la sua arte si contraddistingue per l’audacia spiccata che emerge e SI denota COME autore

      la quale VIGILA sui suoi

      Elimina
  21. Parte 3)

    Perché qui su questo mondo è tutta una questione di prospettiva e Pirandello lo sa bene come traspare anche qui dalle parole di Moscardo;”Lei s’affaccia alla finestra; guarda il mondo; crede che sia come le sembra. Vede giù per la via passare la gente, piccola nella sua visione ch’è grande, così dall’alto della finestra a cui è affacciata. Non può sentirla in sé grandezza, perché se un amico ora passa giù per la via e lei lo riconosce, guarda così dall’altro non le sembra più grande d’un suo dito..”
    E nella miriade di scomposizioni che l’io subisce, perde senso anche avere un nome, punto fisso di una vita che di punti fissi preferisce non averne perché non vi si riconosce già più: “Nessun nome Nessun ricordi oggi del nome di ieri; del nome d’oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d’ogni cosa posta fuori di noi…Non altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo”.

    Ponzina :D

    RispondiElimina
  22. “Il sentiero dei nidi di ragno” è il primo romanzo di Italo Calvino scritto e pubblicato nel 1947, quindi pochi anni dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. La narrazione, ambientata in un piccolo paesino ligure durante il periodo della Resistenza, tratta la storia di Pin, un bambino di circa dieci anni che, rimasto solo, cerca continuamente di integrarsi con gli adulti dell'osteria. Un giorno, messo alla prova da uno di quest'ultimi, decide di rubare la pistola di servizio di un agente tedesco e nasconderla in un posto segreto: un sentiero “dove fanno i nidi i ragni”; accusato quindi di furto viene portato in carcere e malmenato ma, con l'aiuto di Lupo Rosso (un giovano partigiano) riesce ad evadere. Una volta fuori, nuovamente solo, Pin inizia a vagare per la campagna, dove incontra Cugino, un altro partigiano, che lo accompagna fino al suo accampamento. Il protagonista inizialmente si trova bene al campo ma poi, dopo un litigio e una serie di avvenimenti, decide di tornare nel sentiero dei nidi di ragno, dove però non trova più la sua pistola. La storia si conclude con Pin che, dopo aver recuperato la sua P38, vagando ancora per la campagna, incontra nuovamente Cugino che come lui, si interessa della pistola, del sentiero segreto e in più condivide l'odio profondo del bambino verso le donne: Pin era riuscito finalmente a trovare il suo amico ideale e per questo non sarebbe mai più stato solo.

    Voglio iniziare la mia critica introducendo una breve citazione di un commento che Calvino fa sul suo libro: “Proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema della Resistenza, decisi che l'avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d'un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l'aspro sapore, il ritmo”. Come è facile capire, condivido pienamente le sue frasi: leggendo il libro, ho subito notato come le ideologie, i due schieramenti politici (quello nazi-fascista e la Resistenza) siano lasciati soltanto come sfondo alle vicende; allo stesso tempo la storia è quella di un bambino che, per puro caso, si trova schierato da una parte della battaglia e per questo, insieme alle sue travagliate vicende e i suoi sentimenti verso di esse (dei quali ricordo in particolar modo la pietà, i tradimenti, la tristezza, la paura e la desolazione), ci narra bene quello che era l'aspro ritmo della vita di questa fazione; proprio con questo escamotage Calvino a mio parere riesce bene ad affrontare il tema della Resistenza “di scorcio”. Per quanto riguarda il personaggio principale, Pin è un bambino sfortunato, rimasto orfano da piccolo, con una sorella prostituta; è un fanciullo che ormai si trova meglio nel mondo crudele e violento degli adulti che con i suoi coetanei, in continua ricerca di un amico con cui confidarsi. Si tratta a mio parere di una figura debole e fragile (come sono d'altronde tutti i bambini) che, nella sua tragica condizione, trova in se la forza di superare le difficoltà che la vita di quel periodo gli pone davanti.

    Concludo dicendo di aver trovato particolarmente interessante il libro poichè, come ho già detto, ho apprezzato molto l'alternativa che riesce ad offrire questo autore ai suoi lettori su un tema così difficile come la “letteratura della Resistenza”.

    Alessandro Pasqui.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. UNA PRIMA PARTE DEL TESTO è RIASSUNTO..POI CITI UNA RIFLESSIONI DI CALVINO DI CUI RIFAI PRATICAMENTE IL RIASSUNTO (CHE RIPETI ANCHE NELLE ULTIME TRE RIGHE)...IN SOSTANZA COMMENTI POCHISSIMO...AVRESTI POTUTO SCEGLIERE QUALCHE PASSO CHE MOSTRASSE COME L'AUTORE VEDA DI SCORCIO LA RESISTENZA...MI SEMBRA CHE SIA QUESTO AD AVERTI COLPITO....

      figura debole e fragile (come sono d'altronde tutti i bambini) che, nella sua tragica condizione, trova in se la forza di superare le difficoltà che la vita di quel periodo gli pone davanti. SE TROVA IN SE LA FORZA, ALLORA TANTO FRAGILE NON è O, QUANTOMENO SI EVOLVE, CRESCE E CAMBIA...SPIEGA CON MAGGIORE SPECIFICITà LE NOTAZIONI CHE PROPONI

      Elimina
  23. Azzurra parte 1

    "Con precisi riferimenti al testo, spiega come valuti il tuo incontro con il romanzo in questione. Ha toccato corde particolari del tuo animo? Se sì, quali e perché".
    Isabel Allende – Eva Luna
    Eva Luna è la figlia di Consuelo, una donna abbandonata, appena nata, nella giungla equatoriale sudamericana in una missione cattolica e cresciuta dalle suore per poi essere mandata a servizio nella casa di uno scienziato; qui, dopo avervi vissuto per lungo tempo instaura un rapporto d’amore con un suo “collega”, il giardiniere, dal quale nasce appunto Eva: Eva rimarrà orfana a sei anni e vivrà per tutta la sua infanzia, fino ai tredici anni circa, lavorando come domestica per guadagnarsi da vivere, senza quasi uscire dalle varie case nelle quali si troverà prestare servizio, senza avere contatti con bambini suoi coetanei e sopperirà alla sua mancanza di esperienze secolari con la sola forza dell’immaginazione e con il suo talento innato nell’inventare storie, storie di ogni tipo, appassionanti e mai scontate come quelle dei romanzi trasmessi per radio.
    Il suo destino cambierà radicalmente quando, ormai sfinita dalla sua vita monotona e umiliante deciderà di licenziarsi e cercare una nuova strada. Ed è appunto in strada che rincontrerà Huberto Naranjo, un ragazzo poco più grande di lei, conosciuto anni prima in una delle sue sporadiche uscite in città, il quale la aiuterà a trovare una nuova sistemazione, presso la Signora, la tenutaria di un bordello nel quartiere a luci rosse della città, nella casa della quale, però, Eva entrerà non come prostituta ma come “dama di compagnia”, sotto raccomandazione del suo amico. Qui conoscerà Melecio, in arte Mimì, un transessuale, o meglio un uomo convinto di essere una donna nata nel corpo sbagliato, che sarà una delle persone a li più care, e che più avanti avrà un ruolo di primo piano nella sua vita. Ma anche questa sistemazione non durerà a lungo, perché l’intero quartiere a luci rosse “calle republica” sarà oggetto di una retata della polizia, ed Eva sarà di nuovo costretta ad abbandonare quel luogo e ad allontanarsi da visi amici, per ritrovarsi perduta in strada.

    RispondiElimina
  24. Azzurra parte 2

    Allora incontrerà un mercante turco Riad Halabì, che l’accoglierà in casa sua, nel paesino, sperduto sulle Ande, di Agua Santa, come una figlia per molti anni, finché, a causa di uno scandalo, originato dalla moglie di questi, non sarà costretta a ritornare nella sua città. Ormai quasi adulta e diversamente consapevole della realtà circostante Eva si rende conto che il clima è completamente cambiato: il Paese è sconvolto dalle rivolte che preannunciano il colpo di stato. Trovandosi coinvolta in una sommossa si rifugia in una chesa, dove rincontra Melecio, completamente (o quasi) trasformato in una divinità femminile, che la invita a trasferirsi in casa sua e le offre tutta la sua compagnia e il suo sostegno. Eva troverà quindi lavoro come segretaria, ma successivamente riuscirà a dedicarsi solo alla scrittura, sua attività prediletta e suo maggior talento, di un teleromanzo, specchio della sua rocambolesca esistenza, nel tentativo di farlo produrre rincontrerà nuovamente Huberto Naranjo, ora comandante Rogelio, impegnato nella guerriglia alle autorità contro il governo, e conoscerà Rolf Carlè, un reporter di fama nazionale, l’uomo della sua vita. Dopo aver aiutato Naranjo a liberare dei compagni prigionieri nel carcere di Santa Maria, e aver inserito il racconto dell’accaduto, materiale fornito da Rolf, nel suo teleromanzo per divulgare la notizia, altrimenti censurata dalla stampa, Eva può finalmente ritirarsi nella tranquillità e dedicarsi pienamente alla relazione con Rolf.
    “Eva Luna” è insieme un romanzo ed una favola che tocca tematiche anche piuttosto importanti (lo sfruttamento minorile, di cui Eva è vittima sin dalla nascita, la prostituzione, nel capitolo della signora, la situazione politica del ‘900 in Sudamerica che fa da cornice all’intera vicenda di Eva e dei suoi curiosi compagni di avventura…) con una delicatezza incredibile, e lascia la possibilità di riflettere su numerosi argomenti come la possibilità di ignorare questi spunti di riflessione e godersi semplicemente la storia così com’è, assolutamente accattivante e dall’intreccio tutt’altro che scontato.

    RispondiElimina
  25. Azzurra parte 3

    Ma la cosa che più mi ha colpito e affascinato è l’esempio, offerto dalla vicenda di Eva, della potenza dell’immaginazione e delle parole, che sostiene la protagonista fin dalla sua infanzia nell’affrontare tutte le sfide della vita, in primis la solitudine, poi la perdita della madre e la mancanza di persone amiche a sostenerla; le parole faranno altresì in modo che conquisti la simpatia delle persone che quindi la aiuteranno come Huberto Naranjo e Riad Halabì, e costituiranno infine la sua strada e la faranno la sua celebrità con la messa in onda del teleromanzo. E’ meraviglioso riuscire a creare un mondo intero con la sola forza della propria immaginazione, un mondo dove rifugiarsi nei momenti di sconforto, dove coltivare i propri sogni e le proprie ambizioni o da poter condividere con gli altri: è meraviglioso poi saperlo raccontare attraverso un film o un romanzo, come ha fatto questa fantastica scrittrice che è Isabel Allende, ed è meraviglioso riuscire a costruire la propria vita con la forza delle parole, dei propri racconti (col mestiere dello scrittore). Ma forse il messaggio più importante che “Eva Luna” trasmette è quello di non abbandonare mai le prorprie ambizioni: la scrittura per Eva, il giornalismo per Rolf, il riscatto per Naranjo, la femminilità per Melecio, ognuno di loro ci riesce, riesce a realizzare il proprio sogno, ma solo dopo aver superato innumerevoli difficoltà (un’infanzia e una giovinezza di privazioni per i primi tre e una storia di discriminazione e maltrattamenti per l’ultimo). Nella realtà purtroppo non è sempre così, non sempre si riesce a realizzare i propri sogni, ma vale assolutamente la pena di tentare, e impegnandosi a fondo e lasciando aperte, certo, tutte le ulteriori porte possibili, non c’è ragione perché non si debba riuscire. E’ importante avere fiducia in sé stessi perché nel proprio animo c’è sempre la forza necessaria per combattere e trovare una soluzione ai propri problemi, bisogna solo imparare ad ascoltarla e farla sgorgare fuori: è questo il messaggio che mi ha trasmesso Eva Luna.

    RispondiElimina
  26. Eugene Ionesco – La Cantatrice calva MARTA LUCCHESINI PARTE 1
    L'assurdità. Il paradosso. Un'esperienza curiosa, incomprensibile, divertentissima. “Non voglio avere altri limiti che quelli delle possibilità tecniche del meccanismo teatrale [ … ]. Senza la garanzia di una libertà totale, lo scrittore non riesce a dire nulla di diverso da ciò che è stato detto”. Eugène Ionesco nasce in Romania nel novembre del 1912, ma si trasferisce presto a Parigi con la madre francese. “E' incerto se diventare santo o maresciallo (Introduzione raccolta Oscar Mondadori, Roberto Rebora)” però, assalito da questioni esistenziali, dalla paura della morte, entra all'Università di Bucarest, e comincia a scrivere versi. La salvezza di ogni grand'uomo risiede spesso in questo, infatti Ionesco decide di aprirsi alla letteratura donando al patrimonio umano una “nuova”, assurda avanguardia (“l'avanguardia è libertà”), un modo di raccontare il suo punto di vista rappresentando il “nulla” nato da un autentico non senso grammaticale e logico. “La Cantatrice calva” è un esempio del “primo” Ionesco, che sta ancora solamente iniziando la sua esperienza artistica e che, nonostante abbia sempre rinnegato una eventuale passione per il teatro, sperimenta proprio la commedia. Questa in particolare è la prima che mette in scena e che riflette la situazione alienata del contesto domestico borghese inglese. Ne fornisce il ritratto attraverso una famiglia sull'orlo della normalità, gli Smith, idealmente simile a un guscio vuoto, senza valore, che Ionesco riempie di satira azzeccata. E' come se un occhio estraneo guardasse da fuori la conversazione di una famiglia tipo di oggi. Lo stupirebbero la carenza di argomenti, la saggezza inconsistente, una società che si inclina pericolosamente con il viso a terra, più che protendersi al cielo. Ed ogni tempo ha i suoi critici, e il suo gregge. Ionesco dimostra tutta la drammaticità del suo tempo, ma, ancora una volta paradossalmente, non inserisce come scopo finale un insegnamento di un valore ideologico, ma la rappresentazione del “nulla”, la libertà dai limiti di cui parlava nella frase iniziale. L'impressione che si ha leggendo questo susseguirsi di battute legate da connessioni quasi insussistenti ma esistenti, è che l'autore oppresso dalla drammaticità storica (la Prima Guerra mondiale) e artistica del suo tempo, voglia sfuggire e sfuggirsi (perchè possiede comunque dei limiti imposti a lui dal suo essere figlio di una cultura). Ionesco a parer mio intende dimostrarsi più che dimostrare; da una situazione di partenza che, se pur inquietante e claustrofobica (proprio perchè insolita ma inserita nella quotidianità), ha qualcosa in comune con la realtà, l'autore rincorre il momento del crollo della stessa con un climax inizialmente graduale ma poi vertiginoso e che si spegne in un lampo. Nel momento in cui esce di scena il pompiere (viene da fuori ma è comunque un conoscente), infatti, inizia un delirio ancora più accentuato tanto che fino alle battute finali le frasi che dicono sono fatte di suoni o di parole distaccate tra loro. Emblematico il finale di ritorno alla situazione iniziale (vengono anche ripetute le stesse battute): il covo di un isterismo durato per la maggior parte del tempo che raggiunge picchi inumani e scema improvvisamente ricorda colui che reprime e poi scoppia per un tempo limitato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. finali le frasi che dicono sono CHI DICE LE FRASI..MANCA UN SOGGETTO

      il finale di ritorno alla situazione iniziale CHE RITORNA

      messaggio. La necessità FORSE MEGLIO I : CHE IL.

      MOLTO BENE! SI VEDE CHE TI HA PRESO TOTALMENTE

      Elimina
  27. MARTA LUCCHESINI PARTE 2

    Io non so cosa ufficialmente sia l'avanguardia del teatro dell'assurdo e mi intristisce la possibilità di una mia appartenenza alla condizione di ignoranza denunciata da Ionesco, ma forse anche il più consapevole non saprebbe gestire questo messaggio, perchè non si tratta di un vero e proprio messaggio. La necessità di un angolo di cielo nella condizione di inevitabile schiavitù della nostra società. La vedo così: se guardi agli altri come fossero te e segui un prototipo di stile di vita in linea con la tua cultura, sei schiavo; se ti opponi, sei conforme a un modo di pensare e di essere dell' “opposizione”, sei schiavo; l'unica via è distruggere le pareti e guardare l'universo dalla parte delle stelle.

    RispondiElimina
  28. ELENA FERRANTINI PARTE 1
    “A cosa servono gli amori infelici” è un breve romanzo scritto da Gilberto Severini, scrittore settantenne delle Marche. Il libro racconta il lungo periodo di degenza di un uomo in ospedale in attesa di un'operazione. L'uomo si trova nel reparto di terapia intensiva e tutta la narrazione è basata sulle sue impressioni e la visuale del mondo che egli ha, nell'ultima estate del XX secolo, dalla barella dell'ospedale.
    Il libro è composto, per un terzo, da piccoli appunti riguardo gli avvenimenti più importanti della sua vita, che il personaggio scrive un po' per diletto e per paura di poterli dimenticare e un po' come spunti utili per la stesura di un ipotetico libro.
    Queste brevi annotazioni sono intervallate dalla presenza all'interno del libro di tre lunghe lettere scritte in maniera ricercata, come fossero un monologo importante da recitare davanti ad un pubblico. Esse danno corpo al romanzo e sono quelle che lo rendono interessante e degno di esser letto. Sono indirizzate e forse mai spedite a tre personaggi significativi della vita del protagonista, che potrebbero rappresentare i tre modi di porsi alla vita: un suo collega d'ufficio, un sacerdote che lo ha amato e dal quale è fuggito e un misterioso personaggio, di cui non si sa il nome, che potrebbe raffigurare l'alter ego del protagonista, con cui egli pensa di aver parlato per tutta la sua vita.

    RispondiElimina
  29. ELENA FERRANTINI PARTE 2
    In queste lettere vengono raccontati e commentati incontri ed eventi fondamentali della sua esistenza e vengono fatte riflessioni sulla storia del nostro paese: partendo dai furori della protesta giovanile della fine degli anni Sessanta, dal rimpianto delle occasioni mancate, dalle contraddizioni di una cultura dove la passione amorosa appare imbarazzante e vergognosa, passando per l'avvento del computer e delle trasformazioni tecnologiche più invadenti, fino ad arrivare alla vicina venuta del nuovo millennio.
    Il personaggio principale non rivela il suo nome per tutto il libro. Non il suo nome, non quello del destinatario dell'ultima lettera. Si limita a farci vivere, giorno per giorno con le sue note, la sua permanenza all'ospedale. La narrazione scorre lenta e pacata; il tempo sembra quasi bloccato ed è come se si stia rivivendo sempre la stessa giornata; colpa questa del ritmi del reparto di terapia intensiva: ogni giorno è identico a quello prima, che è identico a quello prima ancora, e così via...
    Grazie alle copiose epistole la mente del lettore può distaccarsi dalla monotonia della descrizione di quelle giornate e può venire a conoscenza della vita passata e delle emozioni del protagonista.
    Colui che veniva rimproverato, poichè diceva «troppe parole d’aria e poche di terra», colui che descriveva di un paesaggio solo il vento, che sapeva capire i libri e far citazioni famose, ma che non sapeva comprendere i sentimenti umani.
    Questa limitazione nel suo pensiero e nel suo ragionamento lo hanno portato a distaccarsi dalla propria vita a fare a forza un lavoro da lui considerato orrendo, a rimanere nell'ufficio mentre fuori la gente si scontrava, si innamorava, semplicemente viveva quella vita avventurosa e spensierata alla quale ha in un certo senso rifiutato, lo dice lui stesso «Cercavo un nemico da odiare senza avere neppure una vera predisposizione all'odio. Il solo colpevole ero io convinto fin da ragazzino di guardarmi dal vivere.»

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questa limitazione nel suo pensiero e nel suo ragionamento lo HA portato

      MI SEMBRA UN PO' TRONCO IL FINALE..

      Elimina
  30. ELENA FERRANTINI PARTE 3
    Lo stesso fatto che pronunci queste parole ci fa comprendere quanto lui si senta solo lì, in quel letto. Solo, come una parte di lui vuole, senza visite, perchè tanto le persone che lui reputa più importanti nella sua esistenza sono volate via, hanno una vita propria nella quale per lui oramai non c'è più posto.
    Tutto il racconto infine (neanche a farlo di proposito), ha un parallelismo con il mondo del teatro: ognuno nella propria vita, a seconda delle situazioni si ritrova ad incarnare la parte del pubblico o dell'attore; così come lui è stato solo spettatore degli scontri del '68 ai quali si sentiva legato, non perchè abbracciava la causa dei manifestanti, ma solamente perchè stando con loro avrebbe avuta “la grande occasione” che cercava per vivere veramente; così era invece lui ad essere ammirato, “spiato” e voluto ardentemente dall'uomo che più lo turbò e più lo fece riflettere nella sua vita: il destinatario della seconda lettera, Don Gabriele.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. SEMBRA MANCARE UN PO' ELENA...COMUNQUE OK

      Elimina
    2. HO TROVATO LA TUA RECENSIONE...CECHOV..IN ALCUNI PUNTI PUNTI UN PO' SCOLASTICO...LA RAGAZZA GABBIANO AVREBBE POTUTO APPARTENERTI DI PIù.

      Elimina
  31. DIREI CHE POTRESTE COMINCIARE TUTTI A CIMENTARVI CON I CLASSICI IMPEGNATIVI ....BASTA IL GABBIANO DI BACH...OPPURE PENNAC, PER QUANTO SIANO ROMANZI CHE LEGGO ANCHE IO...AVETE L'ELENCO FATTO ALL'INIZIO DELL'ANNO..E POI QUALUNQUE ROMANZO DELL'OTTOCENTO OK????????'

    RispondiElimina